Crisi in Iran: si dimette il ministro degli Esteri di Igor Man
Crisi in Iran: si dimette il ministro degli Esteri Sandj abi, leader del Fronte nazionale Crisi in Iran: si dimette il ministro degli Esteri Polemiche motivazioni: il governo accusato di «paralisi degli affari» e di avallare col silenzio l'arbitrio degli estremisti religiosi - S'accentua la frattura con Khomeini DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TEHERAN — Le dimissioni da ministro degli Esteri di Karim Sandj abi denunciano l'acuirsi del conflitto, oramai aperto, fra rivoluzionari e riformisti. Il gesto di Sandjabi rivela il profondo disagio dei laici iraniani, uomini di tendenza socialista ma in fatto liberali, profondamente impregnati di cultura occidentale, di fronte allo strapotere dei cosiddetti «comitati khomeinisti». Questi «comitati» sfuggono ad ogni qualsiasi controllo del governo provvisorio, prendono ordini dal misterioso «Consiglio della rivoluzione», in pratica non riconoscono altra autorità se non quella di Khomeini. «Intellettuali religiosi» (in maggioranza mullah fanatici), mercanti del Bazar e giovani senza formazione politica sono le tre «forze» che stan dentro e dietro i «comitati». Porti di una consegna generica: «Vigilare — colpire i nemici della rivoluzione», agiscono autonomamente, senza alcun coordinamento. Cosi può accadere che un «comitato., arresti e malmeni, come è successo giovedì scorso, i due figli e la nuora deìVayafo/faftTaleghani. Taleghani, una delle più prestigiose figure della resistenza iraniana (è stato in carcere 13 anni, gli sgherri della Savak lo hanno torturato, lo han costretto a bere orina, gli hanno anche orinato in faccia dopo avergli tagliato la barba, gli hanno violentato sotto gli occhi la foglia), non è riuscito a farli liberare e inutile è stato persino l'intervento del primo ministro Bazargan. Infine i tre giovani sono stati liberati con uno stratagemma: il movimento dei mujahidin ha rapito un miliziano del «comitato» e ha proposto uno scambio. In segno di protesta per «la violazione dei diritti del popolo iraniano da parte di irresponsabili che, fra l'altro, hanno creato cerceri illegali», Taleghani si è allon¬ tanato da Teheran rifugiandosi in campagna. Sandjabi motiva le sue dimissioni con la «paralisi degli affari» accusando, sia pure con un giro di parole, il governo provvisorio di avallare l'arbitrio col suo silenzio. Segretario generale del Fronte nazionale, Karim Sandjabi, 65 anni, si era recato nel novembre scorso a Neauphle-le Chàteau per incontrarsi con Khomeini. «Nei nostri desideri non è il nontenente che importa, ma il contenuto», aveva detto in quella occasione. Arrestato al suo ritorno in patria, sabato 11 novembre, al momento in cui si preparava a una conferenza stampa. Sandjabi era stato, poi. liberato il 6 dicembre. Dopo il ritorno trionfale di Khomeini e Teheran, il primo febbraio, egli aveva dovuto fare una lunga anticamera prima di essere ricevuto dall'Imam. Il terribile vecchio aveva cosi voluto riaffermare la preminenza delle forze religiose nei confronti di un partito che si richima alla lezione di Mossadeq. certo vecchio e glorioso, ma i cui aderenti si reclutano soprattutto fra gli intellettuali, i funzionari, i professionisti e non poteva paragonarsi, né per il numero né per la carica fideista, con la massa dei «senza scarpe» controllata dall'ayatollah. Accettando le dimissioni di Sandjabi. Khomeini ha praticamente voluto riconfermare la preminenza del suo «movimento» e il fastidio che prova verso coloro che definisce «i demovraticisti». Proclamando la repubblica islamica, l'ayatollah ebbe a dire infatti: «La democrazia è marcia sia in Occidente come in Oriente (...) dobbiamo recuperare l'Islam, dobbiamo islamizzara ciò che è stato occidentalizzato con la forza durante l'immonda dittatura (...) non capisco l'utilità dei processi, quando un criminale è identificato tanto basta per giustiziarlo». Le sdegnate parole di Taleghani, le dimissioni di Sandjabi drammatizzano il contrasto fra i rivoluzionari fautori della linea dura di Khomeini e i rifornisti che giudicano arrivato il momento di una minore intransigenza o. per meglio dire, il ritorno alla legalità. Questo dissidio di fondo potrebbe portare a mutamenti politici rilevanti ma. temiamo, in senso peggiorativo. L'Imam, a cui milioni e milioni di musulmani, sciiti e no, guardano come a un nuovo profeta, sembrava convinto di poter ridurre alla ragione, vantando «l'infula del Dio», sia i democraticisti sia gli «atei», vale a dire gli uomini della sinistra. Dietro di lui marciano masse di «senza scarpe» che guardano ai laici, ai riformisti con sospetto e animosità. Ma. dice l'avvocato Matin Daftari. nipote di Mossadeq, leader del Fronte democratico nazionale: «In Iran credo che qualcosa abbiamo imparato e cioè quel che possiamo fare per combattere e abbattere ogni forma di fascismo». Igor Man
Persone citate: Karim Sandjabi, Khomeini
Luoghi citati: Iran, Karim Sandj, Teheran
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