Contro il poeta vate e il poeta «ginnasta» di Gianni Vattimo

Contro il poeta vate e il poeta «ginnasta» NEW YORK: AUTORI E CRITICI A CONFRONTO SULLA POESIA ITALIANA CONTEMPORANEA Contro il poeta vate e il poeta «ginnasta» Mentre in Italia si fanno sempre più frequenti le serate di poesia, veri e propri «concerti» in cui gli autori presentano e discutono i loro versi a un pubblico sempre più attento e numeroso, il dipartimento di italiano e francese della New York University, una delle maggiori università newyorchesi, ha organizzato, per iniziativa di Luigi Ballerini (docente di italiano e lui stesso poeta) un simposio su «Ontologia e referenza nella poesia italiana contemporanea». Per tre intense giornate, alcuni poeti, critici e filosofi italiani hanno discusso con colleghi americani e no sugli orientamenti della poesia italiana più recente. Iniziato e concluso da relazioni di carattere filosofico (Jacques Garelli, G. Vattimo) e critico (Stefano Agosti, Fredi'Chiappelli) il simposio si è sviluppato soprattutto nella discussione intorno alle letture di versi e alle enunciazioni di poetica di autori come Alfredo Giuliani. Andrea Zanzotto, Antonio Porta (esponenti della generazione venuta alla ribalta negli Anni Sessanta) e Nanni Cagnone, Luigi Ballerini. Angelo Lumelli (che hanno cominciato a operare negli Anni Settanta). Il utolo indicava un programma preciso: il termine «referenza» allude infatti alla relazione del lin¬ i guaggio con la realtà e al mo- do in cui la linguistica e la se miotica contemporanea par lano dei vari linguaggi, tra cui anche quello poetico: mentre la parola «ontologia», resa popolare nella filosofia contemporanea soprattutto da Heidegger, sta a indicare il discorso filosofico sull'essere, e in generale ogni modo di vedere le cose che si riporta anzitutto alla nozione di essere. L'accostamento dei due termini era esplicitamente provocatorio: poneva infatti il problema se sia più produttivo — sul piano della critica, ma anche della creazione di poesia — guardare al linguaggio poetico facendo attenzione ai suoi meccanismi formali (come la sua ambiguità, l'autoriferimento, un certo uso delle figure retoriche come metafora e metonimia) oppure se lo si debba comprendere e studiare soprattutto nel suo significato più generale per resistenza dell'uomo. L'alternativa indica una precisa situazione storica: la critica degli anni recenti è stata largamente dominata da orientamenti prevalentemente linguistico-strutturali. e cioè dall'interesse per meccanismi formali del linguaggio poetico: ma questo predominio dà ora segni di crisi, in corrispondenza alla crisi dello strutturalismo a tutti i livelli, e sempre più sembra imporsi —accanto alla ripresa di posizioni storicistiche di tipo materialistico — anche il punto di vista ontologico che si richiama a Heidegger e alla tradizione della fenomenologia e dell'esistenzialismo. Non c'è però il rischio che, con l'affermarsi di ùn orientamento ontologico-esistenziale, si ritorni semplicemente indietro a una visione sacrale e mistica della parola poetica? E' infatti il poeta inteso come vate e profeta che non sopporta di essere studiato congli strumenti scientifico-positivi della critica strutturale; la quale invece ha avuto il merito di liberare la critica letteraria dalla retorica e dall'impressionismo che l'hanno lungamente dominata Questa preoccupazione si è fatta sentire molto vivacemente nel simposio newyorchese, sia negli interventi degli studiosi di formazione anglosassone, sia in alcuni interventi di studiosi italiani (Paolo Valesio, professore all'università Yale: Franco Ferrucci, professore alla Brown University). Questi ultimi, soprattutto, hanno sottolineato che la concezione sacrale della poesia è l'ideologia di una società fondata sull'esaltazione del valore della merce, che concepisce l'opera d'arte come una sorta di «merce suprema» ; il cui pregio è paradossalmente riconosciuto proprio nell'as¬ soluto isolamento dal resto del contesto sociale. Riferirsi però ai diversi modi in cui l'opera d'arte può essere considerata nella società, cioè alle ideologie che condizionano la sua concreta esistenza sociale, è già un modo di andare oltre la pura e semplice descrizione dei meccanismi formali che caratterizzano il linguaggio poetico. E' su questo che. in definitiva, si sono trovati d'accordo i critici e anche i poeti. Non basta descrivere scientificamente la poesia come un linguaggio fra gli altri; bisogna vedere da che mondo viene e a che mondo allude; e non è detto che questo «mondo» sia sempre soltanto il contesto sociale a cui si riferisce di preferenza lo storicismo marxista. Soprattutto dai testi poetici che sono stati letti e commentati, è sembrato evidente che per i poeti contemporanei la poesia non è né solo esplorazione dei meccanismi e delle possibilità del linguaggio, né solo un modo di vivere e rispecchiare la realtà sociale. Essa —sia recuperando un uso «sobrio» ed elementare della lingua, come accade in Porta, sia mettendo in opera un complesso gioco di manipolazioni sintattiche, come accade per esempio in Ballerini, sia producendo un accumulo di significati sovrapposti, come accade in modi di¬ versi in Giuliani e Cagnone. — lavora per indicare qualcosa che non si lascia compietalente dire, una sorta di fondo, appunto, ontologico, che ha da fare con le stesse origini del linguaggio e con le strutture più radicali dell'esistenza. Questa poesia non è né la parola del poeta-vate, né il semplice gioco del poeta . ginnasta» della lingua. E' un linguaggio che parla soprattutto per indicare i propri limiti, e i limiti del linguaggio in generale: proprio in questo si distingue dal linguaggio di tutti i giorni, in cui i limiti sono dimenticati, e la realtà tende a ridursi tutta a ciò che si può dire, fissare, manipolare. Per questo, oltre che di referenza e di ontologia, a New York filosofi e poeti hanno parlato soprattutto di silenzio, di quel residuo di non detto che resta sempre al di là della parola e che in fondo è la realtà stessa. Su ciò possono concordare sia i partigiani della referenza, sia quelli dell'ontologia. Il silenzio dei poeti, quello che la poesia incontra come suo esito ultimo, non è una fine e un naufragio, ma il cenno con cui la parola poetica, in modo incomparabilmente più vero della pretesa verità del discorso quotidiano o di quello scientifico, indica in direzione della realtà. Gianni Vattimo

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