Tagliatori di tasse di Mario Ciriello

Tagliatori di tasse L'Inghilterra si prepara al voto Tagliatori di tasse LONDRA — La pioggia dei sondaggi s'infittisce, ma le loro conclusioni non variano: il partito conservatore è in testa nel favore del pubblico, avanza con il vento in poppa verso le elezioni generali di giovedì 3 maggio. Ma durerà questo vento ed esiste davvero? Raramente i britannici hanno confermato alle urne i calcoli di queste demoscopie, sono votanti imprevedibili, hanno respinto Churchill poche settimane dopo la fine della guerra, hanno abbracciato con un plebiscito l'Europa, mentre, con altri plebisciti, hanno sbarrato la porta all'autonomia scozzese e gallese. Prudenza, dunque. Un successo «tory» è possibile e forse probabile, ma è tutt'altro che certo. E' sempre difficile spiegare allo straniero le campagne elettorali inglesi. E invece di dilatarsi, il dibattito tende qui a concentrarsi su pochi punti fondamentali che, raramente o solo indirettamente, sono ideologici. Di politica estera, non ne parla nessuno: e. alle conferenze stampa, i giornalisti britannici ascoltano stupefatti le domande dei colleghi stranieri sulle grandi questioni internazionali. Neppure i controversi rapporti LondraCee e l'eterna tragedia dell'Ulster accendono vivo e genuino interesse: qualche accenno qua e là. altrimenti silenzio. Di cosa si parla, allora? Si fanno, come è tradizione britannica, i «conti in famiglia». Inflazione, politica dei redditi, pensioni, crisi degli alloggi e soprattutto imposte. Giustamente l'Economia parla di tax-cutters' election. le elezioni dei «tagliatori di tasse». Ormai sono tutti «tagliatori». Hanno cominciato i «tories» di Margaret Thatcher, li hanno seguiti i liberali di David Steel e, a precipizio, nel timore di restare isolati, sono giunti adesso i laboristi di James Callaghan. I «tories» vorrebbero tagliare con la scure, sia in alto che in basso, i liberali con l'accetta e i laboristi con un cauto temperino: ma comune è il desiderio di alleggerire lo zaino fiscale che dal 1945 grava sulle spalle degl'inglesi. E' certo la carta più preziosa, più seducente, di cui dispone Margaret Thatcher. potrebbe conquistare per il suo partito anche i suffragi di molti operai che, per effetto dell'inflazione e dei maggiori guadagni sono ora tassati come e più dei «borghesi». Ma se il dibattito si concentra sui «conti in famiglia», ciò non vuol dire che trovi in tale tema i suoi limiti. Qui si ragiona a posteriori, si parte dall'esperienza, dai fatti, dalle piccole cose e si cercano conclusioni più vaste. Per tagliare le tasse, senza inasprire l'inflazione, occorre tagliare anche la spesa pubblica. Orbene, quali di queste spese possono essere ridotte senza nuocere a nessuno? Si entra cosi su un terreno minato. Perché se è vero che il cosiddetto «settore pubblico» ha raggiunto, in Inghilterra come in Italia, dimensioni eccessive (impiega un terzo della forza di lavoro e spende oltre due quinti del reddito nazionale) è vero pure che ogni bisturi, «tory» olaborista, non ha scalfito che l'epidermide. Tasse, spesa pubblica, impresa privata, ruolo dello Stato: come è avvenuto in California e come sta avvenendo in altri Stati americani, un dialogo sul fisco ne apre inevitabilmente altri, anche di natura ideologica. (Le tasse hanno fatto più volte da sfon¬ do alle grandi battaglie politiche e costituzionali nel mondo anglosassone). Margaret Thatcher, frenata dai suoi consiglieri, non si lancia più nel duello dietro il vessillo di un nuovo aggressivo laisser faire, ma non rinuncia a battersi per una minor presenza dello Stato, per un ricorso alla politica dei redditi nei soli «cast di emergenza», per una maggior libertà dell'imprenditore. Callaghan avverte invece: «I "tories" vogliono lanciare l'Inghilterra in pericolose avventure, fermateli». Quella che per Margaret Thatcher sarebbe una Inghilterra più snella, più agile, più moderna è per Callaghan un'Inghilterra più ingiusta, più fragile, più anacronistica. Le riforme che. per Margaret Thatcher, dovrebbero «spezzare i ceppi» alle caviglie dell'intraprendenza e del dinamismo avrebbero, per Callaghan, il solo effetto di dividere la nazione. Maggie procla- I ma: «Io non credo nella politica del consenso, che considero un tradimento della propria ! fede. Io ho certi principi, e a I essi mi ispirerò». Jim ribatte: «L'Inghilterra può superare le [sue difficoltà soltanto unita. Senza pace sociale, non vi può essere guarigione economica». La Tatcher vuole una «strada diversa», per Callaghan non ve ne sono altre. Per vincere le elezioni, Margaret Thatcher deve far breccia nell'innato conservatorismo inglese, quel conser¬ vatorismo che è oggi rappresentato da Callaghan. Il neoradicalismo «tory» suscita molte apprensioni, evoca lo spettro di dure battaglie con i sindacati, desta la possibilità di riduzioni nei servizi sociali. Ma può anche darsi che la propensione allo stata quo sia già stata spezzata dall'oscillazione del pendolo. Lo storico Lord Blake sostiene che. per la prima volta dal 1945. in Inghilterra e in quasi tutto il mondo democratico, il wind of change (il vento della trasformazione) «soffia da destra e non da sinistra». Spinta da questo vento. Margaret Thatcher. quali che siano i suoi meriti, già naviga forse, imbattibile, verso Downing Street. Una vecchia massima dice: «I conservatori sono più abili nel creare ricchezza, i laboristi nel distibuirla». E' questa massima che gioca a favore dei «tories». anche se la maggioranza del pubblico, e lo mostrano i sondaggi, ha più fiducia in Callaghan che nella Tatcher. Gl'inglesi sanno che la ricchezza nazionale è insufficiente, che il petrolio finirà fra dieci o quindici anni, che la torta da dividere è sempre più piccola. Anche se con riluttanza, decideranno forse di affrontare la «strada diversa» indicata dalla Tatcher nella speranza di risolvere i problemi economici del passato e quelli, non meno inquietanti, del futuro. Mario Ciriello