Le leggi antisemite (e nostalgie di oggi)

Le leggi antisemite (e nostalgie di oggi) NELL'ITALIA DI 40 ANNI FA Le leggi antisemite (e nostalgie di oggi) Il vergognoso episodio di Varese — con quei giovani che urlavano: «Ebrei al forno», e quello striscione: «Dieci, cento, mille Mauthausen» — ci conferma il serpeggiare di un antisemitismo latente, che ogni tanto riesplode. E non solo in Italia Lo si è visto di recente in Francia, nel corso del dibattito sollevato dalla trasmissione televisiva di Holocaust. Un antisemitismo spesso subdolo, che magari si traveste da antisionismo. Per questo l'ultimo, bel numero speciale del Ponte, a quarantanni dalle leggi razziali del 1938-39, non ha solo il valore di una rievocazione storica, ma tocca assillanti problemi d'oggi. Non tutto, sempre, ci ha persuaso, fra tanta varietà di liberi accenti. Ci è parso di cogliere, qua e là, talune forzature classiste, o indebite dilatazioni e raffronti di problemi non comparabili fra loro. Ma questo complesso di testimonianze (Norberto Bobbio, Primo Levi. Giacomo Debenedetti, Cesare Cases), di ricostruzioni storiche e analisi giuridiche, profondamente impressiona, e induce a un severo esame di coscienza. E più che mai sentiamo la necessità di parole chiare e dure, senza le morbide reticenze e i prudenti silenzi del passato. Che il grande olocausto degli ebrei sia stato una suprema infamia — «inespiabile e inespiata», come ha detto bene Bobbio — oggi tutti Io sanno. Ma non dobbiamo dimenticare che quell'infamia è cominciata in Italia assai prima, con le leggi antisemite del 1938-39. Tra queste leggi e l'ecatombe di alcuni anni dopo, c'è una diretta continuità. Si pensi allo zelo con cui furono approntate le liste degli ebrei, alle responsabilità di gerarchi e funzionari di alto bordo — a cominciare da Mussolini — o d'infimo rango; di tutti coloro che. magari con lo scaltro doppiogioco dell'interessato salvataggio di qualche israelita, si adoprarono per dare esecuzione a quelle leggi, o nulla fecero per opporvisi. o ridurne i gravissimi effetti Lasciamo pure da parte i casi non troppo frequenti, ma che pur ci furono, di ingordigie immonde, di persecuzioni e vendette, di sfoghi antisemiti su libri e giornali (e basti ricordare la «Difesa della razza»), sfoghi fanatici o prezzolati — o magari le due cose insieme — , di denunce anonime. Ma non possiamo tacere che questi casi estremi si collocavano sullo sfondo di una purtroppo diffusa indifferenza e ignoranza, e ottusità intellettuale e morale, e vigliaccheria. Calamandrei ha ricordato il penoso vuoto che amici e colleghi fecero intorno al giurista Cammeo; e il suo diario, ancora inedito, rivelerà tanti aspetti e momenti di questa Italia fiacca e vile, che. diciamolo, è pur esistita, anche se oggi c'è chi vorrebbe cancellarla dalla memoria. Intendiamoci. Qui non si vuole inchiodare nessuno al proprio passato; né indulgere al gusto, malizioso e pettegolo e. in fondo, meschino, di andare alla ricerca di tante piccole o grandi viltà, allora commesse da chi oggi, intellettuale o uomo politico che sia, ha magari, un nome di risalto. Riconosciamo a tutti il diritto di riscattarsi e redimersi. La Resistenza ha avuto per molti anche questo valore, di un lavacro purificatore Quel che vale, come giudizio storico, sull'Italia pulita e civile risollevatasi dalla vergogna, può e deve valere anche come giudizio morale sui singoli individui. Ma detto questo, non dobbiamo dimenticare, o coprire di veli pudibondi, le colpe di allora Per esempio, le responsabilità di molti cattolici, e della Chiesa stessa, gli uni e l'altra spesso ottenebrati da secolari pregiudizi antiebraici (il «popolo deicida»): tanto che. ancor dopo le leggi del '38-39, le loro caute condanne investirono piuttosto le dottrine razziste che non lo specifico antisemitismo. A parte le indegne pagine di un padre Gemelli, o certi brutti articoli dell'Osservatore Romano e della Civiltà cattolica. non possiamo dimenticare quel che padre Balducci ha definito «il silenzio del 1938». in un bellissimo articolo del Ponte. «Quel che mi stupisce è che una così inaudita violazione della dignità dell'uomo (che si trasformò anni dopo in un genocidio) non abbia provocato una vera e propria insurrezione delle coscienze» nelle massecattoliche e nella Chiesa Certo, quelle leggi infami suscitarono sorpresa, dolore, sdegno in moltissimi italiani, che forse allora per la prima volta sentirono verso quali vergogne ci portasse il regime or¬ mQuvnsgdrpBpzfrpmutgd mai aggiogato al nazismo. Quelle leggi illuminarono di una improvvisa, sinistra luce il vero volto del fascismo: e furono sentite da molti come una suprema, fatale abiezione. Significativa, in proposito. la indignata reazione della minoranza valdese. Ma — per riprendere le parole di padre Balducci — una «vera e propria insurrezione delle coscienze» non ci fu. né dentro né fuori della Chiesa. E forse ha ragione Enriques Agnoletti di pensare che proprio per la mancanza di questo «rifiuto unanime», per questo fiacco torpore di tanti italiani, l'editore modenese Formiggini sentì il disperato impulso di gettarsi dalla Ghirlandina. L'abominio delle leggi razziali non poteva non essere particolarmente sentito dai cultori del diritto Si pensi al tormento di uno dei nostri più grandi giuristi. Piero Calamandrei. Sotto il fascismo, e in reazione ad esso, egli aveva sem- s pre difeso, con ostinato rigore, il principio della «certezza del diritto», il «culto della legalità a tutti i costi», contro l'arbitrio e il sopruso dei governanti. Quel principio era pur sempre una garanzia di eguaglianza, di libertà dei cittadini. L'imperterrita applicazione della legge era come un'ultima trincea, per la quale valeva la pena, in quanto giuristi, di battersi. Ma di fronte alle leggi razziali del 1938. che della legge avevano soltanto l'ipocrita veste, l'esteriore parvenza, mentre in realtà erano il camuffamento di un ignobile arbitrio, che calpestava i diritti dell'uomo e del cittadino, egli sentì che il giurista non poteva più appagarsi della sola fede nella legalità, ma doveva anche lottare per qualcosa che andasse al di là delle leggi inique, per la giustizia, questo pane che doveva essere «spezzato fra gli uomini». Tale diventava in quegli anni il supremo dovere del giurista-cittadino. Ma anche in questo campo, perché non ricordare la spaventosa sordità morale, il conformismo, il farisaico formalismo di tanti giudici, che interpretarono quelle leggi nel senso più odiosamente restrittivo nei confronti degli ebrei? Si vedano, nell'accuratissimo saggio di Guido Fubini. le poco belle sentenze scritte allora (e ahimè, anche più tardi) dalla Cassazione. Non mancarono le eccezioni: qualche decisione del Consiglio di Stato, sentenze di tribunali e corti d'appello, articoli di riviste giuridiche. (E ci ha fatto piacere veder menzionato, fra questi pochi, il nostro Jemolo). Ma è troppo generoso il Fubini. quando parla di coraggio a proposito di queste rare eccezioni. In realtà, questi solitari giuristi che tentarono di andare contro corrente non incapparono, per ciò solo, in seri guai. E' la viltà dei tanti, dei troppi, a far apparire come coraggio quello che fu soltanto, in quei pochi, un elementare rispetto di se stessi. Ci pare lecito trarre da queste vicende di quarantanni fa una lezione sempre attuale: dobbiamo stare in guardia contro ogni riaffiorare di antisemitismo, e impedire che lo si contrabbandi, ancora una volta, sotto speciosi pretesti politici (di politica interna o internazionale), sociali, ideologici Diciamolo con franchezza: quella lontana infamia non è stata ancora del tutto espiata.

Luoghi citati: Francia, Italia, Varese