I professori in prima pagina

I professori in prima pagina I professori in prima pagina ROMA — E' passata una settimana: sabato scorso veniva arrestata con altri, imputata dei gravissimi reati d'insurrezione, terrorismo, strage, la facoltà di Scienze politiche dell'Università di Padova quasi al completo, e il fascicolo intestato «Antonio Negri più 21» cominciava a riempirsi di verbali d'interrogatorio. E' passata una settimana, voci ne girano quante se ne vuole. Tutti chiedono che questa sospesa e dannosa incertezza, questo vuoto dell'informazione che lascia gonfiare le chiacchiere, abbia fine alla svelta: intanto, da una settimana, i professori sono in prima pagina. Non era mai accaduto nulla di simile. Nello spettacolo quotidiano del terrorismo, la magistratura ha spinto in palcoscenico protagonisti diversi: non più agitatori di professione ma stimati cattedratici, occhiali invece di passamontagna, facce d'intellettuali maturi anziché tesi lineamenti giovanili. Oltre la sorpresa, oltre l'incredulità, oltre gli schieramenti difensivi a volte viziati da qualche spirito di casta («[/no di noi? Impossibile»), il primo effetto è stato la scoperta di una nuova cultura rivoluzionaria, sinora ignorata dai mass-media e dalla gente. Di Autonomia operaia, vista sinora dai giornali soltanto come un'aggregazione di teppisti armati e sopraffattori violenti, si prende a tracciare una storia politica, dallo scioglimento dell'originario Potere Operaio nel 1973 all'impedito comizio di Lama all'Università di Roma nel 1977. al moltiplicarsi di attentati negli ultimi due anni. Dei professori in prima pagina si impara a conoscere i nomi, le opere dai titoli severi, i temi semplificati ed essenziali delle complesse teorie: identificazione tra Stato e Partito, rifiuto del lavoro, nuovi soggetti sociali, visione della società come fabbrica diffusa, sostituzione quindi del concetto di «dominio- a quello più ristretto di sfruttamento, indicazione del sabotaggio quale mezzo di autovalorizzazione Si constata che in un'Italia in crisi economica spesso hanno il culto della modernità, del capitale; che irridono all'immagine del Paese «come immerso nella miseria crescente» e giudicano le cifre dei disoccupati non una prova della mancanza di posti di lavoro, ma una testimonianza della scelta giovanile; che non ammettono l'emarginazione, promossa invece a • estraneità ostile». Si nota in alcuni il gusto spiccato per le definizioni (.chiamiamo Autonomia la forma politica dentro cui si esprime e cresce il movimento del lavoro non operaio»), la scivolata letteraria: «Comando del valore d'uso è disgusto del posto fisso, orrore per il mestiere... è la pensosa allegria propria del furto di oggetti utili e desiderati... è la disumana astrattezza dell'omicidio, dell'attentato... disperato tentativo di far valere, con orgoglio impaziente, la propria forza sociale». La cronaca li mitizza come nuovi .mandarini rossi» di geniale intelligenza e preparazione profonda, come figure carismatiche: ma i Capi sono estranei alla controsocietà di massa, e si può pensare che nel contropotere i leader risultino disistimati, inascoltati, presto rinnegati quanto gli altri, che le gerarchie o i ruoli di comando siano in crisi come dovunque. Come Maestri, naturalmente sono spesso attaccati dagli allievi. .Autismo intellettuale e cattiva letteratura», .nuovi professionisti della cultura, cinici senza passione», .la lotta armata la propaganda se la fa da sé, non le occorrono racket culturali» sono accuse dall'interno, mentre riviste della sinistra ne criticano il linguaggio .iperspecialistico». la «ipertrofica filosofia della rivolta»: «Si pensa a una setta di sublimi eletti abituati a vivere solo sulle più alte vette o nei più profondi abissi... Il modello è quello del geniale folle, del guastatore e sabotatore permanente di ogni ordine». Insieme con i professori, emergono da protagonisti di questa cultura neorivoluzionaria sommersa le riviste, i periodici: almeno trenta, di pubblicazione irregolare, di testate mutevoli e diffusione incostante. Ospitano il pensiero dei molti militanti ripiegatisi a fare gli osservatori e i commentatori politici nelle difficoltà d'iniziativa e nel riflusso dell'azione, pubblicano i notiziari d'attività svolte, gli studi parcellizzati sul lavoro operaio in determinate fabbriche o sul territorio, le trattazioni ideologiche, le analisi economiche. I livelli culturali sono naturalmente differenti, i giornali possono chiamarsi Metropoli o Basta, Magazzino o Fischia il vento. Primo Maggio o Nulla da perdere, essere organi di propaganda oppure di studio: in comune hanno lo specialismo, la settorialità un po' catacombale, priva di discorsi generici o di varietà. Lo stile è infiammato oppure rigoroso, studioso; graficamente, possono avere la povertà dei quattro fogli mal stampati oppure l'estrema eleganza della grafica più aggiornata; il linguaggio accademico e difficile, assai lontano dalla lingua d'uso corrente anche nei gruppi giovanili, sembra renderli impraticabili a una massa di lettori. Diffusi e comprati in migliaia di copie, questi giornali paiono lo strumento di comunicazione meno adatto ai guerriglieri della violenza microsociale: come faranno a leggerli quelli che assaltano a Roma i «bar e ristoranti dove si annidano ì fasci e ci partori¬

Persone citate: Antonio Negri, Lama, Maestri

Luoghi citati: Italia, Padova, Roma