L'Inghilterra fa i conti di quanto costa l'Europa

L'Inghilterra fa i conti di quanto costa l'Europa BILANCIO DEL REGNO UNITO A SEI ANNI DALL'ADESIONE L'Inghilterra fa i conti di quanto costa l'Europa Il costo dell'appartenenza al Mercato comune è da tempo argomento di accesi dibattiti in tutta l'Inghilterra. Mentre nessuno, o quasi, mette in dubbio la «bontà» degli obiettivi perseguiti dalla Cee. e cioè che i vantaggi di fare parte della Comunità annullino, e di gran lunga, gli svantaggi, buona parte, se non tutta, dell'opinione pubblica è convinta che il costo «europeo» sopportato dal cittadino medio sia alto, e che potrebbe anzi superare la quota pagata dagli altri Paesi partners. Questo costo comprende due voci principali: i contributi al bilancio comunitario, che non vengono compensati dai pagamenti Cee verso la Gran Bretagna, e i prezzi piuttosto elevati delle importazioni alimentari dalla zona comunitaria, meno appetitosi per le tasche del consumatore rispetto ai prodotti di largo consumo di diversa provenienza geografica. L'interscambio risulta pertanto negativo per la nazione britannica per un ammontare comunque difficile da quantificare. In un recente articolo comparso sul Manchester Guardian, due economisti di Cambridge, Wynn Godley e Richard Bacon, hanno calcolato che lo scorso anno l'Inghilterra abbia sborsato per la Cee un totale di 1,137 milioni di sterline, il che fa 37 mila lire a testa per abitante contro le 20 mila annue del cittadino tedesco e le 19 mila lire per ogni italiano. Mentre questi tre Paesi avrebbero «pagato» per appartenere alla Cee, gli altri partners europei, sostengono i due studiosi, avrebbero invece «guadagnato»: 19 mila ogni francese, 27 mila ogni belga e lussemburghese. 60 mila ogni olandese. 180 mila ogni danese e addirittura 250 mila lire ogni irlandese. Paese a cui spetta il primato dell'arretratezza economica fra i Nove. E' chiaro che tali cifre non sono state accettate a Bruxelles: la Commissione le ha contestate rilevando numerosi errori che sarebbero stati fatti nei calcoli «allo scopo di inflazionare i dati che riguardano l'Inghilterra». La Commissione ha tuttavia ammesso, e non poteva essere altrimenti, le difficoltà oggettive in cui si dibatte l'Inghilterra e si è affrettata a proporre un diverso sistema di ripartizione dei contributi.' Resta però da chiarire una divergenza, piuttosto profonda, sulla filosofia dei «più» e dei «meno»: mentre è relativamente agevole stabilire i secondi, per i primi le stime sono quasi sempre approssimative. Basta un esempio: come si può stabilire con precisione il guadagno reale che spetterebbe all'Inghilterra per la sua adesione alla Ceé? Negli ultimi anni lo Stato britannico ha incassato regolarmente la fetta di rimborsi europei di sua competenza, erogazioni che sono provenute da vari fondi, dall'agricolo (in minima parte) al regionale e sociale. L'ammontare complessivo dei rimborsi è stato tuttavia sempre, eccetto il 1975. inferiore al contributo versato. Come abbiamo detto, questo quadro della situazione viene contestato negli ambienti comunitari dove si af¬ ferma che l'Inghilterra tace sui vantaggi goduti, ad esempio, dal ricavo dei montanti compensativi che le consentono di importare certi prodotti dalla Germania a costi relativamente bassi. In più, è la tesi di molti funzionari di Bruxelles, gli stessi montanti avrebbero agito da calmiere. Secondo la Cee i compensi dati alla Cee in questo settore sarebbero stati di oltre mezzo miliardo di sterline nel 1977 per la sola Inghilterra che avrebbe cosi chiuso quell'anno in attivo. Se le stesse cifre fossero proiettate per i prossimi esercizi finanziari, il contributo netto inglese risulterebbe meno della metà di quello tedesco, cioè 306 milioni di sterline contro 686 L'interpretazione viene ovviamente respinta da Londra per la quale i montanti compensativi finiscono per favorire soltanto i Paesi esportatori e non quelli a prevalente flusso di importazione come sarebbe il caso della Gran Bretagna. Il ping-pong, quale che sia il risultato cui dovesse pervenire, non altera comunque la conclusione alla quale sono giunti i due economisti di Cambridge, dato che un eventuale utile nei contributi comunitari significa automaticamente il rincaro del prezzo dei prodotti importati, e viceversa. D'altra parte, è anche vero che l'indice del costo dei prodotti alimentari non è salito a causa dei legami con la Cee. In una dichiarazione ai Comuni il governo è stato al riguardo molto esplicito: da quando Londra è entrata nella Comunità, cioè nel 1973. i prezzi sono saliti del 146.9 per cento, e di questo solo il 10 per cento può essere imputato al maggior onere derivante dagli scompensi della politica agricola europea. In più. ed è un argomento da non sottovalutare, se l'Inghilterra non fosse membro dell'Europa dei Nove, l'apparato statale dovrebbe pur sempre provvedere a fornire adeguati sussidi ai propri agricoltori senza poter attingere ai fondi europei. In tale eventualità, basandosi cioè unicamente sulle proprie forze, il contributo statale alla voce agricoltura si aggirerebbe sui 1100 milioni di sterline l'anno, ben di più della quota di erogazione al fondo Cee. In verità la situazione è ancora più complicata perché calcoli di questo genere non prendono in considerazione che i costi aggiuntivi pagati per le importazioni alimentari significano soldi sborsati de facto, quindi un trasferimento di risorse finanziarie all'estero, i 1100 milioni di sterline di cui si parlava prima, somma che altrimenti sarebbe rimasta in patria. Questo andamento negativo non rende l'Inghilterra diversa dagli altri Paesi ma è un dato di fatto, ed anche gli avversari del Mec sono pronti ad ammetterlo, che la performance industriale inglese abbia risentito di certe remore tradizionali proprie della sua classe industriale postbellica. E' quindi in questo campo, assumendo cioè maggiore iniziativa, che l'Inghilterra può migliorare il proprio assetto economico e contrastare efficacemente il suo costo di appartenenza all'Europa. Peter Strafford

Persone citate: Richard Bacon, Wynn Godley