La politica non può assolvere il delitto

La politica non può assolvere il delitto La politica non può assolvere il delitto Nella ricorrenza annuale del sequestro di Aldo Moro e della brutale uccisione della sua scorta mi si ofFre l'occasione di ritornare sull'argomento trattato nell'articolo su morale e politica, apparso in questo giornale il 6 marzo col titolo Due codici differenti ma necessari. Dicevo che. quando si parla del contrasto tra morale e politica, non sempre ci si rende conto che il contrasto dipende dal fatto che qualsiasi azione può sempre essere giudicata da due punti di vista diversi, anzi opposti. Dal punto di vista della sua conformità a princìpi che vengono assunti come indiscutibili, e in base ai quali sono considerate buone le azioni che li rispettano, cattive quelle che li violano. Oppure dal punto di vista del risultato che con quella azione l'agente si prefigge di conseguire, e in base al quale viene dato un giudizio positivo dell'azione che Io raggiunge, negativo di quella che non lo raggiunge, indipendentemente dalla considerazione dei princìpi o regole che la hanno ispirata In questi giorni mi è stata posta più volte, anche pubblicamente, la domanda se gli autori del rapimento e dell'assassinio di Aldo Moro avessero raggiunto lo scopo che si erano proposti, di modificare sostanzialmente la situazione politica italiana. Una domanda di questo genere è manifestamente rivolta ad ottenere che l'interrogato pronunci un giudizio politico. Prescinde completamente dal giudizio morale. Guarda agli effetti dell'azione da giudicare e si disinteressa dei princìpi. In altre parole, chi fa quella domanda si propone soltanto di sapere se l'azione abbia avuto successo, s'intende da parte di chi l'ha ideata e compiuta Che un'azione sia stata moralmente repugnante per la sua spietatezza non viene neppure in discussione. Non interessa. Una volta che abbiamo accettato di ragionare secondo l'etica del risultato, ciò che interessa non è se quella data azione sia stata compiuta rispettando o trasgredendo alcune regole che vengono considerate universalmente come regole della condotta buona, ma soltanto se sia stata coronata dal successo Sull'opportunità di porre una domanda di questo genere non ho nulla da obiettare, anche se ritengo sia molto difficile dare nel caso concreto una risposta fondata e bene argo mentata Possiamo tutt'al più almanaccare, come ci accade di fare nelle conversazioni ami chevoli e non impegnative sui fatti del giorno. Si tratta infatti di un caso esemplare per capire la ragione per cui gli storici di cono che la storia non si fa coi «se». Infatti, quando mi si chiede quale sia stato l'effetto dell'uccisione dell'on. Moro come se mi si rivolgesse questa domanda. «Quello che è accaduto, e continua ad accadere sotto i nostri occhi, sarebbe egualmente accaduto se Moro fosse ancora vivo e avesse potuto svolgere la sua azione po litica sino in fondo?» La difficoltà di rispondere a una domanda del genere sta nell'essere un qualsiasi evento storico il prodotto di una miriade di cause Non potendo isolarle una per una. come si fa in un laboratorio, riesce impossibile isolare la causa principale, o, come dicono i filosofi, la «ragion sufficiente», anche perché probabilmente una causa principale, quando si tratta di giudicare eventi complessi come quelli politici, non c'è. La presenza di Moro sarebbe stata sufficiente per garantire la stabilità del «quadro politico», per impedire il deterioramento dell'alleanza di unità nazionale, per scongiurare il pericolo delle elezioni anticipate? Basta porre domande come queste per rendersi conto che ogni risposta appartiene al regno dell'opinabile, e vi entrano valutazioni personali che non hanno niente a che vedere con una ricerca obiettiva delle cause e degli effetti. Siamo convinti che l'on Moro fosse un grande uomo politico? Diremo che l'uccisione ha avuto un effetto enorme, giacche assistiamo impotenti a una crisi politica gravissima, senza precedenti (almeno a mio parere). Siamo avversi ai terroristi? Diremo che hanno commesso un delitto inutile, perché le cose non sono cambiate oppure sono cambiate per cause sopraggiunte A parte il fatto che la ricerca delle cause di un fatto storico è difficile, siamo troppo appassionati quando discutiamo di politica per mettere da parte le nostre passioni e abbandonarci alla fatica spesso sterile e senza compensi immediati dell'esaminare i fatti e del ragionarci su Non ho nulla da obiettare all'esigenza di dare un giudizio politico, anche se la maggior parte dei nostri giudizi politici sono campati in aria, opinioni che vanno e vengono come le onde del mare. Ciò che mi sorprende e mi preoccupa è che il giudizio politico offuschi completamente il giudizio morale Non si può ridurre tutto a politica, come se l'unica regola del fare umano fosse la conformità allo scopo. Fra i tanti deleteri effetti della politicizzazione della vita è l'indifferentismo morale. Come ci ha insegnato Machiavelli, e come corrisponde assolutamente a verità, la virtù del politico non ha niente a che vedere con la virtù di cui parlano i moralisti, ma è la capacità di ottenere gli effetti voluti. E che altro è il potere se non l'insieme dei mezzi idonei a ottenere gli effetti voluti? Questo diffondersi dell'indifferentismo morale si rivela nella facilità con cui si accusa di moralismo chiunque compia un timido tentativo di porre i problemi del nostro tempo risalendo ai princìpi primi, come «non uccidere», «non mentire», «rispetta l'altro come persona» ecc. Il porre un problema in termini morali è considerato spesso come un segno di debolezza o peggio d'insipien- za Mi riferisco soprattutto a coloro che si professano laici, ovvero non fedeli di alcuna confessione religiosa, i quali con il loro sempre più incosciente rifuggire dal porre i problemi della condotta dal punto di vista morale sembrano dare ragione a chi ha detto «Se Dio non c'è, tutto è permesso». L'aggettivo «immorale» come espressione negativa di un atto, è caduto in disuso. Si cerca di suscitare la riprovazione dei nostri lettori, mostrando che un atto è non cattivo ma inutile. Le conseguenze di questo indifferentismo morale sono apparse chiare nella discussione intorno all'aborto da parte degli abortisti (ma potrei citare molti altri esempi, come quello della liberazione sessuale). Si è considerato il divieto dell'aborto esclusivamente dal punto di vista giuridico, intendo del diritto positivo, come se la depenalizzazione, cioè il fatto che lo Stato non intende intervenire per perseguire penalmente chi compie o aiuta a compiere l'aborto, lo avesse fatto diventare moralmente indifferente Come se, in altre parole, la liberalizzazione giuridica si risolvesse di per se stessa nella liberalizzazione morale Ritorno al caso Moro. A coloro che mi hanno interrogato sugli effetti di quel rapimento e di quella morte, non era pas-' sato neppure lontanamente per la testa che valesse la pena di dare su quell'evento un giudizio che non fosse esclusivamente politico. In tutte queste domande il problema era del «dopo Moro» Ho risposto che non ero in grado di dare un giudizio sul «dopo» che meritasse di passare alla storia, perché fra l'altro, per poter dire se i terroristi avessero raggiunto i loro scopi, occorreva sapere quali fossero e io ne sapevo così poco L'unico giudizio che ritenevo e tuttora ritengo di poter dare con assoluta certezza è un giudizio morale, e cioè che quell'attentato, quella prigionia, quei ricatti, quel considerare una persona umana unicamente come oggetto di scambio, è moralmente iniquo. Ancora una triste prova, ahimè!, non la sola, che l'umanità non è mai veramente uscita dal «divagamento ferino», di cui parlava Vico, che la fa errare, empia, impudica, nefaria. «nella gran selva di questa terra». Norberto Bobbio

Persone citate: Aldo Moro, Machiavelli, Moro, Norberto Bobbio, Vico