Se riscoprissimo l'uomo-individuo

Se riscoprissimo l'uomo-individuo RILEGGERE IL FILOSOFO ORTEGA Se riscoprissimo l'uomo-individuo Chi un tempo andava nel Tibet trovava strano che la gente per salutarlo girasse di lato la testa, mettesse fuori la lingua e si tirasse un orecchio. Tuttavia, il nostro modo di salutare, stringendoci reciprocamente la mano e scuotendola per qualche istante, non pare avere un senso più trasparente. Anche se si tratta di un gesto usuale e ovvio, ciò non soddisfa il filosofo abituato ad interrogarsi pure sulle banalità apparenti e che si sorprende della mancanza di senso di un costume così diffuso. Tanto più che gli può sorgere il sospetto di trovarsi innanzi la spia rivelatrice di una situazione più generale, in cui è coinvolta la maggior parte dei nostri usi e costumi. Molta luce può venire sull'uso della stretta di mano (o di altri modi di saluto) se ne ricerchiamo storicamente ^etimologia», il senso originario. Si può ipotizzare, a esempio, come fece Herbert Spencer, che la stretta di mano sia l'attuale stadio di evoluzione di un uso significante all'origine l'atto di sottomissione del vinto al vincitore, filtrato attraverso vari momenti, dal «darsi nelle mani» del signore e padrone al più recente «baciar le mani». In un'epoca «democratica», il tentativo di portare alle labbra la mano di chi si vuol salutare è bloccato dal tentativo analogo e contrario dell'altro: così il risultato sarebbe il reciproco scuotimento delle destre. La ricostruzione etimologica dei vari modi di salutare, quand'anche fosse documentata, non esaurisce tuttavia la comprensione del fenomeno del saluto. Chi lo ha davvero approfondito è stato il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset (1883-1955) in due splendide lezioni di un suo corso del '48, che venne pubblicato postumo: Et hombre y la gente. * * "• Il senso profondo di quest'uso comune, nelle sue diverse espressioni, è d'essere una tecnica dell'avvicinamento che si evolve lungo il corso della storia: l'uomo, infatti, «è stato una fiera e potenzialmente continua più o meno a esserlo». Sicché, un tempo, l'avvicinarsi dell'uomo all'uomo era «una tragedia potenziale»; la tecnica del saluto serviva ad evitare che la tragedia fosse una continua realtà. Fu un mezzo per avviare la convivenza. E, come ogni tecnica, anche questa fu inventata da qualcuno, per spersonalizzarsi in seguito e divenire una abitudine comune. Le pagine di Ortega sono tutt'altro che una divagazione arguta: attraverso l'analisi d'un uso sociale, che pare estrinseco, viene illuminato l'intero tessuto della società, con il sistema delle consuetudini e delle forme culturali che la tengono unita. Come le tecniche spersonalizzate della convivenza diventano consuetudini poetiche, che si impongono in modo vincolante ai singoli, così anche le idee che ciascuno di questi escogita nel progettare la propria vita possono coagulare in credenze incorporate nel repertorio collettivo dei modi di pensare di una determinata cultura. Invenzione e ripetizione scandiscono il ritmo di quella realtà ch'è tipica della maniera umana d'essere: l'invenzione della persona singola e la ripetizione anonima della società. Il singolo uomo e la «gente» sono connessi in un rapporto indissolubile, anche se sembra che il peso vincolante delle consuetudini e dei modi di pensare minacci la nostra spontaneità e libertà. Questo è un rischio possibile; ma, d'altra parte, gli usi ci permettono di convivere con chi ci è estraneo, di vivere nel nostro tempo e, automatizzando molti comportamenti, di concentrare gli sforzi nell'invenzione del nuovo e nel potenziamento della propria personalità. Ritorna qui, come chiave dell'indagine sociologica, il tema di fondo del pensiero di Ortega, formulato già nel 1914 e che lo ha fatto considerare il precorritore dell'esistenzialismo novecentesco: «Io sono io e la mia circostanza». La vita umana è, come realtà e come valore, sempre la vita di un singolo individuo, irriducibile alla genericità. Ma ciascuno di noi si trova a vivere in una «circostanza» o situazione materiale e culturale del tutto delineata e che non scegliamo. Ciò che scegliamo è solo la realizzazione o l'abbandono di quel progetto di vita al quale ci sentiamo chiamati: questo è il dramma continuo di cui siamo responsabili. Le consonanze con l'esistenzialismo sono facilmente reperibili, anche se Ortega è lontano dalle suggestioni irrazionalistiche e antiumapistiche che hanno attratto molti nell'Hei-, degger. In ogni caso, non è certo per tali suggestioni che assistiamo oggi a un rilancio, tra noi. delle opere e del pensiero di Ortega. Egli respinse sì una concezione romantica della ragione come sostanza del mondo; ma, per nulla incline ad aperture mistiche, considerò sempre la ragione come il più efficace strumento di cui l'uomo dispone per orientare la propria vita, sottraendosi alla banalità della ripetizione quotidiana e alla massificazione anonima della «gente». Penso che l'attualità di Ortega sia stata sentita nella rivendicazione del suo ideale umanistico e nel particolare orientamento della sua sociologia. E' significativo che Lorenzo Infantino abbia curato la traduzione italiana di L'uomo e la gente (Giuffrè) e di Una interpretazione della storia universale (SugarCo), mentre l'Utet sta per pubblicare una raccolta di Scritti politici a opera di Luciano Pellicani. E la lucida Introduzione a Ortega y Gasset dello stesso Pellicani, di recente pubblicata da Liguori. indica senza equivoci i motivi per cui si ritiene che il pensiero di Ortega possa utilmente contribuire ai nostri odierni dibattiti culturali. Ve in essi, forse, l'istanza di non sacrificare mai il valore della libertà individuale a quello pur importante del miglioramento sociale. E Ortega. uno dei massimi pensatoti liberali del nostro secolo, può ben apparire magistralmente stimolante a chi — come Pellicani — aspira a un socialismo libero dai miti della rivoluzione risolutiva e della rigenerazione totale dell'umanità, e ricercante quindi fondamenti teorici diversi da quelli marxisti. Ma sarebbe arbitrario considerare il «rilancio» di Ortega come una mera operazione politico-culturale. Anche tali operazioni, per riuscire, devono rispondere a bisogni effettivi del presente. Ed è proprio l'esigenza di revisione teorica che oggi sentiamo dopo anni di ubriacature con facili slogans sociologici, accompagnati dal monotono ripetersi d'interpretazioni marxisteggianti della società. C'è urgenza di chiarire i concetti che usiamo nelle scienze sociali senza adagiarsi nelle nostre abitudini di pensiero: questo è l'intento di L'uomo e la gente proprio per evitare l'inclinazione che gli uomini provano quando non hanno nulla di chiaro da dire. Infatti, allora essi «invece di tacere sogliono fare il contrario: dicono in senso superlativo, cioè gridano». Stiamo appena ora riprendendoci dal rintronamento a cui ci ha sottoposto chi ha gridato a lungo e su tutti i toni che il «sociale» è contrapposto all'«individuale» e che ogni società sinora attuata nella storia è solo il risultato di un conflitto di classi e forma il dominio degli sfruttatori sugli sfruttati. Ortega non condivide questi luoghi comuni, nati certo da qualche idea interpretativa della storia che ha avuto il conforto di alcuni fatti, ma che diventano credenze bloccanti quando siano generalizzati e resi assoluti L'analisi del fenomeno sociale del «saluto» mostra di per sé, ad esempio, che non v'è opposizione tra «sociale» e «individuale», poiché l'abitudine è il consolidarsi di una tecnica inventata da qualcuno. Il «sociale» contrasta piuttosto con i rapporti inter-individuali, nei quali di continuo ogni individuo è un pericolo per l'altro. Gli usi sociali, in tutti i loro livelli, limitano tale pericolo, rendendo possibile la convivenza. Ma è proprio questa, col suo grigiore anonimo, che esalta, paradossalmente, la irriducibilità e la spontaneità della vita del singolo. Da un lato, quindi, l'analisi sociologica di Ortega riscopre il valore del «privato» di fronte a tutti i tentativi di riduzione del «privato» al «pubblico». Dall'altro, con l'affermazione del peso delle credenze e degli usi nella determinazione della «circostanza» di ciascuno di noi. indica l'unilateralità della pur acuta concezione marxiana che ritiene la struttura economico-tecnologica l'unica causa effettiva del mutamento sociale. La teoria dell'origine conflittuale della società risulta così egualmente parziale, poiché trascura un aspetto fondamentale del fenomeno sociale: quello che rende possibile la convivenza di individui, che. senza credenze e usi comuni si scontrerebbero con la loro animalità ferina. Se rinunciamo a «gridare» e non vogliamo cullarci nell'illusione della scomparsa definitiva d'ogni male sociale (con una trasformazione dell'uomo in «angelo»), il «rivisitare» Ortega può suggerirci un'opportuna concretezza. Francesco Barone

Luoghi citati: Tibet