Disperati fino alla ferocia

Disperati fino alla ferociaDisperati fino alla ferocia Disperati fino alla ferocia Esattamente due anni fa, il 13 marzo del '77. Carlo Casalegno scriveva una lettera confidenziale ad Arrigo Levi poi ospitata nel volume II nostro Stato che raduna gli interventi politici apparsi sulle pagine del nostro giornale. In questa lettera, Casalegno riproponeva timori e giudizi sul problema numero uno del Paese, quella dell'ordine pubblico. Elencava complicità consce ed inconsce, comportamenti forsennati e demagogie arrembanti. Tre giorni dopo, tornando a redigere la sua consueta rubrica, parlava della «dionisiaca disperazione» che talvolta nutre le frange contestatarie, fino alla morte propria ed altrui, fino al più ebete rischio. E' ancora di questa «dionisiaca disperazione» che dobbiamo ragionare. E' ancora con essa che si debbono fare i conti. Gli incravattati reggitori della cosa pubblica (sempreché sia ancora una «cosa», non un labile oggetto o fantasma di oggetto) probabilmente ignorano il dio greco che offre ubriachezza e delirio, che costringe un essere umano a perdersi nella spirale della sua pazzia. Dall'alto delle loro cravatte televisive, sdottorano formulette astruse, indicano scappatoie che fanno inorridire il politologo onesto, rimasticano ricette d'accordi ignoti persino al Gatto e alla Volpe di Pinocchio. Intanto la «dionisiaca disperazione» aumenta le sue ondate, anche inventando modelli di consumo, forme rappresentative che sembrano risibili, ma alla lunga fanno vacillare l'assetto del vivere quotidiano. In un Paese truce e crudele qual è l'Italia si ha ancora tempo per dibattere su ignobili spettacoli televisivi che gonfiano le domeniche, si ■inaugurano accademie di poeti, si trasforma il fenomeno della «hostess selvag- già» in un quiz sociologico, si gettano pietre al portiere d'una squadra di football, si progettano sagre, feste per i cani randagi oppure tasse per questi stessi randagi. Sono conati d'una vita che continua, ma secondo ritmi davvero «dionisiaci», cioè folli. L'Italia dei commandos armati, che sfidano e sparano, convive con l'Italia dei presentatori televisivi, che irridono o tentano di irridere secondo un gusto sempre più bieco dell'intrattenimento. Una scellerata rivistucola propinataci durante l'inverno — non ricordo più se al sabato o alla domenica, giorni sempre fatali all'incremento della stupidità teletrasmessa — piazzava, in un balletto d'avvio, i soliti travestiti e le solite donnine, ma anche feddayn che danzavano col mitra, anche loschi personaggi ispirati alle cronache nere. Un altro aspetto di come la «dionisiaca disperazione» offre contributi al costume, baldanzosamente innaffiando l'ignoranza e il cinismo, uniche pianticelle coltivate nel nostro orto. Taluni vogliono vedere, in questi sussulti, una pervicace capacità italiana di sopravvivere: secondo loro, il nostro «arbore» genealogico è indistruttibile, testimonia d'un italiano al di sopra di tutto e malgré tout vincente. Si può morire, invece, anche di questi ottimismi accattoni, di questa cocciutaggine nelle stelle patrie. Ben lo ignorano i nostri governanti, che ad un invito al pianoforte o al ring televisivi cedono subito, credendosi «moderni» e all'americana. ■ Guardiamo a due problemi, immensi e forse non risolvibili: quello dell'energia nucleare e quello dei milioni di bambini che muoiono nel mondo. Li abbiamo affrontati con un piglio d'attori, non di uomini. Ne discutiamo con ferocia verbale e attraverso atteggiamenti plateali, ma senza affondare il bisturi, senza far due più due, senza sceverare le ragioni giuste. E'più che sufficiente l'insulto. Ad un Firpo, a un Ceronetti, che portano ora raziocinio ora passione, rispondono echi immondi ed ululati piazzatoli. Anche qui la «dionisiaca disperazione» crea teatri, non incontri. Intanto ci avviamo ad un'altra estate. Le agenzie di viaggi lavorano, i progetti familiari ribollono di febbrili interrogativi rivolti alla vacanza. La cronaca nera, quella tradizionale, continua a imbottirci di veri o presunti delitti d'onore. I monumenti millenari si sgretolano. La scuola è un ricettacolo di impotenze e vanificazioni. La benzina continua ad esserci più amica della bistecca. Le tragedie iraniane fanno ridere persino le femministe che pur dovrebbero protestare. Siamo i «clown» del secolo. Ma il clown finisce sempre in un modo: con un «dionisiaco» calcio nel sedere.

Persone citate: Arrigo Levi, Carlo Casalegno, Casalegno, Ceronetti, Firpo

Luoghi citati: Italia