Londra aveva ragione a temere la Comunità?

Londra aveva ragione a temere la Comunità? POCHE SPERANZE ESAUDITE Londra aveva ragione a temere la Comunità? Poche delle sperarne avanzate sei anni fa dagli inglesi dopo la tormentata decisione dì entrare nel consesso dell'Europa dei Nove sono state esaudite in campo economico. Solo da poco si registra un leggero miglioramento nella bilancia commerciale, vista da questa sponda della Manica. Il testo è buio. Dunque buona parte delle apprensioni che avevano preceduto l'adesione alla Comunità è stata giustificata dai fatti. La politica agricola comune, il sistema contributivo al bilancio Cee e la guerra per la pesca rappresentano i tre esempi più significativi del malumore inglese verso l'europeismo, malumore che gli anti-marketeers esaltano ed alimentano trascinandolo sul terreno demagogico della perdita di sovranità. Sui tre punti in questione il consenso è unanime: il sistema attuale è ingiusto verso l'Inghilterra, occorrono strumenti immediati per rivedere gli accordi e ridurre le divergenze che si stanno facendo sempre più acute. Prendiamo il caso della politica agricola comune. L'argomento sul quale avevano fatto leva i difensori del sistema (voluto per assicurare la stabilità dei rifornimenti alimentari) ha fatto cilecca in larga misura dando l'impres-> sione agli inglesi di essere null'altro che un meccanismo di protezione che assicura alti prezzi al consumo, creando montagne di eccedenze, e innervosendo i nostri partners commerciali con i dazi imposti alle importazioni e i sussidi ai dumpings. Peggio ancora, non si è rivelato autosufficiente, come molti avevano invece supposto, vista la forte corrente di importazioni di carne e di grano di provenienza dagli Stati Uniti. Non dimentichiamo in proposito la perversa combinazione fra prezzi in salita e scorte, specie quando la domanda risponde molto all'offerta. Per il burro il consumo medio inglese è calato del 25 per cento negli ultimi tre anni. In più gli inglesi si sentono oltraggiati quando apprendono die i fondi della Cee vengono impiegati per sostenere la vendita delle montagne di stocks a Paesi esterni alla Comunità con un cartello di iirczzi ridotto. L'uomo della strada inglese dice insomma che dovrebbe beneficiare lui, e non un cittadino russo. Il punto di vista inglese è preciso: il miglior metodo per eliminare le eccedenze sta nel tenere i prezzi all'ingiù, perciò bisogna abbandonare l'assistenza ad agricoltori inefficienti che in passato venivano aiutati per motivi sociali ed ambientali. Per ora però il consumatore britannico, va detto ad onor del vero, è stato difeso abbastanza bene dai contraccolpi combinati dei prezzi «made in Cee» e dalla caduta del potere di acquisto della sterlina. L'Inghilterra è insomma riuscita a conservare la sua immagine tradizionale di economia a basso salario abituata a cibi piuttosto modesti. Giustizia vuole tuttavia sostengono gli inglesi, che si] esca dal grottesco della situazione corrente che vede l'Inghilterra avviarsi in cima ai contribuenti per il bilancio' europeo mentre il suo prodotto interno lordo prò capite figura appena al settimo posto fra i Nove. E' un assurdo e deriva dal fatto che l'industria agricola inglese, pur essendo abbastanza efficiente, lo è meno sul piano delle esportazioni, non in grado quindi di ottenere gli sgravi previsti dalla Cee mentre, come ha scritto Strafford, in un altro articolo di Europa, la produzione industriale non è riuscita a bilanciare lo scompenso del settore agricolo. Sul problema della pesca, la controversia ha assunto i, temi polemici che avevano contraddistinto a suo tempo la guerra sul inno fra Francia e Italia. Qui si sostiene che l'Inghilterra potrebbe trarre grossi vantaggi dal controllo esclusivo della fascia territoriale costiera di 200 miglia di mare aperto. La realtà è diversa. Una nazione storicamente marittima, nella quale nessun punto dell'entroterra dista più di 100 chilometri dal mare, ha dovuto affrontare, al momento del suo ingresso nel Mec. una politica della pesca approntata in gran fretta dai suoi soci continentali che consente loro il libero accesso alle acque territoriali britanniche in attesa della revisione degli accordi esistenti prevista alla fine del 1982. Dall'estate 1976 l'Inghilterra si è battuta per una zona limite di 12 miglia e per certe «posizioni preferenziali» in aree particolari dove il limite sarebbe esteso alle 50 miglia. Londra non vuole impedire che i pescherecci europei gettino le reti nelle sue acque, chiede solamente di stabilire quote di pescato da ripartirsi fra le nazioni europee della Cee in modo da bilanciare la perdita dei diritti di pesca in acque non Cee. come quelle dell'Islanda. Per ora gli otto partners sono rimasti fermi nella difesa del principio del libero accesso. Nessun compromesso è in vista prima delle elezioni visto che alcuni seggi cruciali dei laboristi provengono da zone costiere. Se i conservatori dovessero salire al potere, è indubbio che il loro atteggiamento sarebbe egualmente duro, anche se più morbido, verso l'Europa. Se i> prezzo delle «montagne» di burro, se il futuro dell'industria ittica e se i trasferimenti di bilancio debbono dare la misura delle perplessità «europee» degli inglesi, allora il minimo che si può dire è che essi riflettono il declino economico e politico del Paese, e con esso la mancanza collettiva di immaginazione. Roger Berthoud

Persone citate: Roger Berthoud