«Il pericolo dei Lager nazisti è ora nei manicomi e in carcere» di Liliana Madeo

«Il pericolo dei Lager nazisti è ora nei manicomi e in carcere» Al convegno sui campi di sterminio degli ebrei a Roma «Il pericolo dei Lager nazisti è ora nei manicomi e in carcere» Lo ha affermato Lidia Rolfi intervenuta con Terracini, Edith Bruck ed altri alla Borromini ROMA — Il sen. Umberto Terracini ha portato la testimonianza della sua esperienza di militante antifascista ed ebreo, che per tali colpe ha speso venti anni della sua vita fra carcere e confino. La scrittrice Edith Bruc ha raccontato la sua storia di bambina ebrea e povera, emarginata nel suo villaggio ungherese per l'intolleranza razziale e di classe della piccola comunità in cui era nata, e poi l'inferno dei campi di sterminio dove — come continua con ostinata sofferenza a ricordare nei suoi libri — fu internata e perse una parte della sua famiglia. Un'onda di commozione è passata per la sala Borromini, dove venivano evocati brandelli di un'esperienza che milioni di persone hanno consumato, e che un generale processo di rimozione collettiva sembra voler cancellare o snaturare o ridimensionare con attacchi alla verità e alla storia che mai come in questa circostanza sono apparsi tanto offensivi. Su iniziativa della Federazione Giovanile Ebraica, si è svolto il convegno: «Sei milioni di prove: ricordare per essere liberi*. A distanza di quarantanni dall'introduzione delle leggi razziali, sono stati i giovani della comunità ebraica a chiedere un dibattito, una riflessione sulle radici dell'antisemitismo e sull'eredità che sopravvive e si perpetua ancora oggi. Hanno proiettato un documentano sui lager nazisti, hanno dato la parola a politici e uomini dì cultura (come Primo Levi e Stefano Rodotà). Lidia Rolfi ha dato un ordine rigoroso ai suoi ricordi. Era una staffetta partigiana, quando fu spedita a RavensbrUck. il campo per sole donne costruito dai nazisti nel '33: le prime ad entrarvi furono le tedesche. 196. Anche questo campo, come gli altri che fin dal '33 erano incominciati a sorgere, aveva strutture «definitive», destinate a durare nel tempo: edifici in muratura, recinzioni solide, villette per le SS. attrezzature sportive per i carcerieri. In principio vi venivano destinate le persone che attentavano all'ideologia nazista, comunisti, testimoni di Geova, sindacalisti, cattolici. Dopo il '42 si intersecano le deportazioni dei politici con quelle dei comuni. Il Reich richiede forza lavoro e un continuo ricambio di mano d'opera. • Il discorso sulle camere a gas è limitativo e fuorviante: il discorso è sulla spersonalizzazione del deportalo, sulla privazione della sua dignità, sulla conflittualità fra vittima e vittima volutamente alimentata — ha detto. — Per questo è scandaloso che, una volta finita la guerra, tutto si sia limitato a fare di noi delle vittime, con relativo rimborso, e a processare alcuni criminali di guerra. Ma nessuno degli industriali tedeschi, che sul nostro lavoro hanno fatto affari (succursali delle maggiori fabbriche sorgevano alla periferia dei campi: al confine col mio c'era una sede della Siemens), è stato chiamato a rispondere dei crimini commessi. Si è voluto salvare la faccia della Germania. Un muro è stato fatto cadere fra noi e il mondo. Ma il nostro messaggio è questo, e non dobbiamo stancarci di ripeterlo: il pericolo dei campi di sterminio è ricorrente, non solo dove si massacrano e umiliano gli uomini, ma anche in quelle strutture "dinli" che offendono e distruggono la dignità della persona: nei manicomi (che adesso si è imparato a chiamare lager), nelle caserme (dove si costringe a lavori inutili, perché non si pensi), nelle prigioni...*. A Ravensbruck, ha raccontato, le italiane sono arrivate fra le ultime, nel '44. Il campo scoppiava: era nato per 6 mila persone, ne conteneva 33 mila. La sopravvivenza era di chi riusciva ad avere un lavoro. Le italiane non vennero accettate da nessuna comunità, non conoscevano le lingue, non riuscivano a far capire alle «politiche» che qui c'era stato 1*8 settembre, c'era la resistenza, c'erano fra loro le antifasciste. In quell'anno arrivarono 580 donne incinte. Subito venivano fatte abortire, anche se erano all'ottavo mese. I neonati, quei pochi che riuscivano a venire alla luce, morivano dopo unadue settimane di vita, per la mancanza di alimen.tazione. Dalla sua condizione di sottoproletaria, destinata all'inedia e poi alla morte, lei venne fuori per un guizzo di disperazione, di coscienza, andando a infilarsi nel gruppo delle lavoratrici della Siemens. LI, a fianco delle francesi, apprese le leggi del campo, «la lezione politica die non aveva nulla di eroico come si era sognato sui monti* ma che permetteva di mantenere viva la coscienza in una struttura che mirava solo a distruggerla. «Imparai che rubare era bene, ma ai tedeschi non alle compagne, che era politico lavorare male, sabotare il prodotto, evitare le botte, risparmiarle alle altre, rubare la carta per scrivere, far funzionare il cervello per conservare il ricordo di quell'esperienza, far circolare le notizie sulla guerra, non dimenticare per poter raccontare la tragedia di cui eravamo stati testimoni. Poi, quando siamo tornati, non abbiamo piti potuto raccontare niente. La gente non ci ha voluto ascoltare*. Liliana Madeo

Persone citate: Borromini, Edith Bruc, Edith Bruck, Lidia Rolfi, Primo Levi, Stefano Rodotà, Terracini, Umberto Terracini

Luoghi citati: Germania, Ravensbruck, Roma