Cinquant'anni pieni di rughe

Cinquant'anni pieni di rughe CONCORDATO E PROPOSTE DI REVISIONE Cinquant'anni pieni di rughe Sono cinquant'anni esatti, cinquant'anni pieni di rughe. Il febbraio 1929. Nel palazzo del Laterano. il cardinale Pietro Gasparri. eccezionalmente segretario di Stato con due pontefici, e Benito Mussolini firmano i «patti» destinati a «risolvere» la questione romana. Le trattative, laboriose e difficili, si protraggono dall'agosto del '26. avvolte sempre da un diffidente riserbo, fino agli ultimi, conclusivi colloqui di via Rasella. condotti personalmente dal presidente del Consiglio ormai già duce dello Stato totalitario. Al trattato, volto alla sistemazione dello «status» internazionale, con la creazione della «Città del Vaticano» — un minuscolo Stato che salvaguarda la pregiudiziale del principato civile — si accompagna un concordato, che regola i rapporti fra lo Stato e la Chiesa: due atti inseparabili, secondo l'espressa volontà del pontefice («simul stabunt. simul cadent»). La convenzione finanziaria, ultimo dei tre documenti compresi nei patti, avrebbe dovuto corrispondere all'indennizzo previsto già dalla legge delle guarentigie (la legge del 1871 derisa oltre Tevere e tenacemente respinta), generosamente rapportato ai tempi Al di là degli effetti politici e degli echi immediati, le intese concordatarie del '29, destinate ad assicurare «la grande pace» fra le rive del Tevere, rappresentano la condanna del Risorgimento, la sconfessione del principio, irrinunciabile per il vecchio mondo liberale, della separazione fra Chiesa e Stato, della netta distinzione fra sfera civile e religiosa; rappresentano soprattutto, come ricorderà Benedetto Croce in Senato, motivando il suo «no» al concordato, il rifiuto di quella politica ecclesiastica che era stata seguita negli ultimi ottant'anni e che si ispirava ai grandi modelli della libertà religiosa, sempre ostile a suggestioni o a compromissioni concordatarie. Stipulando i patti del Laterano con la dittatura fascista, che pur era all'antitesi del cattolicesimo nella visione della vita e nella stessa valutazione della religione, la Chiesa non faceva che riprendere l'antica tradizione dei «concordati» con le potenze monarchiche, riaffermando le sue premesse ideali (sul matrimonio, sulla scuola e perfino sul principio del potere temporale simbolico come scudo del ministero spirituale) ed assicurandosi le condizioni per la ripresa di domani. Con la difesa dell'Azione Cattolica — l'unica organizzazione autonoma in regime totalitario —. con l'introduzione dell'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, con la tutela rigorosa e intransigente dell'indissolubilità matrimoniale, sempre rimessa in discussione dai vecchi governi liberali, con tutte le garanzie ottenute nel concordato annesso al trattato fondamentale, il Vaticano si cautelava per l'avvenire più ancora che per il presente, e i diritti strappati alla dittatura avrebbero acquistato tutto il loro valore in un regime di democrazia, fino al culmine dell'articolo 7. La democrazia cristiana è nata da quei circoli, da quei gruppi di Azione Cattolica che. unici, il regime non potè sciogliere, e il complesso della conciliazione ha dispiegato in pieno le sue conseguenze, dall'angolo della logica cattolica, solo nel 1947. con l'inserzione del trattato e del concordato nella Costituzione della Repubblica: contro il parere di Nenni e di Croce, dei repubblicani e degli «azionisti», ma con l'appoggio determinante di Togliatti e del pei. Già allora, comunque, si poneva il problema della revisione, non foss'altro per uniformare il testo del '29 ai principi fondamentali di eguaglianza sanciti dalla carta costituzionale. Voci diverse, di parte cattolica, ne riconobbero la necessità, da Merlin a La Pira, da Tupini a Moro. Ma dal '47 ad oggi la storia della revisione concordataria è chiazzata da delusioni costanti, da lunghi silenzi, da tortuosi ritorni, da infiniti zig-zag. Il termine «revisione» risuona ancora nelle aule parlamentari il 21 ottobre 1948. nella prima legislatura repubblicana, in virtù di un ordine del giorno Lussu che non viene neppure discusso La preoccupazione di non rompere i ponti con la Santa Sede prevale su tutto. Nel clima di intransigenza pacelliana. an¬ cora nell' aprile 1957. il convegno degli amici del «Mondo» su Chiesa e Stato, la prima assise laica orientata verso l'abrogazione e la netta separazione fra i due poteri, aveva suscitato un interesse appena un po' più largo dell area dei lettori del settimanale di Pannunzio: se non fosse stato per la dura reazione di Togliatti, quel convegno pure elevatissimo nel tono (ricordiamo il mirabile quadro introduttivo di Luigi Salvatorelli) non sarebbe entrato nella sfera dei fatti politici, sarebbe rimasto una nobile ma solitaria testimonianza intellettuale. Con la svolta di papa Giovanni, con la svolta del Concilio Vaticano secondo, il tema assume una dimensione nuova, diverse e più complesse vibrazioni. Le critiche laiche non si perdono più sullo sfondo di una protesta ne solitaria né culturale. Ed anche sulle sponde cattoliche rimbalzano con qualche timida eco le invocazioni ad un «Tevere più largo», si accennano moti di insofferenza per le troppe confusioni fra Cesare e Pietro. Occorrerà un decennio perchè la questione raggiunga le aule del Parlamento. 4-5 ottobre 1967: la Camera discute alcune mozioni sulla revisione dei patti del Laterano. ed approva, in chiusura di dibattito, la mozione Zaccagnini-Ferri-La Malfa, che porterà alla nomina (novembre 1968) della commissione presieduta da Guido Gonella. «commissione ministeriale di studio per la revisione del concordato». Avviata fa revisione, tra '69 e '70, il nodo del divorzio bloccherà per cinque anni le trattative fra le due Rome, aperte insieme dal centro-sinistra di Aldo Moro e dal pontificato di papa Montini Moro, il più laico fra gli statisti cattolici dopo De Gasperi. non potrà portare a termine il tentativo esplorativo del marzo del '70 proprio per le intransigenti pregiudiziali vaticane. Il dibattito dell'aprile '71 — presidente del consiglio Rumor — non approderà a nulla II tema, intatto, sarà trasmesso alla successiva legislatura, la sesta dell'ordinamento repubblicano, dominata dalla esasperata battaglia referendaria sul divorzio. Solo il governo Moro-La Malfa, nella coscienza del difficile, ma non sostituibile equilibrio fra laici e cattolici, che lo animò, riprese il tema della revisione e lo ricollocò, dopo quattro anni di silenzio, nel contesto del programma governativo. Ma mancò qualunque segnale luminoso dall'altra parte del Tevere Una riunione a metà del '75 al massimo livello di governo servì soltanto a misurare la grandiosità dei problemi aperti, in attesa di soluzione L'impegno a «riprendere la trattativa con la Santa Sede e a riferire in Parlamento prima di concluderla» fu assunto, all'inizio della nuova legislatura, dal presidente del Consiglio Andreotti. forte delle sue amicizie oltre Tevere, della sua finezza e sottigliezza romana, della sua dimestichezza con i segreti della curia non priva di una nota volterriana, sul tronco di un cat¬ tolicesimo respirato in casa. Novembre 1976. si svolge alla Camera dei deputati un primo dibattito. Alla fine del '77. la seconda bozza di revisione del concordato, preparata dalle due commissioni (quella Gonella per l'Italia, quella Casaroli per il Vaticano), è sottoposta a un giudizio preciso e in qualche punto tagliente dei gruppi laici del Senato Una serie di incontri riservati si svolge, fra dicembre '77 e gennaio '78. fra la delegazione italiana e i presidenti dei gruppi parlamentari di Palazzo Madama Ci sono zone da chiarire e da approfondire, residui di contrasti secolari. Il dramma di via Fani sconvolgerà tutte le agende, e non solo quella del concordato La scomparsa di papa Montini, il grande sostenitore della «renovatio» concordataria, solleciterà le forze laiche ad una pausa di riflessione: diventava dovere di correttezza attendere che il nuovo papa manifestasse un'opinione in proposito, magari volta solo a confermare i negoziatori vaticani. L'intermezzo-meteora di Giovanni Paolo I non lo consentì. L'avvento di Giovanni Paolo II non è stato seguito, come speravano gli «astrologi concordatari», da esplicite dichiarazioni in proposito, ciò. almeno, fino a ieri in realtà le manifestazioni di fretta saranno soltanto italiane Il 6 e 7 dicembre 1978 il Senato si esprimerà con un ampio e articolato dibattito sulla terza bozza, nel frattempo elaborata dalle due delegazioni, resa nota preventivamente dal presidente del Consiglio ai gruppi, con decisione sagace e avveduta, che consentirà uno svolgimento della discussione più serio e proficuo. II risultato sarà un esatto accertamento dello stato della questione, nel rapporto fra le due parti, non privo di sottintesi e di riserve: col «via» al governo per entrare nella fase conclusiva della trattativa, ma non senza preventivi e costanti contatti coi gruppi parlamentari delle due Camere. Evidenti i progressi compiuti, grazie a un negoziato paziente e faticoso, nel campo della legislazione matrimoniale (cade la riserva di giurisdizione in modo sostanziale se non formale), mentre risultano ancora complessi e ardui i nodi da sciogliere sia in tema di enti ecclesiastici, sia in tema di scuola, pure con significative innovazioni rispetto alla seconda bozza. Il superamento di tali ultimi nodi del concordato lateranense sarà possibile solo se si avrà un colpo d'ala, nella fase finale, da parte della delegazione vaticana. I valori di coscienza, anche per i credenti, sono più importanti dei privilegi concordatari, pure dimezzati o ridotti. La pace religiosa si affida, anche in Italia, al presidio delle coscienze molto più che ai protocolli fra i due Stati coabitanti sulle rive del Tevere. «Ascoltare o no una messa. — diceva Croce - è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perchè è affare di coscienza». Giovanni Spadolini

Luoghi citati: Italia, Parigi