Una piccola guerra ha cambiato il mondo di Frane Barbieri

Una piccola guerra ha cambiato il mondo Una piccola guerra ha cambiato il mondo (Il criticatissimo attacco cinese in Vietnam ha messo in crisi il bipolarismo delle superpotenze) La guerra fra la Cina e il Vietnam aveva reso un'altra volta attuale Clausewitz. Sembrava concepita su misura del conflitto indocinese la sua tesi secondo cui la guerra non è altro che il proseguimento della politica con mezzi diversi. Cercando di tracciare un primo bilancio, dopo l'annuncio della fine delle operazioni militari, si arriva, però, ad un capovolgimento di Clausewitz. Infatti, questa pace nell'Estremo Oriente si presenta più che altro come il proseguimento della guerra con mezzi diversi. Anzitutto se si considera che la guerra fra Hanoi e Pechino non è che un episodio riflesso della guerra ideologico-strategica fra la Cina e l'Unione Sovietica. Il vero bilancio del conflitto riguarda in primo luogo le due potenze comuniste. La prima impressione, se leggiamo le autorevoli dichiarazioni occidentali e orientali, è quella che la Cina abbia perduto molto sul piano politico, non avendo ottenuto nemmeno una netta vittoria in campo militare. Avrebbe perduto il prestigio morale senza aver confermato le capacità materiali di una grande potenza. Nell'ottica dell'Est e dell'Ovest, ugualmente ispirati al bipolarismo, il passo cinese è apparso come un atto estremamente pericoloso per gli equilibri ormai prestabiliti del mondo. Giudizi irreprensibili, nel quadro della logica bipolare a cui tuttora siamo tutti soggetti. Cambia tutto, però, se la Cina non si adatta o non si lascia ridurre ai termini di questa logica dominante. Ed è proprio quello che sta ora verificandosi. Hua e Teng non seguono la tesi di Mao sulla inevitabilità della guerra, come li accusa Breznev, assecondato con qualche sfumatura anche da Giscard e Schmidt. Riveduto Mao. non sposano nemmeno la tesi sull'evitabilità della guerra in base alla coesistenza dei due grandi blocchi. La nuova tesi di Hua e di Teng è più o meno la seguente: la guerra è inevitabile in un mondo soggetto al dominio delle due superpotenze: e fin qui Mao aveva ragione, ma si è sbagliato non avendo intravisto la possibilità di porre dei limiti alla supremazia dei due grandi blocchi. Di conseguenza, secondo la nuova tesi di Hua e Teng. l'inevitabilità della guerra può essere combattuta ed esorcizzata imbrigliando le due superpotenze e impedendo la ulteriore divisione del mondo secondo i criteri bipolari. Sotto il ricatto del terrore atomico c del pericolo di una irreparabile rottura degli equilibri globali . le superpotenze azzardavano guerre d'invasione circoscritte e locali, sicure di non provocare reazioni a catena più vaste. Negli ultimi anni sono stati anzitutto i sovietici a sperimentare e perfezionare i meccanismi dell'espansione per eserciti e paesi interposti. L'ondata delle rivoluzioni nazionali era incanalata abilmente verso il «lager socialista-'. E se qualche Paese sviava da quella direzione, veniva ricondotto sulla giusta strada con l'aiuto armato dei cubani ed ultimamente dei vietnamiti. Erano guerre camuffate che il mondo spesso taceva finta di non percepire, per l'incapacità di reagire. Il marchio colonialista che l'Occidente si porta addosso ha poche probabilità, nel confrontarsi con V«internazionalismo rivoluzionario e di rossa' con cui Fidel legittima la presenza delle sue truppe in qualsiasi parte del Terzo Mondo. La prima ed unica reazione e venuta dalla Cina. Per varie ragioni: prima, la nuova forma di penetrazione sovietica è avvenuta sulle sue frontiere, chiudendola in uno stretto accerchiamento: seconda, ha preferito affrontare il «rischio calcolato» di uno scontro locale con la nuova strategia sovietica che non esporsi al rischio incalcolabile di una ulteriore bipolarizzazione del mondo: terza, ha voluto lanciare un avvertimento sulla sua intenzione di controbattere le infiltrazioni violente nel Terzo Mondo emergente, campo naturale della espressione storica dell'altrettanto emergente potenza-Cina. Secondo i criteri sovietici e occidentali, che si rivelano identici anche se rovesciati. Teng avrà commesso un errore di calcolo: facendo il gioco di Washington, secondo Mosca, o mettendo in pericolo gli equilibri mondiali, secondo gli occidentali. Però basta uscire dagli schemi bipolari, per intravedere che. dopo la guerra cino-vietnamita, l'Est e l'Ovest non esistono più nel senso tradizionale, divisi per schemi come avevamo preso la consuetudine di vederli. Le 'guerre intercomuniste non sono dei conflitti relegabili hel ristretto quadro orientale e risolvibli nell'esclusivo ambito del movimento comunista: sono conflitti che scuotono e spaccano il mondo orizzontalmente e verticalmente. Infatti, dalla guerra indocinese non esce soltanto ridimensionato il mondo comunista, ma anche quello occidentale. Tentiamo una prima rassegna. La Cina. In Occidente Pechino si è visto alienare le simpatie conquistate col nuovo corso aperturista. Ha destato pure serie perplessità sul grado di affidamento da concedere alle sue future intenzioni. Però ha dimostrato che non sono tanto le simpatie che gli stanno a cuore quanto l'accettazione della Cina nella veste di un nuovo e determinante fattore della politica mondiale, non importa se con o senza l'appellativo di superpotenza. All'interno, il prestigio della nuova direzione cinese esce probabilmente consolidato: capace di intraprendere una guerra e programmare una pace. L'Unione Sovietica. Mosca si è rivelata come l'assertore più convinto e il gestore più scrupoloso del bipolarismo stabilito a Yalta. Ciò ha procurato a Breznev gli omaggi degli europei occidentali. Ad ogni modo Mosca coglie l'occasione propizia per consolidare l'impero, chiamato eufemisticamente Comunità socialista, creando comandi e direttorii sovrannazionali. Tuttavia, trasformandolo in «lager:, sul piede di guerra, rinvia un'altra volta le riforme dei meccanismi economici, l'ammodernamento delle tecnologie. decentramento compreso, il che trasforma una crisi latente in una crisi acuta. I paesi alleati di Mosca, pronti a mandare i volontari nel Vietnam, si vedranno decurtate o annullate le sovvenzioni, già in fase discendente, chiamati tutti a dividere equamente gli sforzi e i sacrifici strategici dell'Unione Sovietica. Un consolidamento, dunque, carico di nuove esplosioni di scontento, sia consumistico che autonomistico. L'Urss ha portato gli eurocomunisti a schierarsi senza le solite sfumature dalla sua parte. Alla vigilia dei congressi non hanno potuto azzardare un duro conflitto con Mosca, né hanno trovato opportuno smontare, in una base già in subbuglio, il mito del Vietnam eroico, ispiratore per tanti anni delle euforie rivoluzionarie ed antiamericane. L'Occidente. Esce più che mai diviso fra la sua componente americana e quella europea. Gli Stati Uniti, puntando sulla multipolarizzazione e riscoprendo il pianeta Cina in questa funzione (sempre convinti che fra molte potenze l'America emergerà come l'unica superpotenza effettiva) non si aspettavano che Pechino si muovesse anzitempo in modo cosi autono¬ mo da scombussolare i rapporti fra Mosca e Washington. A complicare le cose è venuta la paradossale fuga all'indietro. verso il classico bipolarismo, degli europei. Un po' perché impaurita per il fatto di trovarsi attestati sulla linea d'urto con l'Urss. un po' per non perdere i vantaggi economici scaturiti dagli embarghi americani verso Mosca, un po' per la recondita speranza tedesca di strappare ai sovietici il beneplacito alla riunificazione, un po' per le ambiguità golliste dei francesi: l'Europa occidentale si è schierata praticamente con i sovietici. Invece di agire almeno come quarta potenza o proporsi come mediatrice, si è messa a seminare allarmismo e a richiamare Washington ad attenersi alle regole dell'equilibrio bipolare. Cosi nei grandi cambiamenti emersi dalla piccola guerra asiatica scopriamo una Cina per niente disposta ad essere conquistata ed un'Europa aperta come nuovo terreno di conquista. Per usare l'espressione di Breznev: i cinesi sono «rinsaviti», se mai avevano perso la ragione, però di sicuro non sono rinsaviti nel senso auspicato da Mosca né dall'Occidente. Piuttosto, sembrano essere stati i cinesi a rivolgere agli altri un invito, duro ed intenzionalmente provocatorio, di rinsavire a loro volta scoprendo che al pericolo di condurre il grande gioco strategico con la Cina è superiore ormai soltanto quello di cercare di farlo senza la Cina. Frane Barbieri