Se non è possibile la lotta di classe di Carlo Tullio Altan

Se non è possibile la lotta di classe IL RUOLO DEI PARTITI IN ITALIA Se non è possibile la lotta di classe Interclassismo o lotta di classe? Solidarietà e consociazione delle diverse classi al fine di attuare il «bene comune» della società, o contesa aspra per la conquista dell'egemonia da parte delle classi subalterne nei confronti della classe dominante? Le contrastanti opzioni fra queste due alternative, poste in astratto come grandi questioni di principio, possono offrire lo spunto pet discussioni interminabili, che difficilmente approdano a qualcosa di valido. Perché esse abbiano un senso è necessarie collocarle sullo sfondo della realtà concreta di una determinata società a un momento dato della sua storia. Per delimitare il campo delle considerazioni che ci apprestiamo a fare a questo proposito per il nostro Paese, è bene innanzitutto precisare che il concetto di lotta di classe cui intendiamo riferirci è quello proprio della teoria classica marxiana. 11 modello storico cui Marx si ispirò per formulare questa teoria fu quello del conflitto fra l'aristocrazia feudale e la borghesia capitalistica, partendo dal quale egli prefigurò gli esiti di un nuovo tipe di conflitto, già iniziato, fra la stessa borghesia e la nascente classe operaia proletaria, portatrice del progetto di una società socialista senza classi e senza Stato. Si può ovviamente discutere se una società possa esistere in tale forma, o se sia solo il frutto di un'utopia, ma non è questo ora il nostro problema, soprattutto se si pensa alla società italiana in cui viviamo. Di questa società si è detto acutamente che: «...noi stiamo transitando dal passato al futuro del capitalismo industriale sema averne vissuto il presente" (Giuliano Amato). E questo è ciò che accade infatti alle società dualistiche come la nostra, nella quale una vera e propria battaglia fra il modo di produzione parafeudale e quello industriale democratico moderno non è stata mai combattuta dalle rispettive classi egemoni, e non è stata quindi mai vinta dalla società democratica su quella feudale. Ciò è accaduto in Italia per il fatto che la nascita della società industriale è stata tardiva, alimentata per lo più dalle sovvenzioni dello Stato, e non si è prodotta se non in parte per forza autonoma, lottando contro lo Stato dominato dalle aristocrazie di sangue, come accadde nell'Europa più avanzata, là dove la borghesia moderna si è formata all'origine, si è data una solida configurazione di classe e un'altrettanto solida coscienza di classe. Se questo è avvenuto a livello delle classi, il fenomeno in realtà costituisce un episodio entro un quadro più vasto, che interessa l'intera formazione storico-sociale italiana. La debolezza e la scadente caratterizzazione della classe che dovrebbe dirsi egemone, ma non lo è. e cioè della borghesia, è il segno di una debolezza intrinseca dell'intero modo di produzione industriale democratico moderno. Questo naturalmente ha profondi riflessi sulla lotta delle classi, intesa quale elemento di trasformazione sociale, e che è propria di quelle società democraiiclie che sono animate da un intenso incremento della produttività del lavoro. In un conflitto fra forze sociali, la consistenza e la netta fisionomia culturale e politica dei gruppi sociali antagonisti sono una precondizione indispensabile della genuinità del conflitto e della sua creatività. Lo scontro avviene allora sulla base di idee e di programmi precisi e pertinenti, legati sì al senso di autoidentità di classe, ma che riguardano le sorti dell'intera formazione sociale e non solo settori particolari di essa. Ma se una di tali forze, potenzialmente antagoniste, appare invece inconsistente, elusiva, incerta di sé. e ripiegata sopra la cura degli interessi privati e familistici e di piccolo gruppo, in una situazione internazionalmente bloccata, nella quale sviluppi rivoluzionari sono impossibili, e un ricambio di classe non si può avere come si ebbe in Europa nel passato, allora, paradossalmente, questa intrinseca debolezza di una classe finisce col contaminare la classe antagonista. Questo processo appare in tutta evidenza in Italia dove una «borghesia moderna», estremamente debole, non ha saputo crearsi, per questo fatto stesso, una forza politica propria che genuinamente la rappresenti. Di contro a un'organizzazione politica della classe operaia che è invece nettamente configurata, noi vediamo infatti esistere un coacervo di piccole formazioni, dalle minime basi sociali locali e dagli incerti caratteri — con la rara eccezione del partito repubblicano—e una grande aggregazione di potere, quella democristiana, costituita dalla combinazione di una miriade di interessi particolari che si appoggiano fra di loro in una forma di laboriosa complicità competitiva. Accade così che lo scontro fra le due grandi forze politiche che dominano il campo, quella democristiana e quella comunista, invece di dispiegarsi secondo vaste linee ideali e programmatiche, tenda a degenerare in una gara di pratiche clientelari per la conquista del consenso di una serie di gruppi sociali, catturabili solo mediante la concessione di benefici materiali. Così il morbo che affligge l'una parte minaccia di propagarsi all'altra, quando essa scenda sullo stesso terreno di lotta, soprattutto quando questo riguardi gli enti locali. Il confronto di classe allora si sgretola in una conflittualità disarticolata, sterile, paralizzante, fino al punto da indurre una condizione di marasma generale, nel quale finisce col fiorire la violenza allo stato puro, come sostituto apparente di una lotta di classe impossibile. Qual è il risultato di queste considerazioni così poco liete? La rinuncia ad agire che deriva dalla disperazione? No. Ma | un'indicazione operativa forse. Se la nostra società civile in certi suoi settori sociali, che dovrebbero essere quelli della borghesia moderna, per ragioni storiche complesse e comuni a diversi popoli, che ne soffrono come il nostro, non riesce a esprimere a livello di classe^ una sua rappresentanza politica ben delineata, attraverso un processo spontaneo, questa funzione, lasciata scoperta, va almeno temporaneamente fatta propria da forze politiche che riempiano questo vuoto Se un partito in senso storico non è solo l'espressione passiva di una certa realtà sociale, ma anche azione su di essa per modificarla in meglio, il momento pedagogico diventa storicamente fondamentale e prevalente su quello della mera conquista e conservazione del potere. E' stata a suo tempo e lo è tuttora fondamentale l'azione di formazione culturale esercitata dai movimenti socialisti nella creazione di una moderna coscienza operaia di classe. E' stato possibile a Giolitti dare un volto politico moderno e decoroso a una realtà di classe esigua e labile come lo fu la borghesia del suo tempo, la sola forse che abbiamo avuto. E' forse impossibile pensare a un'azione politico culturale che stimoli un processo di corresponsabilizzazione sociale di almeno una parte della base composita, eterogenea e disgregata della democrazia cristiana, un'azione che si eserciti soprattutto attraverso l'esempio di una condotta esemplare del partito in rapporto all'esigenza urgente di comprendere e risolvere i fondamentali problemi della società civile e dello Stato? Questo potrebbe restituire una grande dignità, e una grande forza creativa, a un conflitto democratico di classe che avesse dei protagonisti politici e sociali all'altezza del momento. Se ciò fu possibile in passato, forse non si tratta oggi solo di un sogno. Carlo Tullio Altan

Persone citate: Giolitti, Giuliano Amato, Marx

Luoghi citati: Europa, Italia