Il Quirinale: non c'era altra scelta di Franco Mimmi

Il Quirinale: non c'era altra scelta Il Quirinale: non c'era altra scelta ROMA — Come previsto, Fanfani ha fatto anche l'ultimo tentativo, ma non ha avuto successo: malgrado il suo parere contrario, e dopo aver sentito anche quello di Ingrao, di segno opposto, il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, ha giudicato impossibile la costituzione di una maggioranza di governo e ha sciolto le Camere. Si va alle elezioni. Quando, tocca al Consiglio dei ministri uscente stabilirlo, con una riunione che si terrà oggi o domani. Data probabile: il 9 e il 10 giugno, insieme con le elezioni europee. Pertini si è detto «addoloratissimo- per aver dovuto prendere questa decisione, ma visti i risultati infruttuosi dei tre tentativi compiuti (primo incarico a Andreotti, incarico a Ugo La Malfa, secondo incarico a Andreotti), e poiché — è stato fatto notare dal Quirinale — al Capo dello Stato non è stata fornita, dalle forze politiche alcuna indicazione concreta per una soluzione della crisi, il Presidente ha ritenuto di troncare dopo mille giorni questa settima legislatura della Repubblica. Presa la decisione, ha telefonato a Fanfani, che gli ha rinnovato le sue riserve, e quindi ha convocato Andreotti, che ha controfirmato il decreto che scioglie il Parlamento. E adesso, appunto, le elezioni. La campagna è partita subito, sfruttando i primi giudizi sull'operato di Pertini, sommandosi ai temi in discussione al Congresso del partito comunista, diventando l'apertura del discorso di Craxi alla manifestazione con la quale il psi cominciava la campagna per le elezioni europee E infatti, Craxi ha puntato tutto sulla situazione interna, sulle elezioni italiane. Lo scioglimento delle Camere è stato voluto da de e pei, ha detto, per «io spirito integralistico che è molto forte in entrambi i partiti e che produce impotenza e paralisi». Ha rivolto un appello agli elettori per rovesciare la tendenza bipolare, facendo crescere «una tersa forza socialista come elemento di equilibrio». I partiti non hanno fatto che ribadire la loro posizione. Visto il psi, ecco gli altri in rapida successione. Per il pei, Chiaromonte: 'Una decisione inevitabile». Per il pri, Terrana: «Inevitabile». Il segretario del psdi, Longo: «Le elezioni del 1979, ci auguriamo che segnino la fine del bipola¬ rismo dc-pci, che ha portato all'ingovernabilità della nazione» (e auspica poi un accordo, dopo le elezioni, con i compagni socialisti). Magri (pdup) considera inevitabile lo scioglimento («Afa è grave --dice — che resti a gestire le elezioni un governo squalificato»). I liberali erano per un altro giro di consultazioni. Per il segretario, Zanone, Andreotti ha voluto lo scioglimento delle Camere perché si era sciolta la maggioranza a cinque, e questo era l'unico modo per tentare di ripristinarla. «Hanno mandato la legislatura al patibolo — ha detto Zanone — per mano di Andreotti, che ha eseguito la volontà della de e del pei». Ma, e i due senatori de deferiti ai probiviri perché assenti ingiustificati al voto e determinanti per la caduta del governo? «Li hanno deferiti perché hanno fatto cadere la finzione, non il governo. Ma credo che alla de tutto ciò co¬ sterà caro. La gente, una cosa ha capito senz'altro: che è stato un imbroglio». All'interno della de, i gruppi che nei giorni scorsi avevano chiesto che si facesse un altro tentativo per evitare la chiamata alle urne non sono disposti a cedere le armi. Gerardo Bianco (fu capogruppo democristiano alla Camera nell'interregno tra Piccoli e Galloni) ha dichiarato che lui e quanti la pensano come lui intendono chiedere la convocazione di un'assemblea dei parlamentari de e dei consiglieri nazionali. « Vogliamo sapere con precisione — ha detto — quale sarà la linea elettorale del partito: il discorso di Andreotti al Senato, che preannuncia il tentativo di riformare la maggioranza coi comunisti, o quello di Zaccagnini del 16 marzo, a un anno dalla morte di Moro, nel quale si riaffermavano i limiti dello spazio concedibile al pei?» I segni di disagio non manca¬ no: il capogruppo al Senato, Bartolomei, ha minacciato le dimissioni se Zaccagnini non rettificherà la linea politica espressa nel discorso di Andreotti (sembra che sabato abbia addirittura minacciato di ritirare la sua firma dall'ordine del giorno di fiducia al governo). Insomma: i gruppi di «Proposta» e «Nuove Cronache» sono pronti a dare battaglia. E sarà battaglia dura, a quanto è dato di capire: alla loro richiesta di convocare i gruppi parlamentari, espressa nell'ordine del giorno approvato giovedì scorso dai deputati e ribadita nella mattina di ieri, il capogruppo. Galloni, ha risposto: «La decisione del presidente della Repubblica ha reso praticamente impossibile la convocazione della riunione richiesta. Resta comunque fermo che il gruppo potrà essere convocato alla vigilia del Consiglio nazionale». Franco Mimmi

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