Magistrati e chiacchiere di Lietta Tornabuoni
Magistrati e chiacchiere Magistrati e chiacchiere Lunedi sera il TG1 ha trasmesso un'intervista durante la quale il giudice romano Claudio Vitalone rispondeva a domande sul procedimento contro il professor Antonio Negri e gli altri imputati dalla magistratura di Padova e di Roma. Il dottor Vitalone è attualmente in congedo, ha chiesto dal 9 aprile d'essere sospeso dalle sue funzioni e dall'affare Moro per candidarsi senatore nelle liste della democrazia cristiana. Se non verrà eletto, non potrà per legge fare il giudice a Roma nei successivi cinque anni: può rilasciare adesso interviste su un'inchiesta cui è divenuto estraneo, non suscita dubbi di scorrettezza e propaganda personale? Fornendo le sue risposte, il dottor Vitalone si è espresso con durezza contro 1".abitudine perversa» dei giornali di seguire e commentare le inchieste giudiziarie, di fornire notizie, opinioni o ipotesi sulle iniziative dei magistrati; finché un processo non è concluso, ha detto, i giudici debbono esser lasciati tranquilli. Insomma: «Ragazzino, lasciami lavorare». Ma nessuno è ragazzino, e neppure il Presidente della Repubblica ha l'esenzione dalla critica, la licenza da quel controllo democratico rappresentato dall'informazione: l'esperienza ha dimostrato in passato quanto il controllo e la critica esercitati dai giornali su parte della magistratura siano utili. Oggi poi, nel diffondersi dei comportamenti illegali a ogni livello della società, l'Italia pare tutta un tribunale, la vita nazionale è intessuta, segnata, vissuta dì processi o inchieste. Piazza Fontana, Lockheed, Moro, Banca d'Italia, sono casi clamorosi ed esemplari dello strettissimo intreccio tra politica e attività giudiziaria: il controllo è quindi sempre più naturale e necessario. Soprattutto quando alcuni magistrati sono troppo chiacchierati, e troppo chiacchieroni. Pubblicamente si dice che il giudice Infelisi è «uomo di Piccoli», che il giudice Vitalone è «uomo di Andreotti, ospite dei Caltaglrone», che il giudice Alibrandi è «uomo del rasi», che altri sono «uomini di regime». Il consigliere istruttore romano Achille Gattucci, da un anno poco fortunato titolare dell'inchiesta Moro, dichiara: «Questa volta non potranno accusare la magistratura romana di aver "rapinato" anche l'istruttoria del professor Negri, sono stati i colleghi di Padova a spogliarsi spontaneamente dell'inchiesta». Dice .rapinare» scherzando, ma non è per scherzo che la magistratura di Roma, la più vicina al potere politico, usa riservare a sé le inchieste che, come quella di piazza Fontana o del golpe Borghese, hanno maggiori implicazioni politiche e possono presentare maggiori rischi per il gruppo governante: è un'.abitudine perversa» data ormai per acquisita, con l'ironia o lo sfiduciato cinismo che si sono sostituiti all'indignazione. Sempre più scherzoso, il consigliere Gallttcci aggiunge, con bella immagine da western all'italiana: «Sono stati i magistrati di Padova a sparare, e a metterci poi in mano l'arma ancora fumante». «Abbiamo passato parte dell'inchiesta a Roma spontaneamente», s'affanna a confermare, quasi per giustificare i colleghi romani, il sostituto procuratore di Padova Pietro Calogero, «è una decisione nostra e autonoma ». In un certo senso, ma se ne dicono tante. Si dice che il dottor Calogero, vicino al pei, anche al di là dei meccanismi coatti di legge abbia preferito vedere Negri e gli altri nelle mani della magistratura romana, piuttosto che in quelle del giudice istruttore di Padova Giovanni Palombarini, appartenente a Magistratura democratica, da lui considerato troppo generoso con gli imputali dell'ultrasinistra. Si dice che alcuni arrestati di Padova si siano in pratica astenuti dal rispondere alle domande di Calogero, preferendo aspettare l'interrogatorio condotto da Palombarini. Allora gli imputati si scelgono il giudice, il giudice si sceglie gli imputati? Bersaglio dei «si dice», Palombarini dichiara a sua volta che degli imputati rimasti a Padova s'occuperanno tutti e tre insieme i magistrati dell'ufficio istruzione: «E se dovessero sorgere dissidi, ricorreremo al sorteggio per designare chi dovrà proseguire». Allora la giustizia è una lotteria? I «si dice» possono essere informazioni oppure instnuazioni, verità o ipotesi. Ma che possano nascere e affermarsi senza suonare affatto assurdi è già molto grave. Lietta Tornabuoni
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