«Non c'è appello» dicono i giuristi ma ricorrere all'Onu è una speranza di Silvana Mazzocchi

«Non c'è appello» dicono i giuristi ma ricorrere all'Onu è una speranza La Corte Costituzionale è la più alta istanza in Italia «Non c'è appello» dicono i giuristi ma ricorrere all'Onu è una speranza Una norma internazionale garantisce il secondo grado al condannato: dev'essere applicata anche in Italia? «Non credo — risponde Terracini — ma è una contraddizione che va risolta» ROMA — La Corte Costituzionale mista di «tecnici» e «politici» ha giudicato ex ministri e «laici» ed ha assolto e condannato. Alla sentenza non c'è appello. Quali speranze hanno gli imputati scontenti di vedere il giudizio di nuovo in discussione? In pratica ben poche anche se dal dicembre scorso è entrato in vigore un trattato internazionale per i diritti politici e civili dei cittadini il quale garantisce che la colpevolezza di chiunque venga condannato in un processo penale «venga riesaminata in istanza di secondo grado». All'Onu. sulla base di questo fatto, sono ricorsi i difensori di Tanassi e del generale Fanali; altri hanno preannunciato l'istanza. Esiste una possibilità che il trattato diventi una strada verso il grado d'appello non previsto dal nostro ordinamento? Non credo — risponde il senatore Umberto Terracini che nel 1947 fece parte della Commissione per la stesura della Costituzione —. La Corte giudica in funzione politica e la sua ultima parola non può essere la penultima». Secondo Terracini, il trattato internazionale non può condizionare la inappellabilità delle sentenze emesse dalla Corte Costituzionale. «Piuttosto dice — si dovrebbe pensare che, in conseguenza dì un simile fatto, dovrebbe essere fatta una legge ordinaria che integri questa lacuna e risolva la contraddizione di una norma internazionale non applicabile ». Nascerebbe cosi per gli imputati processati dalla Corte una possibilità di ricorrere in appello? «Sarebbe necessario fabbricare un'istanza nuova — risponde Terracini — che dovrebbe essere superiore alla Corte, ma questa è già il vertice della struttura costituzionale e sopra, nell'architettura del nostro ordinamento, non ci può essere piti nulla». Più «radicale» di fronte alla possibilità di un secondo giudizio è l'ex presidente della Corte Costituzionale. Giuseppe Branca. «Appello per i ministri? Non se ne parla nemmeno. Nel caso, si dovrebbe discutere dei privati che sono stati giudicati dal tribunale politico per connessione ed hanno così perso gli altri due gradi di giiidizio. Anche a voler stare all'articolo 10 della Costituzione — aggiunge Branca —cioè alla norma che garantisce l'applicazione dei trattati internazionali, questa vale solo per i cittadini com lini non per i ministri che hanno commesso reati nel compimento delle loro finizioni». Branca riconosce La contraddizione per i «laici», e per le loro garanzie ha un «dubbio morale», ma rinvia la soluzione del problema a una modifica completa del nostro ordinamento. «Si potrebbe fare così — dice — se c'è un ministro che commette reati comuni gli si riconosce prima l'immunità politica. Poi, quando cade la riserva dell'immunità, se ci sono anche imputati privati, si potrebbe rinviare tutto dinami al giudice ordinario. E allora si avrebbe automaticamente la garanzia delle tre istanze». Duttile di fronte alle prospettive che i ricorsi all'Ònu potrebbero aprire è Giuseppe Sotgiu. penalista. «Il trattato è nuovo e questa è la prima volta che in Italia si pone una occasione per affrontarlo. Dal punto di vista scientifico penso che sia giusto richiamarsi al patto internazionale anche se ritengo che in base alle leggi attuali la norma non potrà essere applicata agli imputati giudicati dalla Corte Costituzionale». Il lato positivo è visto non tanto nell'effetto del ricorso quanto nel farlo. «Io l'avrei presentato per un mio assistito — ammette Sotgiu —, certe volte una soluzione die sembra impossibile riesce se si provocano le occasioni giuste. Una valutazione sull'applicabilità della norma del trattato per esempio non andrebbe sottoposta ai nostri giuristi, ma ad un tribunale internazionale. Silvana Mazzocchi

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