IL CASO DI EMILIO GUARNASCHELLI IL TORINESE MORTO NEL GULAG di Clemente Granata

IL CASO DI EMILIO GUARNASCHELLI IL TORINESE MORTO NEL GULAG IL CASO DI EMILIO GUARNASCHELLI IL TORINESE MORTO NEL GULAG Quel ragazzo vittima di Stalin I vecchi compagni sono reticenti: non vogliono riaprire un capitolo imbarazzante - Tace il fratello Mario, da oltre 50 anni iscritto al pei - Nel '35 si rivolse a Togliatti, allora a Mosca: «Può aver agito in buona fede» - Ottenne solo d'essere sconfessato da «l'Unità», come «sospetto» - Intanto Emilio, accusato di deviazionismo, finiva in Siberia il suo calvario, TORINO — .Lasci perdere. Mio marito Mario è ammalato. E poi non ha nulla di particolare da dire. Cose vecchie. C'è 11 libro. Lo legga». 72 tono è perentorio. Siamo al terso piano di un edificio di largo Gottardo. E' la Torino un po' slavata, un po' anonima della Barriera di Milano. La donna incalza: «Col libro mio marito non c'entra. Aveva le lettere del fratello e le ha consegnate alla cognata Nella. Le ha detto: "Ecco il ricordo del tuo primo amore". Nella si è rivolta all'editore all'insaputa di tutti. Adesso vogliamo vivere tranquilli. Non c'è altro». Peccato. Una puntuale testimonianza di Mario Guarnaschelli, 76 anni, da oltre 50 iscritto al pei, sarebbe stata preziosa per ricostruire un brano di storia straziante, un dramma oscuro. Una parte di quel dramma già è stata raccontata su La Stampa (21 marzo scorso). Anno 1933. Emilio Guarnaschelli, torinese ventiduenne, fratello di Mario, comunista convinto, da Bruxelles raggiunge l'Urss, la «desiata meta», com'egli la chiama. Ci sono chiare tendenze libertarie nel socialismo utopistico del giovane. E anche sfumature anarcoidi. Il che gli costa caro perché, tradotto nel linguaggio dell'Urss di Stalin, significa -trotskysmo», deviazionismo. Per Guarnaschelli è il carcere (1935), il confino, la fame e la morte in Siberia, anno 1939. Un calvario di quattro anni scandito dalle lettere, che il giovane scrive a Mario e che Ghepeu e Ovra lasciano partire e giungere a destinazione dopo averle esaminate attentamente. C'è in quegli scritti indignazione per la condanna ingiusta, rabbia, sconforto: «Devo dirvi l'atroce verità. Compagni ci siamo sbagliati. Coraggio». A quarantanni di distanza quelle lettere rivedono la luce a Parigi in un libro (La petite Pierre) pubblicato dall'editore Francois Maspero. Ma ora si pongono altre domande. Come reagì il gruppo dei comunisti torinesi^ alla notizia dell'arresto di Guarnaschelli? E il fratello Mario? Con il suo, ci sono altri silenzi, reticenze, tentativi di rimozione. Il motivo forse è questo: rispondere significherebbe chiamare in causa le responsabilità di Togliatti e non si è ancora disposti a farlo. Vediamo innanzi tutto cos'era il pei clandestino all'inizio del 1935. Può aiutare a capire. Il partito usciva da tremende esperienze. L'Ovra aveva colpito durissimo in ondate successive: arresti del 26 giugno 1926, del 28 giugno 1931, del febbraio 1934. Poi verranno gli arresti del 24 ottobre 1935. Un partito esposto alle infiltrazioni di provocatori e spie dell 'Ovra, un partito decimato, nei suoi dirigenti eppure mai minato nella volontà di lottare. Lo testimonia una fonte insospettabile, la circolare interna dell'Ovra del 14 febbraio 1935, sui comunisti di Borgo San Paolo. Vi si legge: «Essi non sono mai rimasti inoperosi nonostante gli arresti e la caduta degli elementi migliori». All'inizio del 1935 giunge dal centro estero del pei, operante a Parigi, l'indicazione di una nuova strategia: «Occorre compiere i primi passi per la ripresa del movimento di classe sul terreno delle, possibilità legali, quali ad esempio le riunioni del sindacato fascista. Ciò offre garanzie per sfuggire ai colpi della reazione e alle insidie della provocazione e può contribuire a disorientare i fascisti portando nel loro seno i motivi della lotta di classe». Il compito di cercare i contatti con le organizzazioni del regime (facendo così opera di propaganda sul piano delle -possibilità legali») viene assunto a Torino dal gruppo di Scarpone e Stragiotti, mentre il gruppo che fa capo a Vincenzo Ramella e a Mano Guarnaschelli è «dedito a un lavoro di paziente propaganda nei centri operai, tra i vecchi operai antifascisti e la gioventù proletaria non inquadrata nelle organizzazio- ni fasciste» (fonte: La macchina repressiva di Giulio Sapolli). Una terza iniziativa riguarda i contatti con un gruppo di cattolici facenti parte del -Comitato direttivo assoluto cristiano-comunista». Così compare sulla scena la figura di Mario Guarnaschelli Ed ecco giungere nello stesso tempo dall'Urss la notizia che il 1° gennaio 1935 suo fratello Emilio è stato arrestato dalla Ghepeu per attività contro il regime. Nell'animo di Mario Guarnaschelli si apre un profondo dissidio: da un lato l'affetto profondo che lo lega al fratello, l'ansia per la sua sorte, il desiderio di agire per la sua salvezza e dall'altro lato la radicata ortodossia, la fede nell'Urss, la forza del mito, la stessa che aveva spinto Emilio a partire, 'a stessa che, seppure in forma ingenua e rozza, troviamo espressa, nella scritta di un clandestino, sui muri della chiesa di Castagneto Po nel settembre 1932: «Lavoratori, amate la Russia dei Soviet, essa sola rivendica agli uomini il diritto di vivere». Mario Guarnaschelli si consulta con gli esponenti del suo gruppo e scrive una lettera ad Emilio, la quale si muove nell'ambigua zona di confine tra le ragioni del cuore e della speranza e le ragioni del partito. Il senso è questo: «Caro Emilio, c'è una gran confusione ideologica e in questa confusione anche tu, in buona fede beninteso, avrai fatto qualcosa che non va, altrimenti non vedo come le autorità dell'Unione Sovietica abbiano potuto incarcerarti. Rifletti, vedrai che hai sbagliato e che ne uscirai fuori». Disperata lettera, se pensiamo anche che accanto ai fogli scritti Mario ha cura di metterne altri spalmati di estratto Liebig, modestissimo conforto al fratello, che soffre la fame. Dall'altro capo del mondo giunge l'eco della protesta di Emilio: «Non faccio l'autocritica, sono innocente». Nell'ambito del gruppo torinese le notizie dall'Urss provocano qualche sbandamento, forse un principio d'incrinatura in una fede che doveva essere eterna. Scrivono al -centro estero» del pei a Parigi: «Che cosa succede in Russia? Dateci notizie precise». La risposta giunge con i soliti mezzi clandestini: un ampio materiale propagandistico sulle conquiste della patria del comunismo. Vuol essere una risposta rassicurante per le coscienze. Ma il destino di Emilio? 24 febbraio 1935. Mario compie un passo che crede, decisivo. Scrive (e il senso della lettera è questo): «Caro compagno, se mio fratello ha sbagliato, sono il primo a condannarlo al cento per cento. Ma se ha sbagliato, non dimenticare la confusione ideologica in cui viviamo, tieni presente che può aver agito in buona fede. Persuadilo, digli che io non approvo il suo atteggiamento. Vedrai che si ravvederà». La lettera destinata al compagno Ercoli, Palmiro Togliatti Hotel Lux di Mosca, è affidata a un emissario. Il gruppo torinese invia inoltre, tramite l'ambasciata sovietica a Roma, una domanda di grazia in favore di Emilio. Ma non giunge alcuna risposta. O meglio, sul numero 10, anno XII (1935) dell Unità clandestina c'è una terribile risposta indiretta in tre righe di piombo: «Guarnaschelli Mario, da Torino, abitante in corso TV Novembre 350 è elemento sospetto da diffidare». ■Firmato: la segreteria del pei. La giustificazione postuma della diffida sarà: Guarnaschelli con altri compagni un giorno aveva passato il confine con la Francia e fu l'unico a rum essere arrestato. Ma è una giustificazione che non soddisfa: Guarnaschelli era anche l'unico ad avere il passaporto in regola. La diffida in realtà ha tutta l'aria di essere la sconfessione dell'uomo che, pur concedendo molto al partito, ci\ca di salvare il fratello. Ha tutta l'aria di essere il terribile monito a coloro che, seppure in modo indiretto, sollevano obiezioni sull'Urss. Pur sconfessato e amareggiato, Mario Guarnaschelli non perde la fiducia nel partito e ora, quarant'anni dopo, per il tramite di un compagno, ci fa sapere: «Non ricordo di essere stato diffidato dal pei, o meglio credo di poterlo escludere». Ma rimane il documento dell'Unità, clandestina, il cui articolo di fondo è significativo: «Pare come in Russia». Ci dice un giovane dirigente del pei che non desidera essere nominato: «Ci sono ancora troppe reticenze nel partito. Alcuni (e non sono necessariamente anziani) preferiscono non indagare sul passato e non aprire il capitolo delle possibili responsabilità di Togliatti per la sorte toccata a molti compagni in Urss (Guarnaschelli è uno dei tanti). Eppure bisogna guardare in faccia 11 passato, lasciare da parte ogni velleità giustificazionlstica, se vogliamo veramente acquistare una definitiva credibilità democratica». Clemente Granata