Il presidente non scende ad Avellino di Mario Salvatorelli

Il presidente non scende ad Avellino VIAGGIO NELLA PICCOLA E NELLA GRANDE INDUSTRIA DEL SUD Il presidente non scende ad Avellino E' una risposta che sovente i sindacati della zona ricevono quando vorrebbero trattare direttamente con le case-madri del Nord - Si deve invece al dialogo con gli imprenditori locali il forte sviluppo economico della provincia: cresce il numero degli occupati nelle aziende manifatturiere, nel commercio, nei servizi - Ma 23 mila persone ancora cercano lavoro DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE AVELLINO — Da Pomigliano d'Arco, cioè dall'Alfasud, ad Avellino, sono meno di trenta minuti in automobile. Ma il salto di stagione è notevole. Non tanto dal punto di vista meteorologico, perché ad Avellino si è in mezzo alle montagne, sui quattrocento metri di altitudine, e l'Irpinia, dai tempi antichi, quelli delle forche Caudine, è considerata, giustamente, zona aspra e difficile, quanto perché il clima sociale è assai diverso. Ecco un dialogo colto al volo tra il segretario provinciale della Osi Vincenzo Luciano, e il direttore dell'Unione industriali Mario Mauriello. Sindacalista: «Io sono un macigno*. Industriale: «Se tu sei un macigno, io sono un masso». A parte, come si scriveva una volta, per le commedie di Carlo Goldoni il sindacalista confida a mezzavoce: «Spesse volte io gli dico i miei limiti, lui fa altrettanto, e si arriva all'accordo». Non voglio dire, con questo, che ad Avellino si sia raggiunto, di fatto, il patto sociale, come in Gran Bretagna. Ma c'è un dialogo, sia pure su posizioni distinte, e spesso contrastanti. E, come riconosce il presidente della Federazione regionale degl'industriali campani l'a¬ vellinese Michele Giannattasio, «c'è una certa convergenza d'intenti». Insomma, tra industriali e sindacati ci si parla, al di là delle vertenze di lavoro, per individuare e trovare una soluzione ai problemi più urgenti A questo punto bisogna comprendere il povero cronista, che dalle incredibili contestazioni dal pullulare dei microscioperi dell'Alfasud, si' trova proiettato in un ambiente in cai si afferma con la massima naturalezza, da industriali e da sindacalisti che «ad Avellino c'è una produttività notevole, perché la gente è temprata al duro lavoro dei campi». Ma l'adatta- mento? «Certo, sul piano psicologico, c'è l'adattamento, ma il lavoro in fabbrica è meno duro del lavoro dei campi». Si capisce, dopo queste risposte, il forte sviluppo dell'economia di Avellino, in questi ultimi dieci anni. La provincia, «che non vuole più essere l'ultima d'Italia come reddito per abitante», ha visto diminuire la sua popolazione, ma aumentare il numero degli occupati nelle industrie manifatturiere, nel commercio e nei servizi. Nei quattro poli di sviluppo creati ai margini del capoluogo di provincia e nelle valli interne si sono installate decine di aziende, in gran parte artigiane, che hanno abbandonato le vecchie autorimesse e gli scantinati cittadini per costruire stabilimenti modernissimi a Pianodardine, in Valle Caudina, a Solofra, in Valle Ufita, dove l'occupazione, anche in questi ultimi anni di crisi e in continua crescita. Questo non vuoi dire, sia chiaro, che Avellino è un'oasi di serenità, nell'area di depressione che grava da tempo, si può dire da sempre, sul Mezzogiorno. Tutt'altro. Il sindacalista Vincenzo Luciano m'informa che gl'iscritti nelle liste di collocamento ordinario sono 16.000, e i giovani che si sono prenotati per trovare un posto con la 'legge Anselmu sono 10.000. In totale, depurata la somma dai giovani che hanno pensato bene di iscriversi in ambedue le liste, i disoccupati in cerca di lavoro sono almeno 23.000. Rispetto a una popolazione ^attiva: cioè occupata o in cerca di lavoro, di 148-150.000 unità, questa cifra significa un tasso di disoccupazione del 15-16 per cento, contro un tasso nazionale del 7,5 per cento circa, e un tasso 'europeo- del 5,6 per cento. Una situazione drammatica, quindi, quella di Avellino, tanto più che incombe, come uno spettro, che si aggira ai confini d'Italia, e del Sud, l'emigrazione di ritorno. Si calcola che siano quasi 50.000 gli avellinesi che attualmente si trovano 'temporaneamente' in altre parti d'Italia e all'estero — oltre quelli sistemati definitivamente — e che ritornerebbero in Irpinia, se ci fossero occasioni di lavoro. Un esempio per tutti: al primo annuncio dell'insediamento Fiat in Valle Ufita d'una fabbrica di autobus che ha già assunto 700 persone (diventeranno 1020 entro marzo), tutti — il sindacalista Luciano dice «tutti» — gli emigrati provenienti dalla Valle Ufita hanno fatto domanda per essere assunti alla Fiat «Lavorano, molti in Alta Italia, dice Luciano, ma il paese, la famiglia, le abitudini, sono un'altra cosa». Se tutte le domande saranno accolte, non posso saperlo. E'un fatto, però, che Avellino e provincia si stanno sviluppando. Anche in questi anni di crisi l'Irpinia ha continuato a muoversi E si sarebbe mossa di più, se qualcuno sapesse meglio gestire le sue 'relazioni esterne: Industriali e sindacalisti concordano nell'affermare che di Avellino si parla troppo poco,' che s'ignora la sua collocazione 'eccellente', a 54 chilometri da Napoli a 34 da Salerno (quindi dai loro porti e aeroporti), a 110 chilometri da Foggia. «Quello che è determinante, dice il sindacalista Luciano, è la mancanza di centri decisionali sul posto, per gran parte delle aziende, so- /■ x prattutto medio-grandi, le cui case-madri sono altrove, a Torino, a Milano, a Firenze». Quando si deve discutere una vertenza, o si tratta di prendere una decisione, viene un 'procuratore' dal Nord, oppure è a Nord che si scrive, o si telefona. La risposta, di solito, è questa: «Il presidente non ha tempo di venire ad Avellino», e questo, aggiunge Luciano, è un fatto negativo, per il sindacato, ma anche per l'azienda. TI procuratore, infatti ha un mandato rigido, e le decisioni prese da lontano, non sempre, per non dire quasi mai corrispondono agl'interessi delle due parti in causa. Quella che non manca, invece, ad Avellino, è la fiducia nel futuro. Il suo portabandiera, in questo momento, non può non essere Vincenzo Mataraz<to, il presidente della società di calcio 'Avellino; che ha portato la squadra in Serie A, nell'Olimpo riservato a 16 squadre, su 93 province italiane. E' un impresario edile, ma di una «edilizia qualificata, di lusso», ci tiene a sottolineare, che non vuole sottostare a quella di quantità, all'edilizia del prefabbricato, e ha rinunciato anche a proposte «favolose» provenienti dall'estero, anche dal Sud Africa, per rimanere fedele alla sua terra e alla sua 'firma». Matarazzo premette di condividere il giudizio sulla scarsa conoscenza delle possibilità e delle qualità degli avellinesi dovuta al fatto che «noi siamo modesti, senza troppi grilli per la testa», e subito dopo aggiunge di appartenere a una generazione di giovani «che hanno fatto in 10 anni, un po' per coraggio, un po' per capacità, quello che i nostri predecessori non avevano fatto in cento anni». La dichiarazione è squillante, la sicurezza assoluta, ma ce ne vorrebbero molte, di queste affermazioni per dare la carica a un Mezzogiorno che, tra tanti problemi dovrebbe risolvere, forse, prima di ogni altro, quello del suo complesso d'inferiorità. Mario Salvatorelli

Persone citate: Carlo Goldoni, Matarazzo, Michele Giannattasio, Vincenzo Luciano