«Non volevano lasciare testimoni Credevamo che uccidessero tutti» di Alvaro Gili

«Non volevano lasciare testimoni Credevamo che uccidessero tutti» «Non volevano lasciare testimoni Credevamo che uccidessero tutti» Ricostruita la tragica sparatoria - La figura del «capo»: «Un esagitato, sparava sorridendo» - Il commando ha atteso in strada Farrivo della volante, tenendo nascoste le armi sotto un vassoio di bignole Ad un giorno di distanza dai momenti del furore che hanno tatto esplodere violenza e morte in via Millio. si tenta di ricostruire, ora. la scena dell'agguato di "Prima Linea» durante il quale un giovane studente, ignaro ed incolpevole, è morto ed un agente è rimasto gravemente ferito. Un «collage» dalle tinte fosche in cui sembra difficile far collimare al millimetro gli incastri. La sparatoria è stata furiosa: le armi dei terroristi .innaffiavano., la Giulia della polizia da tre diversi punti, i due poliziotti (il capopattuglia, ferito all'inizio dell'imboscata, era già indietreggiato sino all'angolo con via Malta) acquattati fra le auto in sosta rispondevano al luoco incrociato in un inferno di sibili e scoppi. Forse tutto è durato cinque o sei terribili, lunghissimi minuti. Tentiamo di rivedere alla moviola, con le nuove testimonianze raccolte, la sparatoria partendo dalla telefonata che il commando di Prima Linea ha latto al « 113» dopo aver sequestrato la famiglia Pizzato nella retrobottega del bar di via Millio 64 A. La chiamata. Giunge in questura alle 13.55 e sembra una delle tante che quotidianamente arrivano alla sala-radio. ■ Correte, abbiamo preso un ladro d'auto. Io teniamo in un caffè-. L'operatore del centro di via Granoni attende cinque o sei minuti prima di irradiare l'ordine: il turno delle volanti termina alle 14. si aspetta che giungano i montanti del secondo turno per inviare un'auto sul posto. E la volante 11 giunge, infatti, in via Millio alle 14.13. La sparatoria. I terroristi si sono divisi in tre gruppi: tre all'interno del bar. due sul marciapiedi, due accanto alla «131» parcheggiata in seconda fila. ■■Quelli entrati nel locale con le sacche di anni avevano confabulato per qualche istante davanti alle vetrine — ricordano i titolari del bar — quasi sorpresi di trovare più gente di quella prevista. Eravamo in sette, ci hanno ammanettati nel retro con manette di plastica. No. non ci hanno imbavagliati. Nervosi ma gentili, ripetevano: "State tranquilli, non vi faremo nulla. Tra poco sentirete una grossa sparatoria: non muovetevi fino al termine, poi vi libererà la polizia". L'unico non gentile, che sembrava esagitato, era il capo, un ragazzo con gli occhiali. Diceva: "Non dobbiamo lasciare testimoni". E questo ci faceva rabbrividire. Per fortuna un altro suo compagno, un biondino, non era d'accordo. Forse ci ha salvato la vita-. Secondo altre testimonianze il terrorista con gli occhiali sarebbe lo stesso rimasto ferito nella sparatoria, che dopo la fuga in taxi cercava ancora di indurre i compagni, come ossessionalo da un'idea fissa, ad uccidere il conducente dell'autopubblica, per eliminare un pericoloso testimone. Nessuno, nel bar. sente la telefonata che attira la volante 11 nell'agguato. Rinchiusi all'interno della retrobottega gli ostaggi sentono solo gli scatti sinistri dei caricatori inseriti nei mitra. Poi è il finimondo. Il capopattuglia scende per primo dalla Giulia, senza far caso a due ragazze (componenti del commando) ferme poco più innanzi sul marciapiede: dall'interno del bar il capo dei terroristi esplode la prima scarica con un fucile a canne mozze, infrangendo la vetrina e colpendo con tre proiettili l'appuntato D'Angiullo. Mentre il capopattuglia, lerito alle gambe e al ventre, indietreggia sanguinante fino in via Malta, dove trova riparo in un box. l'altro agente e l'autista della volante si catapultano fuori dall'auto cercando riparo dietro alle vetture in sosta. I terroristi sparano da tre lati (anche quelli del bar sono usciti in strada), e gli agenti rispondono al fuoco centrando con i proiettili calibro 9 la «131» del commando. Accanto alla vettura s'è spostato il giovane con gli occhiali, il «capo», che imbraccia la lupara. «Sorricfera», dice un testimone che assiste a pochi metri. Punta l'arma contro un agente accucciato dietro un'auto, ma con l'ultimo colpo della pistola d'ordinanza la guardia riesce a colpire il terrorista proprio accanto alla ruota posteriore sinistra dell'auto, dove restano tracce di sangue ed una «Browning» caduta di tasca al ferito. La morte dello studente. In mezzo a questo inferno di fuoco sbuca improvvisamente, dall'angolo di via Lurisia. il diciottenne Emanuele Iurilli. che cade centrato sotto l'ascella da un proiettile cai. 7.62. L'arma che ha sparato dovrebbe essere una mitraglietta K 47 di fabbricazio¬ ne russa, usata anche in azioni di guerriglia in Medio Oriente. Pochi minuti più tardi, trasportato dalla Croce Verde alle Molinette, lo studente spira tra le braccia della madre. L'autopsia accerterà che un unico proiettile lo ha colpito al bicipite del braccio destro, ha attraversato tutto il 'orace longitudinalmente, trapassando polmoni e cuore, ed è uscito sotto l'ascella La fuca. Inservibile la «131» crivellata di colpi, i terroristi luggono da via Millio impadronendosi della «Giulia» della po¬ ldscuslppcdbpcp lizia (con le armi rimaste a bordo) e di una «124» familiare lasciata davanti al bar. con le chiavi nel quadro, dal titolare di un negozio di ferramenta di corso Racconigi. Ma l'auto della volante, con le gomme bucate dai proiettili, fa poca strada, e in piazza Sabotino il gruppetto con il compagno ferito si impadronisce di un'autopubblica. Armi in pugno i terroristi obbligano il conducente ad accompagnarli fino in via Montevecchio. e qui fanno perdere le proprie tracce: secondo la polizia scientifica sui sedili della «Giulia» e su quelli del taxi è stato perso oltre un litro e mezzo di sangue, un indizio che suggerisce l'ipotesi che i feriti possano addirittura essere due. La «124» familiare usata dal secondo gruppo in fuga viene invece ritrovata soltanto ieri in via Volvera. quasi all'angolo con via Pollenzo: ha un vetro infranto dai proiettili, all'interno è stato abbandonato un altro mitra con due caricatori, di cui uno vuoto. I vassoi. Sul luogo della sparatoria sono stati trovati tre vassoi di dolci, uno per ogni gruppo del commando. Erano serviti a mascherare i mitra pronti a sparare. Le indagini. La pista più consistente è quella del ferito, che potrebbe avere bisogno di cure mediche. «Speriamo nella coscienza dei sanitari a cui i terroristi potrebbero rivolgersi con richiesta d'aiuto,, dicono in questura. Nel tardo pomeriggio di ieri si sparge la notizia, non confermata, che un giovane 6 trattenuto in stato di fermo di polizia giudiziaria nella caserma carabinieri della compagnia Mirafiori: sarebbe in qualche modo collegato al commando di via Millio. ma non si conosce neppure la sua identità. Rivendicato l'attentato. Con una telefonata giunta alla redazione torinese dell'Ansa verso le 12.15 di ieri l'agguato di via Millio. già siglato con i manifestini lasciati nel bar. viene rivendicato ufficialmente. Un uomo con accento meridionale ha annunciato: ■■Qui Prima Linea, devo dettare un comunicato;. Poi ha proseguito dicendo: -Intrapresa la guerra di cui ti avevamo già dato comunicato, adesso rivendichiamo l'agguato a tre servi dello Stato che hanno fatto sì che si allungasse la lista di sangue innocente versato. E questo non è che l'inizio. Alvaro Gili Il mitra abbandonato dai terroristi sulla «124» rapinata in strada - La loro auto crivellata

Persone citate: Browning, D'angiullo, Emanuele Iurilli, Pizzato

Luoghi citati: Medio Oriente