Spagna: dalle urne escono tre cuori di Frane Barbieri

Spagna: dalle urne escono tre cuori CONCLUSA SENZA MIRACOLI L'ATTESA SFIDA ELETTORALE Spagna: dalle urne escono tre cuori Otto milioni e mezzo di cittadini hanno votato per le sinistre, 8 milioni e mezzo per le destre, altrettanti si sono astenuti per scetticismo - Né vittorie né sconfìtte: ma un importante vantaggio psicologico del premier centrista Suarez, che poteva perdere, e la delusione del socialista Gonzalez, che era sicuro del successo - Solo il partito comunista di Cardilo ha più voti DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MADRID — A leggere i giornali, venerdì, appena resi noti i risultati elettorali, sembrava che la Spagna fosse stata miracolata. A tre giorni di distanza, riletti già a freddo i risultati, si scopre che tutto il miracolo spagnolo consiste nel fatto che nessun miracolo sia avvenuto. La colpa è dei due massimi concorrenti che alla loro sfida avevano dato un'impronta trascendentale. Gonzalez, il socialista, aveva quasi convinto gli spagnoli della propria vittoria, dello storico sorpasso che avrebbe portato la trasformazione del franchismo nella democrazia al suo estremo approdo socialista. Mi confidava prima delle elezioni: «Se dobbiamo vincere, questa è la volta buona, forse l'unica. La nostra arma migliore è la certezza della vittoria». Suarez ha colto l'occasione per rovesciare il ragionamento. Anche per il primo ministro centrista, la possibilità di una vittoria socialista si è rivelata come l'arma propagandisticamente più efficace. Ha chiesto fiducia agli elettori presentando i pericoli di un brusco capovolgimento colletthnsta della società. Gonzalez percorreva le piazze nell'euforia di un'imminente vittoria. Suarez lo seguiva seminando gli scongiuri per una possibile sconfitta. A urne aperte il primo ministro ha potuto brindare alla vittoria e il capo socialista si è abbandonato agli scongiuri contro un ritorno del Paese a destra. In realtà, le elezioni non danno adito né alle euforie né agli scongiuri. La Spagna è rimasta semplicemente quella di prima. I due grandi contendenti non hanno ottenuto altro che di mantenere le proprie posizioni. Con piccole differenze sia la ucd che il psoe hanno conservato i voti del giugno del 1977, anche la differenza dei seggi è rimasta quella di prima. Nelle cifre non si è registrata alcuna grande vittoria né alcuna grande sconfitta. Si verifica soltanto un importante vantaggio psicologico di Suarez, in quanto poteva perdere, e una sconfitta psicologica di Gonzalez. in quanto sicuro della vittoria. Su questo predominio psicologico più che su una maggioranza numerica stabile Suarez potrà costruire il suo futuro governo. Le elezioni hanno messo in luce un'equilibrata divisione dei voti fra gli spagnoli, ina questa stabilità non va confusa con la stabilità generale del Paese. Anzi l'instabilità economica e sociale rimane inalterata, se mai è resa più grai'e dal fatto che le elezioni hanno confermato una geo- metrica spaccatura del Paese fra sinistre e destre: 8 milioni e mezzo da una parte e 8 milioni e mezzo dall'altra. Con aggiunto un altro impressionante 8 milioni e mezzo di astenuti per scetticismo. Si scopre la Spagna di sempre. Era divisa così anche prima della guerra civile. Solo che allora, con lo stesso rapporto di forze, lasciò governare le sinistre, mentre oggi, traumatizzata tuttora dalla guerra civile, teme i salti troppo azzardati e lascia il passo alle destre. Moderate, come lo sono oggi anche le sinistre. Formalmente può sembrare inesatto, verso Suarez anche ingiusto, parlare di destra e sinistra senza nominare il centro. Tuttavia, essendosi tutti i partiti spostati più o meno nella stretta area del centro (per cancellare i ricordi del franchismo e del frontismo) va constatato come l'ucd del primo ministro abbia assorbito questa volta tutti i voti della destra, riducendo la ed di Fraga alla minima espressione parlamentare, al punto di non poter formare nemmeno un gruppo separato. Così la ucd diventa da sola un raggruppamento di centro-destra, più solido pertanto delle sinistre divise dall'antagonismo fra Gonzalez e Carrillo. Si è detto a ragione che la Spagna con queste elezioni, scaturite dalla nuova Costituzione democratica, definitivamente si occidentalizzava. Si è speculato anche molto cercando di stabilire se, occidentalizzandosi, si appog- giava ai modelli nordici o si aggregava a quelli mediterranei. Germanizzazione o italianizzazione? L'alternativa si rivela troppo semplicistica. Per molti tratti gli spagnoli sono una specie di prussiani del Mediterraneo: per il rigore civile quasi drammatico, per il prevalere del nazionalis7Tio sul progressismo, per un concetto mistico del potere. Però, sono pur sempre mediterranei, portati ciclicamente alle rivolte contro il proprio rigore nordico. Così anche in questa occasione la tendenza al bipartitismo, che molti hanno giudicato nordico, si confonde con fenomeni dispersivi di marchio mediterraneo. Anzi, il bipartitismo, decantato tanto come la caratteristica essenziale delle ultime elezioni, appare piuttosto formale. Sono emersi e si sono confermati, è vero, due partiti dominanti e possibilmente alternativi quanto al governo: il centrista e il socialista. Si è riconfermato però anche un terzo partito non meno determinante: il partito comunista di Carrillo. Anzi è l'unico fra tutti i partiti che, malgrado l'astensionismo dilagante e l'avanzata dei partiti nazionalisti regionali, abbia aumentato i voti. Rimane sempre a un terzo dai grandi, tuttavia il suo impatto sulla situazione del Paese è molto superiore a causa del controllo sulle Comisiones Obreras. i sindacati più potenti. Il vero problema di Gonzalez infatti non è quello di non avere sconfitto Suarez: il problema è quello di non avere indebolito Carrillo. E' infatti la forza ascendente del leader comunista quella che preclude ogni possibilità di articolare un netto e funzionante meccanismo bipartitico di stile nordico. L'esistenza e lo spazio di manovra del partito di Carrillo «italianizza» la democrazia spagnola, anche se formalmente appare portata al bipolarismo. Il capo comunista non deve far altro che adattare alla Spagna la linea togliattiana. Ricattare Gonzalez dalla sinistra, costringendolo a posizioni radicali, e allo stesso tempo scavalcarlo a destra, promettendo a Suarez la pace sociale, usando il controllo dei sindacati. Il primo ministro aveva già favorito l'accerchiamento dei socialisti con i suoi rapporti clandestini ma preferenziali con Carrillo. Il gioco triangolare, che tanto ricorda quello fra democristiani, socialisti e comunisti in Italia nel dopoguerra, proseguirà più intenso. Santiago Carrillo fu l'unico fra i grandi leaders che aveva pronosticato l'esatto esito delle elezioni: nessun cambiamento nei rapporti di forza, con il solo pce in lieve aumento (di conseguenza, considerava inutile la sfida elettorale). Ora rimane il quesito: sarà possibile con la stabilizzazione del quadro parlamentare dominare l'instabilità economica e sociale (il più alto tasso di inflazione e di disoccupazione in Europa)? Funzionerà il bipartitismo nel modo nordico malgrado la sua confusione mediterranea? Il compilo spetta a Suarez. Di fronte ai grandi leaders europei, ha una serie di svantaggi: non ha la preparazione economica e finanziaria di Giscard e di Schmidt, non ha l'esperienza in politica internazionale di Callaghan o di Brandt, non ha nemmeno la preparazione ideologica di Palme o di Mitterrand. Però, su tutti ha un vantaggio: non proviene da un partito né da una ideologia, proviene dal potere, il potere che fu l'unica motivazione e ispirazione del franchismo. E Suarez ha fatto del potere la sua ideologia. L'ideologia del potere e non il potere dell'ideologia. Anche la sua ucd è stata creata dal potere e per il potere. Ciò lo libera dalle preclusioni e fa di Suarez, a differenza di tutti gli altri politici spagnoli, il più spregiudicato, il più" eclettico, il più possibilista capo del governo. Per non cambiare il potere, è disposto a cambiare sia la politica che gli alleati. Per applicare i termini italiani: è un democristiano, più Andreotti che Moro, con meno limitazioni e meno pregiudizi (in quanto la Chiesa, anche se lo ha aiutato, non lo condiziona). Con l'aggiunta del carisma storico di padre della democrazia, offuscato negli ultimi tempi dall'esercizio del potere ma riconquistato alle elezioni, quando un'altra volta fu il suo discorso televisivo a far inclinare la bilancia dalla sua parte, le doti manovriere di Suarez garantiscono che il governo riuscirà a spremere dalle Cortes l'ultimo voto utile per arrotondare la precaria maggioranza. Mancano per la fiducia nove voti. Il primo ministro, che riavrà l'incarico fra una quindicina di giorni, già si è messo a elaborare un disegno di patti parlamentari alternativi: una volta con i centristi catalani (nove voti), un'altra con la ed di Fraga (dieci voti), un'altra combinando i nazionalisti baschi ai socialisti andalusi (sette più cinque voti). Speculando poi sul fatto che né il psoe e tanto meno il pce avranno ora l'interesse di rovesciarlo, l'immediato futuro del governo Suarez si presenta perciò meno precario della maggioranza di cui dispone. L'unica sproporzione che rimane è quella fra ì problemi rimasti aperti e le forze chiamate a risolverli. I conflitti sociali, sulla scia della crisi economica, sono in aumento e il governo non ha alcun potere sui sindacati. Le tendenze centrifughe delle regioni a nazionalità non spagnola sono aumentate, espresse nell'impressionante successo dei partiti regionalisti, mentre la ucd proprio in quelle zone non ha influenza. La Spagna rimane tuttora senza una politica estera, ridotta ad aspettare nell'anticamera della Cee, benché il crollo delle posizioni occidentali nell'Iran e nel mondo arabo la facciano diventare un punto vitale per la strategìa dell'Occidente. Le pressioni per una rapida atlantizzazione aumenteranno mentre Suarez non dispone di una maggioranza degna di una decisione tanto importante. Nord o Sud, modello tedesco o modello italiano a parte, Suarez dovrà alla fine, nell'affrontare questi problemi, trovare un modo tutto spagnolo per intendersi con Gonzalez. Per il momento, nemmeno si salutano, il che è pure molto spagnolo. Nelle elezioni per niente miracolose, un miracolo tuttavia rimane: l'atterraggio soave, sema urti violenti, dal pianeta della dittatura a quello della democrazia. E che il passaggio sia irreversibile lo si vede dal fatto che la Spagna, adottando i modelli dell'Occidente, ha acquisito subito tutte le sue crisi e tutte le sue incertezze. Frane Barbieri IVadrid. All'indomani delle elezioni i giornali inneggiano alla «vittoria» di Suarez: sarà possibile un bipartitismo nordico?. (Ap)