Un pittore «cortese» che scavalca le Alpi

Un pittore «cortese» che scavalca le Alpi LA MOSTRA A TORINO SU JAQUERIO E IL SUO TEMPO Un pittore «cortese» che scavalca le Alpi TORINO - Sant'Antonio di Ranverso. presso Avigliana. sulla via di Susa e di Francia, fu centro degli Ospedalieri di Sant'Antonio, la cui casa madre, di là dal Moncenisio in Savoia, poi di là dal Mongincvro in Delfinato. stava a Saint-Antoine-du-Viennois Le terre del conte di Savoia Amedeo Vili, dal 1439 Papa Felice V. fatto Duca nel 1416 dall'Imperatore Sigismondo, nipote materno di Jean de Berry. grande patrono a Bourges di arte gotica internazionale e genero del borgognone Filippo l'Ardito (e Borgogna significa nascita dell'arte fiamminga), furono terre, di qua e di là dalle Alpi, di grandi ricchi tramiti scambi viaggi: da Vercelli e Chivasso a Chambéry e al Genevese. da Nizza a Ginevra. Un fascinoso «itinerario», fra storia e centri di cultura, fra raffinatezze cortigiane e affreschi di contado, è la mostra in Palazzo Madama a Torino, centrata sul Jaquerio. i suoi tempi, i suoi personali itinerari, i suoi echi: quali gli studi ci hanno rivelato negli ultimi ottant'anni. faticosamente, a frammentari meandri, con incertezze ancora persistenti di cui Enrico Castelnuovo. Andreina Griseri (alla quale siamo debitori della fondamentale monografia nel 1965). Gianni Romano, danno aperto problematico conto in saggi e schede del ricco catalogo A Ginevra Nel 1914. sulla parete settentrionale del presbiterio di Sant'Antonio di Ranverso. comparve, tolta la scialbatura, la firma di «Iacobi Iaqueri da Taurino». Il recupero permetteva di dare corpo pittorico a notizie documentarie pubblicate pochi anni prima dal Rondolino e dal Bruchet a Parigi, da cui risultava che il figlio di un pittore torinese. Giovanni, era stato attivo nella prima metà del '400 per i Savoia-Acaja. forse, precocemente, a Torino, certo a Pinerolo nel 1416. e per Amedeo VIII a Thonon in Savoia nel 1411 e ancora (dopo l'unificazione dei due principati di Savoia e di Acaja) nel 1426-28. dal 1420 risultava residente a Torino, dove occupava cariche civiche e dove moriva nel 1453 Solo nel 1946 W Deonna pubblicava su una rivista ginevrina una xilografia cinquecentesca riproducente (probabilmente con modifiche e forzature antipapiste) un frammento di Giudizio Universale già nel convento dei Domenicani di Plainpalais a Ginevra, firmato da Jaquerio e con la data — poi contestata, ma plausibile — 1401: è il momento dell'acquisizione della città da parte di Amedeo VIII. L'altra ipotesi ginevrina si riferisce ai frammenti d'affresco con Angeli musicanti, concessi alla mostra dal Musée d'Art et d'Histoire di Ginevra, staccati alla fine dell'800 dall'abside della cappella detta «dei Maccabei», capolavoro ginevrino dell'architettura gotica flamboyant, ipotesi basata, oltre che su dati stilistici, sull'identificazione di Jaquerio con un «magistro Jacob», documentariamente attivo nella cappella per la ridipintura di una statua della Madonna nel 1429-30 Intricati problemi filologici Ma l'intrico si anima, si fa storia e problema emozionate e psicologico, enigmatico ma vivo e appassionante, quando notiamo la consonante nobiltà, il consonante «cortese» fluire di panneggi di forme di dolci comportamenti e atti, il comune tono «paradisiaco» dei celesti, dei grigi, dei verdi chiari, delle terre gialle fra gli Angeli ginevrini, e la lussuosa Madonna e Santi, sul trono e sotto il baldacchino architettonico di supremo sfarzo gotico, nel presbiterio di Ranverso. e ancora VAnnunciazione e gli Evangelisti nella sacrestia dello stesso Sant'Antonio E vediamo dunque il distillarsi della grande nobilissima cultura internazionale di Avignone e della Bourges del Duca di Berry al centro dei domina sabaudi di Amedeo Vili sulla strada, dominata dalla Sagra di S Michele, fra la nativa Moriana e la recente espansione piemontese) e all'estremità settentrionale, testé acquisita; e confrontiamo tutto ciò con il mondo «altro», con il versante «notturno», stravolto e stravolgente, realisticamente ghignante e feroce (ch'è anche ferocia di reazione «culturale» del feudatario minacciato dalle jacqueries. dalle rivolte contadine del '300). quale è ostentato nella Salita al Calvario della stessa sacrestia di Ranverso. quale per barlume traspare dalla xilografia evocante l'affresco giovanile di Ginevra Nell'alta coerenza del linguaggio di Jaquerio. ecco allora l'intrico, la complessità storica e umanistica dell'estremo mondo gotico, dell'ultima fase vitale e creativa dell'età feudale, che presenta questi due volti, in misure ed equilibri diversi, in ciascuno dei suoi centri di irradiazione culturale, e li scambia e li intreccia da un centro all'altro, in un'epoca di eccezionale «mobilità» di artisti, di opere, di modelli e linguaggi: nel 1412 Jaquerio restaura per Amedeo Vili a Thonon tavole sacre fatte venire da Genova, che, considerando la cultura dell'epoca, saranno state probabilmente toscane; la mostra presenta quattro fogli di un «taccuino» (tipico tramite di modelli e schemi figurali) del Gabinetto dei Disegni degli Uffizi, di cui il dibattito critico contende l'origine in un vastissimo territorio, addirittura dall'Austria e dal Tirolo alla spagnola Valencia. Questo intreccio, di centri culturali diversi e dei loro tramiti, e nel contempo di «culture» diverse, di corte (corti fisicamente assai mobili, in quest'epoca, tanto più nel caso delle complesse aggregazioni in terre «di confine»; è affascinante come un romanzo il capitolo storico di Ugo Gherner in catalogo, sulla composizione, già con presenze «borghesi», e la mobilità della classe dirigente savoiarda e piemontese di Amedeo Vili), di città, di contado, è il filo rosso che corre e lega la mostra, fra luogo e luogo, fra oggetto e oggetto: dalle splendide morbide statue, fra Ivrea e Aosta (il S. Giacomo di Runaz rivelato dalla mostra stessa), alle terrecotte da Alba con danzatori di «moresca»; dagli avori gotici francesi del Museo Civico, già probabilmente nelle raccolte sabaude e poi nel torinese Museo di Antichità, all'arazzo di Arras del Museo di Padova, dal '4(X) nel palazzo padovano dei Santa Croce, con la storia «cortese» di Jourdan de Blaye. Grande fascino Il quadro «maggiore» fa da supporto a quello, fondamentale, che insegue, con incastri e inquisizioni di alta scuola criti'ca (ma le cui emergenze fattuali sono tali da coinvolgere ogni visitatore). Jaquerio e i suoi echi e i suoi contemporanei Ovviamente, e purtroppo, gli echi maggiori, diretti o già mediati, gli affreschi di Fénis e di S. Pietro di Pianezza, sono presenti solo nelle fotografie dida¬ scaliche, saggiamente non invadenti (cosi come rigorosa ma non tecnicisticamente invadente è la documentazione dei restauri), o nei documenti grafici degli studi revivalistici ottocenteschi di D'Andrade Ma i documenti reali rimangono di alto fascino: le due tavole con Storie di S. Pietro, di valida attribuzione jaqueriana. pubblicate dalla Griseri e acquistate nel 1975 dal Museo Civico: gli affreschi di Giovanni Beltrami di Pinerolo. da Piobesi. precoce eco degli aspetti più «rustici» di Jaquerio: le due tavole. Compianto di Cristo acquisito nel 1976 alla Pinacoteca Sabauda e 5. Biagio della casa parrocchiale di Avigliana. riferite al «maestro di S. Sebastiano a Pecetto». vicino alla cultura di Aimone Duce, cronologicamente parallela ma meno ricca e complessa di quella di Jaquerio. che trova sbocco nei celebri affreschi della Mostra. Marco Rosei Giacomo Jaquerio: «La salita al Calvario», particolare dall'affresco esposto nell'abbazia di Sant'Antonino di Ranverso