STORIE DI BESTIE SULL'ALTOPIANO

STORIE DI BESTIE SULL'ALTOPIANO STORIE DI BESTIE SULL'ALTOPIANO Il Gufo delle nevi e il Picchio rosso Come sempre verso la metà di dicembre era venuto il vento da sud-ovest e la neve di novembre si era se non disciolta certo tutta impregnata d'acqua, così da diventare simile a sale grosso: e sopra la neve si era depositata la polvere del deserto, sottile e impalpabile ma densa e rossiccia che dava proprio l'impressione di monti bruciati dal sole: forse era arrivata fin qui dai Tibesti. Insomma i tronchi dei larici e degli abeti apparivano tutti dilavati e ai piedi di questi con gli aghi secchi e i gusci delle gemme restava quel colore africano. Dopo venne il gran freddo dal nord-est che tutto indurì, e quando vicino a casa notai che sotto il bosco si depositavano scaglie di cortecce, e i tronchi mostravano un tenero rosa come di ferita recente, credetti che a cagionare questo fosse l'azione del freddo: l'acqua penetrando tra le rughe dei tronchi si era gelata e il ghiaccio, aumentando il volume, gonfiava e dirompeva la corteccia. Così un tempo, con l'acqua e il ghiaccio, i nostri avi staccavano dalla montagna i grandi monoliti. Ma una mattina all'alba mentre mi godevo il Ietto mi pervenne uno strano suono: un battere rapido e secco, con delle pause; e mi venne un sospetto. Scivolai fuori in silenzio e senza rumore e lentamente apersi la finestra del bagno: era proprio lui. il Picchio rosso maggiore. Si arrampicava lesto sul larice, a spirale, e quando si fermava appoggiava il corpo sulla forte e breve coda, si ancorava con le quattro dita bene unghiate e con movimento rapido e preciso, facendo manico del collo, martello della testa e scalpello del becco, batteva sul tronco, sì che questo risuonava limpido nel mattino invernale come uno strumento a percussione. I pezzi di corteccia saltavano via con rapidità, ma con più rapidità la lingua del picchio rosso cercava e coglieva gli insetti xilofagi tra i canaletti della floema. Instancabile continuava a salire e scendere lungo il tronco, a battere, a far volar via scaglie, a frugare e a prendere la sua colazione con la lingua lunga e viscosa. A un certo punto, come un artigiano che insistentemente osservato mentre lavora si infastidisce, anche lui si stancò della mia presenza, e volò ondeggiando su un abete dove rimase fermo su un ramo. Per molte mattine lo sentii: poi cambiò zona e potei individuarlo vedendo sotto gli albero i segni del suo lavoro. A maggio spero di sentire il suo richiamo per la femmina: un forte tambureggiare su un .tronco. * * Un pomeriggio nel bosco dietro casa alcune cornacchie gridarono l'allarme e vidi subito venirne altre a decine dai quattro punti cardinali: veloci nel cielo sereno come aeroplani da guerra che si concentrano su un bersaglio. Certamente avevano individuato un rapace notturno: tra i corvidi e questi vi è sempre lo stato di guerra. Dopo, sopra il bosco e tra gli abeti, vi fu un gran gridare, uno sbattere d'ali, uno scuotere di rami e un franare di neve. Allora mi decisi di andare a vedere anche se camminare nella neve fresca e alta non era tanto agevole. Ma come mi avvicinavo lo schiamazzo si allontanava, non mi arresi, e lo seguii cercando di camminare defilato, in una radura uscii improvvisamente allo scoperto e agitando le braccia feci allontanare le cornacchie che se ne andarono indispettite. Subito dopo, quando ritornò la calma, vidi un volo bianco sotto i rami degli alberi: era come se una falda di neve se ne andasse in linea orizzontale e non precipitasse. Ne fui sorpreso, e con lo sguardo seguii quell'ucccello insolito. Dopo neanche una mezz'ora le cornacchie ripresero il loro schiamazzo sul luogo dove quel volo bianco si era fermato, e ancora camminai fin là sull'onda del gracchiare. La mia presenza le fece ancora andar via e nel ritornato silenzio e nella tranquillità potei osservare quella grande e misteriosa creatura che mi sembrava un gufo reale albino. Finché anche lui volò verso il culmine di una montagna. Rientrato nella mia stanza presi dallo scaffale i libri degli uccelli: senz'altro quello che avevo visto apparteneva all'ordine degli Strigiformi. famiglia degli Strigidi. ma rimasi perplesso quando fui certo d'identificarlo Gufo delle nevi: rarissimo in Italia, dicono i testi, tanto che ne è segnalata una sola cattura , Leggevo: nidifica nelle tundre e nelle nude colline delle zone artiche, grande cacciatore di lemming: le sue migrazioni vanno dal Circolo polare alle coste della Groenlandia, qualche volta si sposta a sud verso le Faer 0er e nella Russia settentrionale, ogni quattro anni, sembra, si fa vedere in Inghilterra e nell'Europa Centrale. Forse — fantasticavo su quanto avevo visto e davanti a una carta geografica — è stato il gran freddo dei giorni scorsi e le bufere di neve a spingerlo fin qui. e quanto prima se ne volerà nella sua tundra. E certo fu così perché alcuni giorni dopo incontrando degli amici che erano stati a fare una escursione con sci. mi dissero del loro stupore quando, alto sopra le loro teste, videro un uccello candido e grande come un'aquila volare diritto al nord: era sicuramente lui. il Gufo delle nevi, che se ne ritornava a casa dopo aver visitato le nostre contrade ★ * L'altro anno una passera scopatola invece di seguire le sue compagne verso la Spagna si era fermata attorno a casa: forsf era ammalata, oppure aveva qualche pallino di piombo nel corpo perché volava malamente. La sorprendevo ogni tanto sulla catasta della legna o sulla scala a pioli o sotto il portichetto delle galline; ed era solitaria perché disdegnava la compagnia dei passeri comuni e degli altri vicini: scriccioli e cince. Ma una cosa mi era singolare: come mai il gatto randagio che girava nei dintorni, o la donnola, non l'avessero ancora presa e mangiata. E anche osservai che non andava a dormire nelle cassette nido delle codirosse appese alte attorno al muro e sugli alberi, perché tutte avevano intatte sull'apertura le tele dei ragni. Venne la neve, tanta, e freddo: ma sempre la piccola creatura mi capitava di vederla attorno casa e mi sorprendeva la sua persistenza. Una mattina l'arcano mi venne svelato. Da ventiquattro ore il mulino del cielo non smetteva di macinare neve, il vento che veniva dall'est era lunghissimo e non se ne prevedeva la coda, quel giorno, intabarrato come nella ritirata di Russia, portai da mangiare al mio cane e alle galline. Per il vento e la neve che turbinavano e per lo squassare degli alberi, mi ero avvicinato al canile senza che Cimbro se ne accorgesse e da sotto le ciglia innevate potei vedere che lui. tra le zampe e il petto, si teneva al caldo la passera scopaiola che. sorpresa della mia apparizione, mi fissava immobile. Poi volò fuori sfiorandomi il viso. Cimbro, cane da caccia selvatico e appassionato come nessun altro, mosse appena la coda come volesse scusarsi per questa debolezza sentimentale. Mario Rigoni Stern

Persone citate: Ietto, Mario Rigoni Stern

Luoghi citati: Europa Centrale, Groenlandia, Inghilterra, Italia, Russia, Spagna