Architetto a caccia d'immagini di Angelo Dragone

Architetto a caccia d'immagini FOTOGRAFIE DI GIUSEPPE PAGANO IN MOSTRA A BOLOGNA Architetto a caccia d'immagini DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BOLOGNA — Trecento fotografie, ordinate da Cesare De Seta, in collaborazione con l'Istituto per la grafica di Roma ed esposte (sino al 10 aprile) alla Galleria comunale d'arte di Bologna, testimoniano con una mostra avvincente quale vero ■cacciatore d'immagini» sia stato Giuseppe Pagano: noto fin qui essenzialmente come architetto mentre il fotografo, pur apprezzato tra gli specialisti dell'obiettivo, era rimasto pressoché sconosciuto al grande pubblico e presto dimenticato. A trarlo dall'oblio è stato appunto il De Seta, studioso di architettura, che a più riprese ne ha illustrato l'opera e -il ruolo di primissimo piano- avuto fra le due guerre: quando, nella sua milizia politico-culturale, Pagano che dirigeva la sezione artistica della scuola di Mistica fascistanon aveva esitato a schierarsi contro la retorica monumentalistica del regime e le velleità dei suoi accoliti ('...non c'è gerarca che non sia un architetto dilettante-, stigmatizzava nel '40) per sostenere invece l'autenticità delle avanguardie europee, fautrici d'una casa e d'una città a misura d'uomo. Posizione ardita, la sua, ma ben intonata alla vita di chi, nato a Parenzo nel 1896, in una famiglia di fervido spirito irredentista, a diciannove anni aveva raggiunto Padova per arruolarsi volontario nell'esercito italiano, pronto a mutare in Pagano l'originario nome di famiglia. Poga- tschnig, come a prendere poi. parte all'impresa di Piume. E cosi a dimettersi dal partito cui aveva aderito giovanissimo, quando nel 1942, quasi sublimando l'impegno d'una professione profondamente vissuta, per una più intima e forte coerenza morale, s'era posto in contatto con l'antifascismo clandestino: disposto a subire l'arresto, la tortura e la deportazione, sino a spegnersi a Mauthausen, nell'aprile del '45. L'attività di Pagano fotografo non è certo in sott'ordine a quelle dell'architetto o del pubblicista, direttore prima di Casabella poi di Domus, e lo si vede benissimo in questi trecento ingrandimenti «30x30», tratti dai 3275 negativi da lui lasciati e gelosamente custoditi dalla figlia. Alla fotografia, come egli stesso ricordava in un articolo comparso nel '38 in Cinema, aveva dovuto ricorrere -quasi per forza» quando, in vista della Triennale di Milano del '36, aveva iniziato una indagine sistematica sulla casa rurale. Inutilmente aveva chiesto l'invio di materiale, debitamente pagato, ai vari soprintendenti. Il giorno che dalla Toscana un funzionario gli aveva risposto che «in quella campagna non c'era niente di interessante da fotografare-,, aveva capito di dover fare da sé. Per troppa gente continuavano a esistere soltanto le fotografie dei monumenti e palazzi emblematizzati dagli Alinari. da Anderson, Brogi; mentre, anche quando si servi di qualche immagine dei loro repertori, Pagano giocò con tali tagli e ingrandimenti da neutralizzarne il preteso spirito documentario, al punto da «distruggere», come aveva notato Luigi Camerini, proprio quel tipo di figurazione. Pagano aveva la sensibilità, l'occhio d'un fotografo nato, ma anche una ben assimilata cultura fotografica europea, soprattutto tedesca (Renger-Patzsch). V'è anzi da credere che ad un cosi sicuro orientamento non fossero estranei gli anni della sua formazione nel Politecnico di Torino, città tra le più informate anche in questo campo, sede d'una antica società fotografica e dei primi salon internazionali italiani. Le scelte culturali di Pagano ' —rimasto tecnicamente fedele alla «Rolleiflex» dei suoi primi cimenti di dilettante che alternava a una cinepresa a passo ridotto — coinvolgevano d'altra parte esperienze diverse: la lezione di Moholy-Nagy e del Bauhaus come l'oggettivazione americana di Paul Strane! gli echi delle tipiche atmosfere di Atget e delle forme europeizzanti di Stieglitz (che chiamava -equivalenze- le sue nuvole degli Anni Trenta) e soprattutto la -nuova oggettività- tedesca. Testimone della sua estrazione positivista è l'ordine che Pagano aveva dato al proprio archivio fotografico, suddiviso per temi che in quest'occasione sono stati per la prima volta analiticamente schedati: dalla «voce» Aalto (18 fotografie di cui tre ritratti) alla «voce» Zoo con due. Può essere anzi significativo notare che ben 400 fotografie si riferiscono a motivi naturalistici. vegetali e animali; e tra questi 153 sono di alberi, 22 di nuvole. L'archeologia, da Agrigento a Siracusa, conta 407 immagini e 610 la realtà urbana dn.lVAquila a Venesia, ma dei 22 «pezzi» di Modena, sedici son riservati a Wiligelmo. Nè mancano veri e propri reportage che impegnano 406 fotografie su vari argomenti, dal Restauro, interamente assorbito dal Teatro Regio di Torino, in aggiunta alle sette sulla città, alla fiera di Sinigallia e alla sequenza di taglio quasi cinematografico offerta dai 21 fotogrammi dedicati a Casorati e agli ambienti della casa abitata dall'artista in via Mazzini, dove quasi si materializza l'aura di certi suoi dipinti. Nel suo spiccato gusto per ogni forma essenziale, Pagano ha talora raggiunto le soglie dell'astrazione coltivata dalle più avanzate avanguardie fotografiche di quegli anni, ma si mostra sostanzialmente legato al concreto e al reale. Pagano vi ha anzi guardato con un interesse che nessun altro architetto del movimento moderno italiano ha mai espresso in maniera altrettanto chiara e profonda verso le arti «minori» e l'architettura spontanea, come per gli oggetti d'uso quotidiano e i prodotti delle civiltà contadine sui quali anche come fotografo ha fermato in più di un caso l'attenzione: v'è da credere, per far apprezzare la «funzionalità» di quel disegno antico che, non per nulla, aveva saputo cosi bene anticipare i criteri progettuali del suo e nostro tempo. Angelo Dragone