Si riuniscono i Paesi dell'Opec Petrolio forse rincara del 20 % di Mario Ciriello

Si riuniscono i Paesi dell'Opec Petrolio forse rincara del 20 % I ministri del greggio a Ginevra lunedì e martedì Si riuniscono i Paesi dell'Opec Petrolio forse rincara del 20 % I prezzi si adegueranno al mercato - Nasce la strategia della produzione DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE GINEVRA — La cosmopolita alleanza dell'Opec è di nuovo al centro della scena internazionale: questa volta, a Ginevra, dove i suoi ministri del petrolio esamineranno lunedi e martedì la situazione creata dalla crisi iraniana. Ufficialmente, è un convegno «consultivo", ma soltanto i superottimisti pensano che il dibattito si concluderà senza variazioni nei prezzi. «Consultiva» o deliberante, la conferenza cercherà di restaurare l'architettura dei prezzi, deformata dalle iniziative dei singoli produttori negli ultimi due mesi, e nel far ciò dovrà forse appesantire l'aumento del 3,8 per cento già destinato a scattare dal 1 aprile. Sembra inevitabile. I venditori Arabi non sospendono forniture di greggio agli Stati Uniti KUWAIT — Non ci sarà un nuovo embargo del petrolio contro gli Stati Uniti da parte araba, ha dichiarato il ministro degli Esteri siriano, nonostante il giudizio contrario al trattato di pace fra Egitto e Israele ispirato dagli Stati Uniti. In un'intervista al quotidiano conservatore Al Watan. il ministro Abdul Halim Khaddam ha infatti dichiarato: «Non chiederemo ai Paesi arabi produttori di greggio di arrestare le forniture agli Usa. per non distogliere l'attenzione né dal reato di alto tradimento commesso dal presidente egiziano verso il suo popolo e verso la nazione araba né dal fatto che gli israeliani occupano territori arabi». Khaddam ha aggiunto che saranno prese sanzioni contro l'Egitto e contro le società che trattano con Israele, ma che tali sanzioni non colpiranno «l'oppresso popolo egiziano». Egli ha quindi invitato «tutti gli arabi, specie gli egiziani, ad aumentare la violenza rivoluzionaria per soffocare e rovesciare il regime di Sadat». controllano tuttora il mercato. Ma non è diminuito il minaccioso squilibrio tra domanda e offerta? Non si sono attenuate le tensioni più allarmanti? Si, è vero. La fine dell'inverno, le riduzioni nei consumi e, in modesta misura, il contributo dei petroli non-Opec, questi tre fattori stanno moderando la corsa agli acquisti. Mancano sempre due milioni di barili al giorno, ma minore è l'ansia di comprare a qualsiasi prezzo. La previsione, dunque, è questa. Che a Ginevra i prezzi si adegueranno a quelli del mercato, e saliranno, ma non subiranno altri rialzi nel '79 se non i due «ufficiali» già in programma, decretati ad Abu Dhabi in dicembre. E' una magra consolazione, è una prospettiva meno drammatica di quella che si delineava in febbraio. E' errato concentrare l'attenzione sul problema dei prezzi, perché ve ne sono altri, non meno importanti e più inquietanti. Tuttavia, qualche calcolo è necessario, anche perché il soggetto è divenuto ancora più ostico di quanto già non fosse. Ad Abu Dhabi, furono concordati quattro «scatti», del 5 per cento il 1" gennaio, del 3,8 il 1" aprile, del 2,2 il 1" luglio e del 2,6 il 1" ottobre. Complessivamente, il rincaro sarebbe stato del 14,5 per cento, pari a una media del 10 per cento sull'arco dell'anno. Quel barile di greggio arabico leggero, il petrolio-pilota, che nel dicembre '78 costava dollari 12,70 sarebbe costato nel dicembre '79 dollari 14,54. Queste erano le intenzioni, ma la bufera iraniana sconvolgeva la scena, scompigliava l'itinerario. Il rapido passaggio da un surplus a una carenza di greggio offriva alle 13 nazioni dell'Opec l'insperata possibilità di ricuperare parte del potere d'acquisto perso dopo il '74. E molte ne hanno approfittato, o con «sopra-prezzi» o con vendite sul più redditizio mercato libero. Risultato: soltanto il 55 per cento del greggio Opec è ora venduto al prezzo ufficiale. Ciò che avverrà forse a Ginevra, è una «incorporazione» di tali rincari nella struttura eretta ad Abu Dhabi. L'aumento nell'anno non sarebbe più allora del 14,5 per cento ma potrebbe arrivare al 18, al 20 e superarlo. Certo, sarebbe inferiore se l'Opec innalzasse il prezzo ma rinunciasse ai due successivi scatti. Tutto è possibile, meglio però non illudersi. Il gioco delle ipotesi può continuare all'infinito (oggi, ad esempio, si parla di un'intesa fra Arabia Saudita, Kuwait e Irak per aggiungere un dollaro e venti al prezzo ufficiale del secondo trimestre, dollari 13,84), conviene attendere i risultati. Vi sono incognite economiche e politiche, perché la firma del trattato fra Egitto e Israele potrebbe convincere il governo di Riad a mostrarsi meno ragionevole e moderato. Ciò premesso, occorre però ricordare che a Ginevra si parlerà forse più di produzione che di prezzi. L'Opec sta avviandosi verso una nuova strategia, in cui il movimento dei prezzi sarà affidato più alla produzione, cioè alla quantità di greggio disponibile, che a vulnerabili intese. E' il principio dì una nuova, importante fase. La crisi iraniana ha imposto un equilibrio tra domanda e offerta che, secondo le previsioni, non sarebbe dovuto arrivare per almeno altri due o tre anni, prima della discesa verso il «tramonto del petrolio». Questo equilibrio è favorevole ai tredici dell'allenza, i quali intendono adesso mantenerlo misurando attentamente la produzione, non cedendo alla domanda più dello stretto necessario. Un dramma esterno, l'iraniano, ha collocato l'Opec in una magnifica posizione strategica, da dove può meglio determinare il suo futuro. Per l'Occidente, è finita l'epoca delle eccedenze petrolifere, già quest'inverno ci si accorgerà che ogni barile è prezioso, che non c'è più posto per gli sprechi. La lezione di Ginevra sarà dunque questa: risparmiare energia. Il taglio del 5 per cento, deciso dalla International Energy Agency per il '79, deve essere l'inizio di una nuova, e più responsabile, politica globale. E' inutile sperare nei «petroli nuovi», perché quello del Mare del Nord non ci ha salvato da questa crisi, perché i messicani intendono essere prudenti produttori, perché la Cina userà per la sua industrializzazione vasta parte del suo futuro greggio. D'ora in poi, la miglior fonte alternativa di energia sarà il risparmio. Mario Ciriello A 6 miliardi di lire ammonta l'eredità di Elvis Presley MEMPHIS — L'eredità di Elvis Presley. deceduto a 42 anni il 16 agosto 1977. è stata definitivamente valutata in circa sei miliardi di lire da un giudice di Memphis, nel Tennessee. Per volontà del «re del rock» questa fortuna verrà ereditata in massima parte da sua figlia Lisa Marie, di 10 anni, da suo padre. Vernon. e dalla nonna. Minnie Mae. Esecutore testamentario è il padre Vernon.

Persone citate: Abdul Halim Khaddam, Elvis Presley, Lisa Marie, Minnie Mae, Sadat