Sessualità e concetto di razza in un intervento del biologo Premio Nobel Francois Jacob di Francois Jacob

Sessualità e concetto di razza in un intervento del biologo Premio Nobel Francois Jacob Sessualità e concetto di razza in un intervento del biologo Premio Nobel Francois Jacob Ha senso misurare l'intelligenza? Ogni nomo è unico nel suo genere Pubblichiamo l'ultima parte dell'intervento del biologo francese Francois Jacob, Premio Nobel, all'Accademia di chirurgia di Parigi sul tema .Sessualità e diversità umana». Dalla separazione dei sessi, dice Jacob, nasce l'inguaribile solitudine dell'uomo, ma anche, per le combinazioni genetiche che da quella separazione derivano, la sua diversità. La sessualità è fonte della diversità e condizione dell'evoluzione; il concetto di razza non ha fondamento biologico, è un'idea superata; ogni uomo, ogni animale è unico nel suo genere. La risposta che oggi la biologia può dare al problema della differenza di capacità tra gli esseri umani non è precisa. Poiché il meccanismo della sessualità è congegnato in modo da produrre ogni volta l'-unico», poiché ogni individuo presenta una combinazione particolare di caratteristiche fisiche, sino a che punto queste differenze genetiche si estendono alle capacità mentali? Se l'organismo è il risultato dell'interazione dell'ambiente e dell'ereditarietà, è possibile individuare la parte che questi due elementi hanno nelle prestazioni intellettuali? La stretta interdipendenza delle determinanti biologiche e delle determinanti sociali viene troppo spesso sottovalutata, a volte semplicemente negata per motivi ideologici o politici, come se nella genesi del comportamento umano e delle sue alterazioni questi due fattori dovessero escludersi a vicenda. Nei dibattiti sulla scuola, sulla psichiatria, sulla condizione dei sessi si affrontano così due posizioni estreme, due atteggiamenti opposti da parte di coloro che si potrebbero definire i partigiani della «cera vergine» e i partigiani della «fatalità genetica». Secondo i difensori della cera vergine, le capacità mentali dell'essere umano non hanno nulla a che vedere con la biologia e con l'ereditarietà. E' una questione di cultura, di società, di apprendimento, di condizionamenti, di sistemi di produzione. Scompare cosi qualsiasi diversità, qualsiasi differenza d'ordine ereditario, nelle capacità e nelle qualità del sigolo. Contano soltanto le differenze sociali e le differenze di educazione. La biologia con i suoi vincoli si ferma sulla soglia del cervello. I dati della neurobiologia dimostrano che i circuiti del nostro sistema nervoso, che sottendono le nostre capacità e le nostre attitudini, sono almeno in parte biologicamente predeterminate alla nascita. I difensori della cera vergine si comportano un po' come i sostenitori del vitalismo ne! XIX secolo, per i quali gli esseri viventi dipendevano non dalle leggi della fisica e della chimica, che si applicavano, soltanto ai corpi inerti, ma da una misteriosa forza vitale. Oggi la forza vitale è scomparsa. Come i corpi inerti, gli esseri viventi obbediscono alle leggi della fisica e della chimica, e inoltre obbediscono ad altre leggi, devono soddisfare altri obblighi di alimentazione, di riproduzione e cosi via, che non hanno senso nel mondo inanimato. Nell'essere umano, ai fattori biologici si sovrappongono fattori psichici, linguistici, culturali, sociali, economici. Altrettanto insostenibile è dunque la posizione opposta, quella della fatalità genetica, che attribuisce all'ereditarietà la quasi totalità delle nostre capacità mentali, e praticamente esclude qualsiasi influenza dell'ambiente, qualsiasi seria possibilità di miglioramento grazie all'allenamento ed all'apprendimento. Nella versione moderna, questo atteggiamento si basa soprattutto sulla misurazione del cosiddetto «quoziente intellettuale» o QI e della sua trasmissibilità ereditaria. Il significato del QI, ciò che misura, la possibilità stessa di ideare prove esenti da qualsiasi vincolo culturale sono stati e sono ancora oggetto di appassionate discussioni. Senza entrare in queste discussioni, vorrei soltante rilevare lo stupore del biologo di fronte al principio stesso del QI. Come si può pensare di quantificare ciò che si designa come «intelligenza globa¬ le», che non riusciamo neppure a definire chiaramente e che comprende elementi svariati quali la rappresentazione che ci si fa del mondo e delle forze che lo reggono, la capacità di reagire a diverse congiunture in diverse condizioni, l'ampiezza di vedute, la rapidità a cogliere tutti gli elementi di una situazione e prendere una decisione, la capacità di valutare le conseguenze della decisione, quella di scoprire analogie più o meno nascoste, di confrontare ciò che a prima vista non è confrontabile e tante altre qualità ancora? Come si può pensare di quantificare un simile insieme di proprietà cosi complesse con un valore semplice che varia in una scala da 50 a 150? Alcuni sembrano credere che per avere un procedimento scientifico basti misurare qualsiasi cosa, poi introdurre i valori ottenuti in un computer. Come se nel dialogo fra la teoria e l'esperienza la parola spettasse per prima ai fatti. Come se ammucchiando dati e sottoponendoli ad un trattamento statistico si avessero buone speranze di enucleare un principio generale. Occorrono i quarantasei cromosomi dell'uomo per apprendere una lingua, ma non si può imparare bene una lingua né troppo presto, né troppo tardi. E' impensabile che questi cromosomi determinino semplicemente la produzione di una massa di neuroni la cui quantità comporterebbe poi la qualità. Occorre già un certo livello d'organizzazione perché il bambino scopra i fonemi e comprenda le parole, le riutilizzi e le combini in modo nuovo e moduli il suo sviluppo intellettuale in risposta alle influenze esterne. Sembra più verosimile che per tutta una serie di attitudini mentali il programma genetico instauri quelle che si potrebbero definire «strutture di accoglimento», che mettono il bambino nella condizione di reagire all'ambiente, di individuare certe regolarità e di memorizzarle, poi di combinare tutti questi elementi in nuovi montaggi. Queste strutture nervose si affinano e si elaborano a poco a poco con l'apprendimento. E' in quel momento che, per un'interazione costante del biologico e del culturale durante lo sviluppo del bambino, possono maturare ed organizzarsi le strutture nervose che sottendono le prestazioni mentali. In uno schema del genere è evidente che non ha senso attribuire una frazione delle strutture finali all'eredità ed il resto all'ambiente, come non avrebbe senso chiedersi se l'amore di Romeo per Giuliétta fosse d'origine genetica o culturale. E' dunque per ragioni non scientifiche, ma ideologiche e passionali che si riaccende la vecchia polemica sull'innato e '.n'acquisito. Qui la biologia fa soltanto da garante, il che la pone in una posizione difficile. Da una parte viene attaccata da quanti criticano aspramente l'ordine sociale e la spingono a porre un freno alla ricerca di conoscenza pura per aiutare i deboli e gli sfruttati; dall'altra viene utilizzata dagli accaniti difensori dello stesso ordine sociale i quali, per giustificarlo, invo- cano un sedicente ordine biologico congegnato in modo da classificare gli individui, sceglierli, valutarli in rapporto a ciò che essi considerano la norma, cioè se stessi. Raramente si giudica la diversità genetica per quello che è, cioè uno dei principali motori dell'evoluzione, un fenomeno naturale senza il quale non saremmo in questo mondo. Quasi sempre questa diversità viene considerata o come soggetto di scadalo, o come mezzo d'oppressione. Per un singolare equivoco si tende a confondere due concetti peraltro ben distinti, l'identità e l'uguaglianza. La prima riguarda le qualità, fisiche o mentali degli individui, la seconda i loro diritti sociali o giuridici. La prima rientra nel campo della biologia e dell'educazione, la seconda in quello della morale e della politica. Naturalmente è quest'ultimo aspetto la posta del dibattito, sia che si voglia basare l'uguaglianza sull'identità, sia che, preferendo la disuguaglianza, la si voglia giustificare con la diversità, come se l'uguaglianza non fosse stata inventata proprio perché gli esseri umani non sono identici fra di loro. E' un po' come la bellezza femminile: se tutte le donne fossero belle allo stesso modo, non vi sarebbero più belle donne. Cosi, se tutti gli esseri umani si assomigliassero come gemelli monovulari il concetto di uguaglianza sarebbe privo di interesse. Sino a nuovo ordine, l'uso del sesso resta il metodo più sicuro per avere dei bambini. Ancora per molto tempo, cioè, quei geni che costituiscono il patrimonio della specie continueranno ad unirsi ed a separarsi per produrre quelle combinazioni sempre effimere e sempre diverse che sono gli individui. E non si può sottovalutare questa diversità, questa combinazione infinita che rende unico ciascuno di noi. In lei sta la ricchezza della specie, la sua potenzialità; in lei sta il sale della vita. Francois Jacob Copyright «Le Monde» e per I.'liulia «La Stampa»

Persone citate: Francois Jacob, Premio Nobel

Luoghi citati: Parigi