La Cina vuole piegare Hanoi ad accettare una trattativa

La Cina vuole piegare Hanoi ad accettare una trattativa La Cina vuole piegare Hanoi ad accettare una trattativa Sui problemi bilaterali - Il rientro delle truppe condizionato a un "segno,, del Vietnam - Nessuna illusione sul ritiro dalla Cambogia NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE PECHINO — La Cina sembra aver stabilito un legame fra il ritiro delle sue truppe dal Vietnam e la «rapida» apertura di negoziati sui «problemi di frontiera e territoriali» fra i due Paesi. In un editoriale pubblicato ieri, intitolato «A proposito del rifiuto vietnamita di negoziare», il Quotidiano del popolo denuncia l'atteggiamento negativo assunto su questo punto il 21 febbraio scorso dal vice ministro degli Esteri vietnamita, Nguyen Co Thach. L'organo del pc cinese riprende quasi parola per parola il primo editoriale sul conflitto, pubblicato il 18 febbraio. Ma aggiunge: «Dopo aver colpito e respinto gli aggressori quanto basta, le nostre forze si limiteranno a difendere le frontiere della patria. Speriamo sinceramente die il governo vietnamita valuti attentamente la situazione, che consideri gli interessi del suo popolo e l'amicizia fra i popoli cinese e vietnamita, e die accetti la ragionevole proposta di intavolare rapidamente dei colloqui. Il conflitto di frontiera fra Cina e Vietnam può essere risolto soltanto con negoziati fra le due parti. E'l'unica via d'uscita». Ricevendo, lunedì pomeriggio, il presidente dell'agenzia giapponese Kyodo, Watanabe, Teng Hsiao-ping ha dichiarato che la Cina è completamente d'accordo con la proposta di alcuni Paesi stranieri che chiedono di ritirare contemporaneamente le truppe vietnamite dalla Cambogia e quelle cinesi dal Vietnam. Ma ha aggiunto che questa soluzione non si può considerare un «trattato»: le forze cinesi hanno subito fatto sapere che si sarebbero ritirate dal territorio vietnamita, mentre, a suo parere, le truppe vietnamite si ritireranno dalla Cambogia «soltanto se i cambogiani si batteranno a questo scopo». Nello stesso colloquio, il vice premier ha ricordato che 1 combattimenti del 1962 con l'India erano durati 33 giorni, ed ha espresso la speranza che il conflitto con il Vietnam duri «meno»; ma ha osservato che questo dipenderà anche da ciò che faranno i vietnami-' ti. Teng ha poi ammesso che l'operazione cinese comporta dei rischi: ma non assumersi questi rischi, ha affermato, sarebbe stato considerato un segno di debolezza dalla Cina. Sulla base di queste indicazioni, gli osservatori diplomatici che hanno avuto contatti con i dirigenti cinesi dall'inizio del conflitto hanno una visione un po' più chiara della situazione e delle intenzioni di Pechino. A loro parere, scopo fondamentale della Cina è far cambiare atteggiamento al Vietnam nei suoi confronti. Pechino può accettare che Hanoi abbia deciso di legarsi più strettamente all'Urss, ma non che si permetta di ignorare completamente la Cina. Hanoi, insomma, deve riconoscere che ha come vicino una potenza abbastanza forte perché sia necessario cercare un modus vivendi pacifico, che cioè tenga conto degli interessi cinesi. In altre parti del mondo, ciò si chiama «distensione». Sarebbe questa dimostrazione l'unico obiettivo dell'o¬ perazione militare. Ma perché in questo momento, e a questo prezzo? Perché la Cina non poteva lasciar credere che fosse paralizzata all'esterno dalle esigenze interne del programma di moderniz-* zazione, e che fosse anche militarmente impossibilitata ad agire sino alla fine di quel programma, cioè fino alla fine del prossimo decennio. Come dice Teng, Pechino è abbastanza realista per non aspettarsi che il Vietnam, appoggiato com'è dall'Urss, accetti di ritirarsi dalla Cambogia in cambio del ritiro delle forze cinesi, quali che siano gli auspici del Consiglio di Sicurezza. La Cina aspetta dunque da Hanoi un altro segno, che può essere soltanto l'accettazione, accompagnata da garanzie dell'apertura di negoziati fra i due Paesi subito ,dopo la «marcia indietro» delle forze cinesi. Notiamo come, al limite, la Cina resta fedele ad un'antica tradizione della sua diplomazia, permettendo all'avversario di «non perdere la faccia», poiché offre la possibilità di' fare un primo passo per un regolamento della questione senza obbligarlo contemporaneamente a fare «marcia indietro» in Cambogia. Questa analisi però non risponde a tutte le domande. Vi sono buone ragioni di credere che rifletta il pensiero dei1 gassimi dirigenti cinesi, ma non tiene conto in particolare delle divergenze di vedute che possono essersi manifestate fra di loro sui rischi dell'operazione. - • , a. J. Copyright Le Monde e per l'Italia La Stampa

Persone citate: Nguyen Co Thach, Teng, Teng Hsiao-ping, Watanabe