GLI EUROPEI ALLA VIGILIA DEL VOTO PER IL PRIMO PARLAMENTO di Arrigo Levi

GLI EUROPEI ALLA VIGILIA DEL VOTO PER IL PRIMO PARLAMENTO GLI EUROPEI ALLA VIGILIA DEL VOTO PER IL PRIMO PARLAMENTO Joseph: il risorgimento conservatore E' la voce del neoliberalismo nel partito di Margaret Thatcher - Attacca lo statalismo, l'economia mista, i sindacati Diranno le urne se l'inflazione, gli scioperi, le code negli ospedali porteranno l'Inghilterra a una drammatica polarizzazione politica - Dice un ministro laborista: «I conservatori non vanno a destra, siamo noi a diventare social-rivoluzionari» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE LONDRA — «Abbiamo 11 movimento sindacale più forte del mondo, dice Sir Keitli Joseph, e stiamo diventando i più poveri del mondo. Tra le due cose c'è un legame». Joseph è il campione del 'neoliberalismo nel partito •conservatore. Margaret Tìiat-, cher, parlando di lui, dice: «Siamo riusciti a far risorgere la filosofia e i principi di una società libera, e a farli accettare. E' per questo che io vivo. In quest'impresa la Storia assegnerà un posto grandissimo a Keith Joseph, un posto straordinario perché anche lui è ispirato dalla stessa passione». La reazione contro lo statalismo e contro i sindacati è un fenomeno recente . Mi dice ancora Keith Joseph: «Nel 1959 sono entrato per la prima volta in un governo conservatore. Ma t stato soltanto nell'aprile del 1974, dopo la caduta del governo Heath, che mi sono convertito al conservatorismo. Prima cre¬ devo d'essere un conservatore, ora capisco che non lo ero affatto». Il Risorgimento conservatore in Gran Bretagna fa parte di un più generale revival di idee neoliberali nell'Europa di questi anni. Ma quest'Europa è uno strano Paese, dove ogni movimento politico, ogni fase storica, si presentano con molte facce diverse, quasi quante sono le nazioni storiche del Continente. Altrove, il neoliberalismo è un fatto che riguarda soprattutto gli economisti, anzi t nouveaux économistes. Qui, anche se il resto d'Europa non se n'era molto accorto, la situazione politica si è molto polarizzata tra destra e sinistra: più che non in Francia tra gauche unie e alleanza gollista-giscardiana, incomparabilmente di più che non in Germania tra socialdemocratici e democristiani. La Gran Bretagna è in travaglio e ogni giudizio drastico rischia di essere parziale ed eccessivo: ma in certi momenti si è tentati di concludere che sono più simili tra loro democristiani e comunisti italiani, che non conservatori e laboristi inglesi. Il laborismo ha percorso un lungo cammino dai tempi diAttlee e di Bevin e non sempre ce ne siamo accorti. Queste cose vanno dette con qualche riserva, perché rimangono tra Inghilterra e Italia, per esempio, alcune differenze fondamentali: quando ho chiesto allo storico Hugh Thomas (un conservatore ex laborista) perché gli aspri conflitti sociali di questo inverno pieno di agitazioni e di scioperi non abbiano tuttavia mai dato l'impressione di dover condurre ad uno scontro frontale, ideologico e istituzionale, mi ha risposto: «Ma la gente è tranquilla perché si aspetta un cambiamento di governo». Basta dir questo (una cosa così ovvia che la si dimentica: in Inghilterra i governi cambiano), per spiegare come tutto sia diverso anche quando sembra uguale. Tenendo presente questa premessa, il fatto rimane che l'Inghilterra laborista è andata molto più a sinistra di quanto non ci si sia resi conto nel Continente: questa spinta a sinistra dei laboristi ha sbilanciato il difficile equilibrio dell'economia mista e ha dato l'impressione di poterlo rompere in modo definitivo e quasi fatale. L'economia «mista» può rimanere tale per sempre? I Tories convertiti al conservatorismo come Keith Joseph dicono di no, sostengono che «un'economia non può rimanere a lungo metà libera e metà controllata. Io non sono convinto che questo sia vero per tutte le democrazie europee: altrove il cocktail dell'economia mista appare stabile. Può non esserlo in Inghilterra (o in Italia)». Qui, afferma Joseph, l'economia sta avanzando verso uno statalismo totale: sia che esso si vesta d'idee corporativiste o che si annunci chiaramente come statalismo socialista. Di quest'evoluzione, la responsabilità storica ricade anche sui conservatori e non soltanto sui laboristi. E' un fatto che il corporativismo, negli Anni Venti, prima che nell'Italia fascista, aveva suscitato fervore di simpatie proprie tra i conservatori inglesi; Churchill parlava allora di istituire un ^Parlamento industriale- e il giovane McMillan inventava la «Middle way», la via mediana tra il capitalismo e il socialismo. Nei primi trent'anni di questo dopoguerra, governi socialisti e conservatori hanno amministrato lo stesso sistema, messo in piedi da Attlee e Stafford Cripps, applicando le idee di quel grande umanista liberale die fu Lord Beveridge: non era chiaro se fossero i socialisti ad amministrare il capitalismo, o i conservatori ad amministrare un socialismo corporativo, con il suo Welfare state e le sue industrie nazionalizzate. Soltanto in anni recenti i conservatori hanno cambiato orientamento. Spiega Sir Keith Joseph: «I socialisti hanno iniettato nelle vene del libero mercato una droga paralizzante: controlli, egualitarismo, potere sindacale, sussidi. Questi sono stati considerati tonici o tranquillanti, ma alla lunga si sono rivelati per dei veleni, il veleno del socialismo benintenzionato. Io sono arrivato a capirlo tardi: anche noi avevamo accettato lo spirito del socialismo. E ora ci sono grandi interessi costituiti, nella burocrazia o nel- l'industria sussidiata, che non vogliono cambiare: il drago del collettivismo non è stato ancora abbattuto, nemmeno ferito. Forse dovrà andare molto peggio prima che incominci ad andare meglio». Tra le economie miste di mercato, l'inglese è forse quella dove il settore pubblico è più vasto, insieme con l'Italia. «Se in Italia è davvero sorta una vasta economia parallela, libera o nera, mi aveva detto a Oxford Wlodzimierz Brus, vuol dire che la vostra non è più una vera economia capitalista: il mercato parallelo è proprio delle economie dell'Est». L'economia parallela è nata anche in Inghilterra e si chiama moonlighting; è meno sviluppata che in Italia, ma cresce, e ciò conferma che ancfie questa economia «mista- si sta squilibrando a favore del settore non di mercato, statale o sussidiato. Joseph calcola che quasi due terzi dell'economia inglese «dipendano in vario modo dal governo»; questo cocktail sta diventando amaro, per chi crede nel mercato. Tutte le economie delle democrazie avanzate sono dei cocktails: lo Stato tedesco-federale spende probabilmente di più per i servizi sociali di quello britannico. Ma ci sono delle differenze: r« economia sociale di mercato» tedesca è appunto «sociale» e non socialista. Anche il modello socialista svedese, che offre la più perfetta sicurezza sociale del mondo, non è però intervenuto, almeno finora, nella gestione delle imprese. Guardando a questo quadro complesso di somiglianze e differenze, sarebbe bello poter dire: ecco, qui c'è qualcosa che là non c'è, o manca qualcosa che là c'è, qui va male, là va bene, non dobbiamo far altro che cambiare due o tre cose e tutto andrà bene anche da noi. La realtà è molto più complessa, il peso delle eredità storiche nazionali è grande. Tuttavìa, nel Paese Europa, e nel mercato unificato europeo, le concorrenze e l'esempio delle nazioni più efficienti fan da stimolo per le altre, in un gioco d'influenze reciproche assai complicato ed importante. Non a caso, i conservatori sono partiti proprio da un confronto tra i comportamenti delle principali regioni nazionali europee, dopo la dura sconfitta di Heath nel 1974, per cercare di darsi un nuovo orientamento polìtico. Fu allora die Joseph ebbe l'incarico di creare il -Centre forPolicy Studies-, e ne nacquero diversi studi comparativi tra l'economia inglese e le altre del Nord Europa. Ma non è soltanto da qui che ha origine la «conversione- di Keith Joseph al neoliberalismo. «Conversione, gli dico, è parola grossa: può spiegarmi che cosa l'abbia provocata?». «Il peso cumulativo dei nostri insuccessi, risponde. Mi sono reso conto che stavamo diventando i poveri d'Europa. Poi mi sono accorto che nessuno, né le università, né i giornali, né i funzionari, capiva che cosa occorresse per far funzionare la magia dell'impresa. Gli operai erano stati educati alla sfida di classe. Anche la C.B.I., la nostra Confindustria, si è convertita al mercato solo di recente, prima accettava volentieri l'atmosfera più tran quilla del capitalismo sussi diato; ci sono imprenditori che si sono specializzati nel cercare più i sussidi che gli affari». Ma come si spiega l'ondata d'opinione che sem bra dover portare il nuovo conservatorismo di Margaret Thatcher e Keith Joseph al potere? Nasce anch'essa dalla presa di coscienza che l'Inghilterra rimane indietro, che è «sulla via del sottosviluppo»? Risponde Joseph: «Gl'inglesi non ignorano che hanno oggi un reddito a persona che è la metà di quello francese, mentre una generazione fa era uguale o superiore: ma anche se potessimo far vivere ogni operaio inglese per quindici giorni in casa di un operaio svedese o tedesco — e gli sembrerebbe di trovarsi in una casa dell'alta borghesia — non so se lo convinceremmo a cambiare comportamento, a lavorare con spirito di collaborazione invece di affidarsi ciecamente ai conflitti sindacali: noi non sappiamo se gl'inglesi vogliano veramente essere ricchi». E allora? La risposta è più complessa. Le donne soprattutto soffrono per l'inflazione, per gli scioperi, per le code in ospedale, sanno che le scuole sono* scadenti, hanno difficoltà per la spesa. C'è un vasto movimento di donne filo-conservatore: «E poi continua Joseph quello che non sapevamo fare noi, per convincere la gente che cosi non si può andare avanti, l'hanno fatto i sindacati, col picchettaggio duro ed aggressivo, gli scioperi arroganti, gli addetti alle ambulanze che piantavano il malato sul marciapiede perché s'iniziava lo sciopero, gli addetti agli acquedotti che minacciavano di tagliare l'acqua, i becchini che non seppellivano i morti. Sono stati fatti morali, più che economici, che hanno con-1 vinto molti che bisogna cambiare strada». Nei rapporti sociali inglesi s'incontra oggi effettivamente un tono aspro, cinico e duro, che una volta non c'era; ci sono egoismi di parte, ognuno bada ai suoi interessi «e gli altri si arrangino». L'Inghilterra era, e in parte ancora è, un Paese mirabile, per l'equilibrio tra il senso spontaneo dell'unità e solidarietà nazionale e il rispetto totale dell'individuo. Gl'inglesi avevano un forte senso dello Stato, come i tedeschi; ma erano individualisti, come gl'italiani. Oggi questa perfetta mescolanza di virtù civili si è guastata: da qui, mi sembra, è nata una reazione antisindacale ed antilaborista, che deve bene inteso ancora contarsi alle urne, ma che è un fatto importante. L'osservatore si chiede, un po' preoccupato, se i disagi e le tensioni di questi anni, una volta che sfociassero in una vera crisi (se per esempio Margaret Thatcher si sentisse investita dal popolo di una -missione-, e decidesse di affrontare frontalmente i sindacati), non potrebbero creare una drammatica polarizzazione politica. Ma questa è pur sempre Inghilterra, forse tutto andrà diversamente e una vera crisi, nel senso di una rottura di equilibri instabili e di uno scontro sociale, non ci sarà mai. Dirò meglio un'altra volta che cosa propongono in concreto i nuovi conservatori e perché le Trade-Unions siano il bersaglio di tutte le critiche. Intanto cito un'opinione un po' paradossale e provocatoria, che smentisce le mie preoccupazioni e che viene da uno dei principali ministri in carica, un laborista, quindi, e tra i più acuti, cinici ed esperti che si conoscano, non dirò chi: «No, Margaret non farà nessuna controrivoluzione, ci sarà nel partito conservatore chi impedirà a lei e, a Keith di andare allo scontro frontale con le Trade-Unions. alla fine si limiterà a qualche correzione di rotta, a qualche riforma marginale. Lei non si è accorto che oggi il partito conservatore è il vero partito socialdemocratico inglese? Margaret Thatcher non è di destra e nemmeno Keith Joseph, lo sembrano soltanto, per il fatto che noi laboristi stiamo diventando il partito social-rivoluziona- rio" Arrigo Levi