Elleinstein: l'eurocomunismo è misteriosamente scomparso di Jean Elleinstein

Elleinstein: l'eurocomunismo è misteriosamente scomparso L'IDEOLOGO DISSIDENTE DEL PCF RIAPRE IL DIBATTITO Elleinstein: l'eurocomunismo è misteriosamente scomparso Jean Elleinstein, storico comunista, docente all'Università di Poitiers, uno degli intellettuali dissidenti che preoccupano il pcf, è autore di una storia dell'Urss dal titolo: II socialismo in un solo paese. Ideologo dell'eurocomunismo, in questo articolo analizza la situazione dei rapporti fra Mosca e i pc francese, italiano e spagnolo. Anche l'eurocomunismo scompare nella trappola del prossimo ventitreesimo congresso del partito comunista francese. Parodiando il titolo d'un film di Ettore Scola, potremmo interrogarci: «I comunisti ritroveranno l'eurocomunismo misteriosamente scomparso nei testi preparatori del 23" congresso?». Già mi sembra di leggere la critica che L'bumanité farà dei miei articoli, nella linea di tutti gli attacchi lanciati dal quotidiano ufficiale del pcf contro Althusser, Spire, Raymond Jean. Jean Rony o il sottoscritto in precedenti occasioni. Sintetizzo: «pressione inammissibile... anticomunismo secondario... utilizzazione della borghesia ecc.». E si sente mormorare: «Ma che fanno nel partito questi comunisti critici se non sono d'accordo? Se ne vadano, s'uniscano ai loro amici del partito socialista o di altri partiti». Ebbene, no: il partito comunista francese non è proprietà della sua direzione e di uomini come Gaston Plissonier o Georges Gosnat che lo dirigono praticamente da trentanni. Non mi sento meno comunista di loro, anche se mi faccio del comunismo un'idea diversa da quella proveniente da Mosca. Per esempio, mi sento vicino a Berlinguer o a Carrillo, senza essere tuttavia sempre d'accordo con loro. Non si potrà schivare perennemente i dibattiti fondamentali, con la scappatoia di manovre interne, dilatorie e arcaiche. E' questo il problema fondamentale di oggi. Non è insultando i giornalisti non comunisti, come ha fatto recentemente Georges Marchais alla trasmissione del «Club de la presse» o mettendo Edmond Maire (il leader del sindacato Cfdt. n.d.r.) tra gli alleati del Presidente della Repubblica che si risolveranno i problemi dell'inserimento del pc nella Francia contemporanea. 10 sono convinto che il partito comunista francese potrà svilupparsi e accrescere la sua influenza dopo che avrà compiuto mutamenti reali nel suo orientamento e rotto risolutamente con il passato. Ma in realtà, il pcf un po' avanza, un po' indietreggia, «un passo, avanti e due indietro». E spesso si agita restando fermo. Francia in crisi Facciamo qualche esempio per chiarire il nostro pensiero. Il capitalismo registra in Occidente una crisi la cui gravità è fuori discussione. In Francia la disoccupazione è in aumento e i prezzi continuano a salire, il livello di vita di milioni di lavoratori è minacciato. E contemporaneamente noi abbiamo a che fare con una crisi di società, di cultura, di civiltà che è senza precedenti. Contro le conseguenze di questa crisi, le lotte dei lavoratori si sviluppano malgrado l'assenza di prospettive politiche dovuta alla divisione esistente in seno alla sinistra. 11 ruolo del pcf dovrebbe essere di chiarire queste lotte a partire dalle realtà economiche e far maturare la necessità di decisive trasformazioni strutturali. Evidentemente le realtà economiche non devono essere utilizzate come un comodo alibi per evitare di compiere le riforme o di non farle che adattando il capitalismo alle condizioni nuove nate dalla crisi. Il pericolo social-democratico è reale e non deve essere sottovalutato. Ma nello stesso tempo non è possibile, se non per vuota demagogia, proporre qualsiasi cosa, anche ciò che è in contrasto con la situazione reale dell'economia. Bisogna avere il coraggio di dire ai lavoratori la verità e di prendere le misure necessarie al risanamento economico. Questo può significare in certe case, in certe fabbriche, in certe regioni, l'adozione di misure di salvataggio per le quali a tutti dovranno essere richiesti dei sacrifici. E che questi sacrifici siano proposti in modo inversamente proporzionale ai redditi e al capitale è una questione pacifica per la sinistra. E' poi pacifico che si agisca umanamente, facendo in modo che il diritto al lavoro degli operai sia preservato, anche se Io sforzo deve essere suddiviso fra i membri della comunità nazionale. Tutto questo è scontato per la sinistra, ma bisogna capire che tutto non è possibile e che non si può trasformare la società che a partire dalle realtà economiche. Engels faceva osservare nel 1844, nel suo studio sulla situazione della classe lavoratrice in Inghilterra, che «gli operai devono proclamare che essi, come uomini, non devono piegarsi alle circostanze, ma che al contrarto le circostanze devono piegarsi agli esseri umani, perchè il loro silenzio equivarrebbe a una accettazione di queste condizioni di vita, un'accettazione del diritto della borghesia a sfruttarli durante i periodi economici favorevoli e a lasciarli morire di fame durante i periodi di crisi». Engels stesso constatava che «le associazioni (operaie) non possono mutare le leggi dell'economia» e aggiungeva «in caso di crisi economica, l'associazione stessa è costretta a ridurre i salari». I due aspetti del problema posto dalla crisi economica sono così messi chiaramente in luce. I lavoratori hanno ragione di lottare per la difesa dei loro interessi, per lavorare e vivere nel proprio Paese, contro la disoccupazione. Ma nello stesso tempo, il dovere del partito comunista, in quanto vuole essere un partito d'avanguardia, è di indicare la gravità della crisi economica e la necessità di misure nuove, ma che tengano conto appunto della gravità di questa crisi. Non si tratta, nel 1979, di abbassare i salari, ma d'adottare una nuova politica economica che tenga conto della crisi. Agire in modo responsabile secondo questa visuale come fanno i partiti comunisti italiano e spagnolo' sembra essere una necessità anche per il pcf, come per tutta la sinistra. Contro il Mec La tentazione demagogica non mi sembra essere irreale. Proporre per il 1979 un accrescimento annuale del 6,^ per cento della produzione industriale (come ha fatto il pcf) o anche solo del 4,9 (come il ps) non corrisponde assolutamente alla situazione economica della Francia. Fondare una politica di riforma di strutture, e di misure sociali ardite su queste basi mi sembra pericoloso, perché è rischiare un'inflazione ancora più elevata e di conseguenza un aggravamento della crisi. Questo non significa raccomandare la politica del Presidente della Repubblica o del governo Barre, ma significa partire dalle realtà per modificarle. Non si può modificare la realtà che partendo dalla realtà. E' un principio vero in generale, ma, in campo economico, quanti lo ignorano nel pcf e nella sinistra! La maggioranza ha saputo e sa sfruttare le insufficienze economiche della sinistra. Bisogna avere il coraggio di riconoscerlo e l'onestà di dirlo. Un guizzo della sinistra ha questo prezzo. Le lotte non possono essere che più coerenti, più unificate se prendono in considerazione le realtà economiche e permettono di far maturare soluzioni nuove e ardite sull'occupazione, la durata del lavoro, l'età pensionabile, le riconversioni economiche, in particolare nelle regioni mono-industriali. Noi troviamo le stesse difficoltà del pcf a definire un orientamento chiaro e positivo sulle questioni europee. Al contrario del partito comunista italiano e spagnolo, il pcf si pronuncia risolutamente contro l'allargamento del Mercato Comune e denuncia il pericolo di «un'Europa germano-americana». I suoi attivisti proclamano: «Produciamo francese» e si pronunciano contro «un'Europa tedesca». Questo mi pare contrario ai principi internazionalisti più evidenti e in contraddizione con le realtà del mondo contemporaneo. Che si critichi l'Europa delle multinazionali dove dominano le società tedesche o americane mi sembra giusto e necessario, ma non si può confondere il popolo tedesco con le multinazionali. Le parole d'ordine del pcf non favoriscono perciò la comprensione dei problemi dei lavoratori nel nostro tempo. E' nel quadro europeo che si svolgono e si svolgeranno le lotte di classe della nostra epoca. Ripiegarsi sullo spazio nazionale non mi sembra né giusto né necessario. Non si tratta soltanto di accettare le istituzioni europee a parole, perché esse esistono, ma di condurre una politica di alleanza dei lavoratori e dei popoli nel rispetto dell'indipendenza nazionale. Esiste la possibilità di una maggioranza di sinistra al Parlamento europeo per la convergenza delle forze socialiste e comuniste nell'Europa occidentale. All'interno degli stessi partiti socialisti, affiorano mutamenti di cui bisogna tener conto seriamente. Di fronte alla crisi sono numerosi i sociali¬ sti che prendono consapevolezza della necessità di una nuova politica. Respingerli, in nome d'un ami-europeismo sommario e contrario ai nostri principi internazionalisti, nelle passate impasse mi sembra particolarmente nocivo. La nazione deve vivere, ma il nazionalismo deve morire. Noi non possiamo ignorare gii interessi dei lavoratori tedeschi, inglesi, italiani o spagnoli. O noi saremo capaci di unire tutti i lavoratori europei in un fascio di lotta contro le multinazionali o queste continueranno a dominare l'Europa. Non è certo un gallo-comunismo che risolverà il problema. Noi difenderemo tanto meglio i lavoratori francesi quanto noi daremo un nuovo orientamento all'Europa. L'atteggiamento verso la politica sovietica continua, in una certa misura, a essere la pietra di paragone per il pcf. Io non propongo certo una rottura delle relazioni fra il partito comunista francese e il pc dell'Urss. Ma al contrario è necessario che ci siano relazioni fra i diversi partiti comunisti e non vedrei alcun inconveniente à un incontro di Marchais con Breznev, ma queste relazioni devono sussistere nella chiarezza. E per questo non basta rivendicare il diritto alla critica. In realtà il pcf non si è sciolto dai suoi legami privilegiati con l'Unione Sovietica. Malgrado il libro L'Urss et nous, il giornale L'bumanité continua a vedere la realtà sovietica come un Paradiso terrestre. Si rifiuta di criticare l'antisemitismo quale si manifesta nelle pubblicazioni ufficiali sovietiche, come per esempio nel recente libro curato da Mitine sul sionismo e pubblicato sotto gli auspici dell'Accademia delle scienze. Il pcf si rifiuta soprattutto di criticare la politica estera dell'Urss. Non ho mai difeso il regime di Poi Pot in Cambogia, anzi, ma un intervento straniero è inammissibile, anche quando è compiuto da un Paese come il Vietnam, i cui sacrifici nella lotta contro il colonialismo francese e l'imperialismo americano sono stati così pesanti. Ed ecco che comincia la guerra tra la Cina e il Vietnam e se ne minaccia un'altra fra la Cina e l'Urss. Quali che siano le responsabilità cinesi nell'aggressione al Vietnam, noi non possiamo prendere posizione in un conflitto fra Stati socialisti. Soltanto la neutralità eviterà al pcf di commettere pesanti errori, come fece in passato. Non soltanto il Gulag, ma anche Budapest e Praga pesano tragicamente sulla storia del nostro partito e anche gli avvenimenti attuali rischiano di aggravare ancora di più la situazione e anche di minacciare la pace. La Cina non è certo immune da errori e da colpe, ma si può essere soddisfatti della politica estera sovietica? Io non nego che l'Urss possa avere un ruolo positivo nelle relazioni internazionali equilibrando il ruolo dell'imperialismo americano. Ma questo non giustifica certe tendenze della sua politica estera. L'Urss non dà prove di egemonia e di espansionismo sotto l'apparenza della solidarietà anti- imperialista e della lotta di classe su scala internazionale? Qual è la verità nel conflitto tra la Somalia e l'Etiopia? Che ruolo ha l'Unione Sovietica in Madagascar? Sono tutte domande le cui risposte implicano una estrema prudenza. Diritti dell'uomo Noi non accettiamo l'isolamento dell'Urss. Noi dobbiamo dire chiaramente che i sovietici risolveranno da soli i loro problemi che i diritti dell'uomo non potranno trionfare in Unione Sovietica che sulla' base della volontà liberamente espressa dai popoli dell'Urss. La pace e la distensione devono essere preservate e sarebbe un errore, ad esempio, boicottare i fiochi olimpici di Mosca. Bisogna al contrario che migliaia di francesi vadano a Mosca e pongano chiaramente il problema dei diritti dell'uomo, fatto che può aiutare coloro che là continuano a sperare e a combattere per una democratizzazione del regime. Su tutti questi punti i progetti di risoluzione e di statuti mi paiono insufficienti nei documenti preparatori del prossimo congresso del pcf. Essi tendono, in realtà, a riabilitare degli aspetti cruciali della politica e della realtà sovietiche. E' vero, e lo proclamo chiaramente: io mi sento più vicino a Sakharov e a Sharanski che a Breznev, più vicino a Bahro che a Honecker. più vicino a Sabata che a Bilak. E' cosi che si pone il problema: o si è con il carnefice o si è con la vittima. Non è facile, certo. Ma bisogna essere chiari, tanto più che decenni di filo-sovietismo hanno fatto un male ben più grande di quel che non sembri al movimento operaio francese in generale, e al pcf in particolare. Non è con giudizi sugli aspetti positivi o negativi che si metteranno in luce le contraddice- li della realtà sovietica. Anch'io, in passato, nella prefazione della Storia dell'Urss ho parlato di luci e ombre, ma riconosco che è un modo troppo semplicistico di porre i problemi. Non è il momento degli abili compromessi, ma al contrario delle scelte nette. Jean Elleinstein Copyright di «Le Monde» e per nuli» de «La Slampa»