Capire il nostro tempo

Capire il nostro tempoCapire il nostro tempo Lo sforzo di capire il nostro tempo, cioè quello che accade e ci accade (dentro di noi), diventa sempre di più un dovere urgente, una difficile sfida cui non possiamo continuare a sottrarci. Non mi riferisco a quanti eludono questo dovere per indifferema distratta o amore del quieto vivere, e neppure a quelli che pur vorrebbero capire, ma non riescono a liberarsi dal bozzolo delle idee acquisite, delle abitudini mentali e dei pregiudizi. Quello che oggi si chiede agli uomini di buona volontà è il coraggio di guardare in faccia la realtà sema orrore né scandalo, in modo da serbare la lucidità necessaria per scoprire perché tanti valori sono crollati e tutto ci appare insensato, feroce e senza speranza. Il primo punto sul quale credo sì debba riflettere è quello, che a molti sembra sfuggire, della fulminea «accelerazione della storia». Tutti sappiamo quanta sia la sfasatura fra il tempo reale (le vibrazioni di un orologio al quarzo) e il tempo mentale (la percezione nostra del flusso temporale). Tutti sappiamo che certe giornate di noia inerte, di isolamento forzato, di sofferenza fisica, possono sembrare eterne, mentre le giornate di festa, di svago, di appassionante lettura sembrano passare in un lampo. Ma tutti proviamo anche impressioni solo apparentemente contraddittorie, quando scopriamo la rapida fuga dei giorni eguali, vissuti secondo abitudini ripetitive, in un fluire di settimane e di mesi incolori, per cui diciamo «un anno fa» e ci sembra ieri; oppure, al contrario, ripensando a un breve viaggio, a una vacanza fuggevole, quei pochi giorni ci appaiono fitti di vivaci esperienze, gremiti di sensazioni e ricordi, che ci sembrano appartenere a un tempo dilatato e intensivo, molto più ricco e vitale. In realtà, il flusso di «informazioni» che l'ambiente esterno ci trasmette incessantemente ha un andamento costante e la nostra capacità di percezione sensoriale è dell'ordine di 50.000 bit o unità al secondo. Molti di questi segnali o stimoli mettono in moto riflessi au- tornatici (l'iride sì dilata quando cala il buio, le palpebre si stringono quando il sole avvampa) e molti altri passano inavvertiti per quella forma di autodifesa dal bombardamento delle segnalazioni inutili che è l'attenzione selettiva, il rifiuto di registrazione del messaggio. Chi saprebbe descrivere il colore degli occhi di tutti gli sconosciuti che ha fuggevolmente incontrato ieri, o le targhe di tutte le automobili, o la forma di tutte le nuvole? Tutti oggetti sui quali i suoi occhi si sono posati senza vederli, segnali perduti nel nulla (e se così non fosse, saremmo presto sopraffatti e condotti alla follia da un accumulo schiacciante di notizie perfettamente inutili). Ma il punto che merita riflessione sta nella diversa qualità e nella più o meno ricca varietà dei messaggi registrati. Chi fissa attentamente una muraglia di mattoni uniformi e chi legge una sublime poesia, sono entrambi in atto di ricevere un messaggio visivo, ma i processi mentali che vengono attivati nel loro cervello sono irriducibili a una misura di confronto comune. Così non basta un'attenzione intensiva ad attivare una ricca vita mentale, se l'insieme dei messaggi è povero, ripetitivo e banale. Il recluso in cella, sia curioso e vigile quanto si vuole, rice¬ verà jniliardì di messaggi sempre eguali delle stesse pareti nude, dello stesso pagliericcio, dello stesso squallore. Lo stesso accade alle culture periferiche, isolate e provinciali, alle persone che non ebbero accesso alla cultura, ai contatti umani, al raffronto delle credenze, dei modi di vita, dei valori essenziali. Orbene, nel nostro tempo il flusso delle informazioni varie non ripetitive, spesso capricciose o sconvolgenti, si è accresciuto vertiginosamente attraverso i mezzi audio-visivi, la sconfitta dell'analfabetismo, la mobilità delle migrazioni e del turismo, il rimescolìo sociale dei vecchi ceti chiusi, gli incontri multipli favoriti dalla fabbrica e dalla città. E' finito per sempre, o sta per finire, il millenario isolamento delle campagne, che non era solo spaziale (intere esistenze consumate su un ettaro di terra), ma soprattutto culturale (l'assenza del libro, il mutismo della parola). Purtroppo, a tempi brevi, questo progresso incontestabile si paga con un disorientamento che tocca punte di delirio o di disperazione. Un mondo povero ma equilibrato, separato dal sapere ma ancorato a semplici certezze, si trova gettato nel mare in tempesta, senza ancoraggi né stelle polari. Possiede innumerevoli notizie, ma nessuno schema in cui inquadrarle, nessuno strumento critico per vagliarle, confrontarle, metterle a frutto organicamente. Possiede l'informazione, ma non ancora la cultura, l'equilibrio, la capacità di ragionare a tempi lunghi e di guardare lontano. Di qui lo schiacciamento della storia nella sottile lamina dell'attualità, la mutevolezza delle mode, l'ingenuità di credere che l'ultimo slogan orecchiato sia una verità eterna; di qui gli schemi rudimentali in cui si pretende di ridurre una realtà infinitamente complessa e che viene complicandosi ogni giorno di più. Non stupiamoci poi se, traumatizzata dalle notizie, incapace di dominarle, ogni tanto c'è gente che va in tilt. Cosi qualcuno si dà alla droga, qualcuno spara. Capire il nostro tempo