Le violente notti americane di Ennio Caretto

Le violente notti americane SCONTRI FRA BANDE GIOVANILI, AGGRESSIONI SUL METRO' Le violente notti americane «Gang» armate terrorizzano alcuni quartieri di New York, Los Angeles, Chicago - Un'ondata di film sembra soffiare sul fuoco: dopo «The Warriors» (I gladiatori) e «Boulevard Nights» (Notti lungo il viale), sta ora per uscire «Walk proud» (Cammina a testa alta) sulla vita di gruppi paramilitari - «La violenza — scrive un giornale — non può essere attribuita solo a Hollywood, è insita nella nostra società» - Le spiegazioni dei sociologi NEW YORK — La violenza giovanile è nuovamente esplosa in America. Gangs armate, con un'organizzazione paramilitare, ricominciano a terrorizzare alcuni quartieri di New York, Los Angeles e Chicago. Scontri sanguinosi, di origine razziale, economica, campanilistica, tornano a scoppiare in provincia. Nelle sotterranee delle metropoli e nei treni delle campagne, i passeggeri vivono sotto l'incubo delle rapine o degli omicidi. Apostati minorenni di sette pseudoreligiose svelano incredibili vicende di abusi, plagi, torture e morti. Come ha scritto la rivista U. S. and World Report. è un salto indietro nel tempo, ai ..giubbotti neri» del '60. dai capelli impomatati, le scarpe a punta e i coltelli a serramanico. Ma rispetto a quell'epoca, romanticizzata dal musical West Side Story, nel ricordo di -Giulietta e Romeo-, vi sono oggi più crudeltà, più disperazione. più impudenza. Un'ondata di film sulla guerra delle bande e sui crimini dei giovani ha costretto l'America a prendere coscienza del fenomeno. Il primo è stato ..The Warriors» (I gladiatori), di Walter Hill, interpretato da attori sconosciuti. Rifacendosi all'Anabasi di Senofonte, Hill ha raccontato la fuga di una gang, i gladiatori appunto, da un'adunata di coetanei allo stadio «Yankee», attraverso New York, fino a Coney Island. Inseguiti dalla polizia e dai rivali, che li ritengono colpevoli dell'assassinio di un «profeta», i gladiatori raggiungeranno la salvezza, dimezzati, dopo aver semidistrutto la città. La reclame del film ha esaltato con queste parole «le armate della notte»: «Sono centomila. Per ogni cinque di loro, c'è un solo agente. Potrebbero impadronirsi di New York. Ma stanotte, vogliono uccidere soltanto i gladiatori». Sparatorie Nella prima settimana di proiezione, il film ha avuto un effetto allucinante. Il 12 febbraio, a Palm Springs in California, un gruppo di negri minorenni. «I giubbotti azzurri», ha insultato una ragazza di una banda bianca rivale. ..La famiglia». E' scoppiata una sparatoria, e Kenneth Eller è caduto fulminato. Il 13 febbraio, a Oxard, ancora in California, iiì circostanze analoghe. Timothy Gitchel. di 17 anni, è stato ucciso a bastonate. Dopo I gladiatori, è giunto ..Boulevard Nights.. (Le not- ti lungo il viale). Il film, senza riferimenti classici, è uno spaccato delle imprese serali delle bande giovanili di Los Angeles. La violenza automobilistica, il furto delle macchine, le cieche corse omicide, le provocazioni per le strade, sono la droga di quei ragazzi di borgata. «Le notti lungo il viale» ha ottenuto lo stesso risultato del suo predecessore: delitti e incassi, parziale marcia indietro della casa produttrice, la Warner, e polemiche sui giornali e in Parlamento. Adesso, stanno per uscire The Wanderers (I vagabondi), ispirato ai «Gladiatori». la storia di unu gang che gira per l'America: «Over the Edge», (Oltre il ciglio), ritratto di una banda di ragazzi «bene» che spadroneggia nel proprio rione: e «Walk proud», (Cammina a testa alta), sulle battaglie dei fanatici organismi paramilitari delle scuole. La violenza dei minori, tuttavia, agitava l'America da mesi, molto prima che apparisse questa valanga di pellicole. La magistratura, adottando il sistema forte, aveva modificato la legge in alcuni Stati già lo scorso autunno. I «criminali», dai tredici ai quindici anni inclusi, erano stati deferiti dai cosiddetti tribunali di famiglia a quelli regolari. Un quattordicenne era stato condannato a quasi mezzo secolo di detenzione per una serie di rapine a mano armata. Sentenze «esemplari» venivano applicate anche per semplici furti. «I gladiatori e altri film del genere — ha osservato il New York Times — hanno registrato un processo degenerativo preesistente. Hanno aggiunto legna al fuoco, ma non l'hanno acceso». Pur parlando di corresponsabilità, il Washington Post ha aggiunto: «La violenza non può essere attribuita solo a Hollywood, è insita nella nostra società». In un certo modo, la presa di coscienza dell'America ha aggravato le dimensioni del fenomeno. Costumi ed episodi che prima si perdevano nella cronaca nera o nel folclore hanno acquisito diversa rilevanza. New York si è accorta con orrore che squadre di vigilantes, o giustizieri, pattugliavano le strade alla ricerca delle gangs. Contemporaneamente, ha scoperto l'inferno della metropolitana, dove due bigliettari, tra i tanti reati, sono stati bruciati da tre sedicenni, Linda Krauss, William Pouth, Peter Grassia, che volevano vendicarsi di un richiamo. Allo scoppio della protesta cittadina, il sindaco Edivard Koch ha varato un «progetto sicurezza», con circa 1000 agenti, che costerà ai contribuenti sei miliardi. La risposta giovanile è stata lo spostamento della «lotta» dal centro alla periferia. Coìì sgomento, l'opinione pubblica s'interroga ora sulle ragioni del fenomeno. Pauline Kael. il critico cinematografico del New Yorker. vede nel riflusso il segno dell'alienazione. «Mentre La febbre del sabato sera raffigurava la fuga del proletariato verso la borghesia — dice — I gladiatori esprime la rivolta dei diseredati. Il film, e in parte anche gli altri, è l'Anabasi dei senza speranza, dei reietti. La ragione dell'esistenza dei ragazzi sta nelle bande, nei loro combattimenti. Nei quartieri più tristi di New York. Los Angeles e Chicago lottare è più importante di qualsiasi altra cosa, una misura di nobiltà». Rabbia sociale Il giurista Richard Delgado è uno di quelli che danno invece un'interpretazione storica del fenomeno: «Dalla fine degli Anni Cinquanta-inizio degli Anni Sessanta sino a poco tempo fa — asserisce — la violenza giovanile era stata assorbita dalla guerra del Vietnam. Di fronte a quella realtà, i giovani avevano abbracciato il pacifismo, trasformandosi in hippies, in figli dei fiori. Adesso che tutto è più facile, riesplode la rabbia sociale». Ann Landers, una delle più note giornaliste newyorchesi, cerca invece nella famiglia le radici del fenomeno. In un libro, ricorda che un ragazzo su quattro cresce in una casa «dove domina lo scontro, la forza, il sopruso». «Si calcola che 100 mila giovani scappino ogni anno — sottolinea — e un altro milione se ne vada con il consenso dei genitori». A suo parere «è nella sterminata popolazione vagante minorile che si trova la spiegazione di tante aberrazioni». Ellen Godma, un autorevole sociologo di Boston, appro- fondisce il tema. «Nella nostra società — asserisce — vi è un periodo sempre più ampio della vita umana di autonomia, che può andare dai 14 ai 20 anni, in cui i giovani sono ormai staccati dalla vecchia famiglia ma non se ne sono ancora formata una nuova. Essi non hanno a chi chiedere consiglio e dispongono di molto tempo libero: agiscono come in un limbo, e la loro povertà li spinge a una protesta irrazionale». / vari moventi, dall'alienazione alla carenza familiare, sono fusi insieme dallo psichiatra Ernest Van Den Haag per spiegare il successo delle sette pseudoreligiose. «Esse rappresentano l'altra faccia della violenza. Promettono ai ragazzi di riempire il vuoto della loro vita, di sollevarli dalle responsabilità che l'autonomia comporta. In realtà, costituiscono serbatoi di follia. Dopo pochi mesi, o anni, i ragazzi, bruciati dall'ultima, cocente delusione, tornano sulle strade ancora più sbandati». Per Van Den Haag non esi•ste rimedio immediato. «L'unica via possibile — dice — è ricostruire l'unità familiare. L'educazione inizia in casa. La Chiesa, lo Stato possono apportare un grande, ma secondario contributo, come la scuola». Ennio Caretto Ncw York - Una donna scippata nel metrò è soccorsa da un agente in borghese mentre un altro blocca l'aggressore (Publifoto)