Le due tigri in Asia di Frane Barbieri

Le due tigri in Asia Le due tigri in Asia Mentre le divisioni cinesi arrestano l'avanzata, piantando le loro bandiere rosse di fronte a quelle altrettanto rosse dei vietnamiti, sospinti a dieci chilometri dal confine, a Pechino Teng Hsiao-ping ha trovato opportuno tranquillizzare il mondo allarmato. Ha qualificato l'intervento come una «azione limitata e circoscritta ad una situazione specifica della frontiera». Voleva probabilmente con tali assicurazioni sciogliere la contraddizione fra i suoi programmi di progresso moderno ed un'estenuante campagna di guerra. Ha fatto anche notare però che la Cina deve mostrare di non poter tollerare nessuna aggressione che potrebbe essere male interpretata come sua indifferenza o debolezza e che altrettanto non può permettere alcuna prepotenza. Nei limiti circoscritti, il colpo cinese viene motivato dalle vicende cambogiane e mira di ripercuotersi nella stessa Cambogia. Infatti le notizie ci parlano di un'offensiva dei guerriglieri di Poi Pot e di una conseguente decisione di Phan Van-dong. presente a Phnom Penh. di spostare altre quattro divisioni vietnamite in quel Paese in difesa del regime instaurato da Hanoi. Di fronte all'attacco cinese, il grosso degli effettivi vietnamiti si sposta paradossalmente nella Cambogia. Il che forse indica il vero campo del conflitto di cui quello sulla frontiera cinese potrebbe essere soltanto un'estensione marginale. Tuttavia le implicazioni non si fermano nell'Indocina. Vanno più lontano anche nelle dichiarazioni di Teng Grosso modo il capo cinese ha infatti asserito che il suo Pae se non può permettersi di es sere considerato una «tigre di carta». E il discorso ovvia mente non è rivolto soltanto ad Hanoi. A prescindere dal dove, a quale chilometro del territorio vietnamita, si ter mera l'intervento cinese, ormai ci troviamo di fronte ad una recrudescenza del laten te conflitto cino-sovietico. Basta presumere che nemmeno l'Unione Sovietica potrà permettersi di essere considerata una -tigre di carta». Non è detto che la sua reazione debba riversarsi subito sui confini dell'Ussuri. Per il momento non si notano infatti significativi movimenti di truppe nella Siberia. E' più probabile che Mosca si muova per il momento in altre direzioni. Anzitutto non si farà sfuggire l'occasione per consolidare, anche con maniere brusche, il proprio blocco sul fianco europeo. Il Cremlino dispone ora di argomenti più forti per imporre agli alleati la formazione delle unità militari e dei comandi comuni, per chiedere a tutti un aumento degli sforzi e delle spese militari, compreso l'impegno dei Paesi del Patto dì Varsavia sul fronte siberiano e su quello vietnamita. La defezione autonomistica romena potrà perciò diventare l'obiettivo più immediato delle pressioni sovietiche. Indicativo in questo contesto anche l'improvviso rimbalzare della campagna irredentistica bulgara verso la Macedonia jugoslava sulle pagine della Pravda, con l'invio di corrispondenti sovietici nelle zone di confine fra Bulgaria e Jugoslavia. Un'azione più energica potrà registrarsi anche nella Polonia, dove Mosca certamente non condivide le incertezze di Gierek di fronte al possibile impatto destabilizzante su tutto l'Est di un eventuale viaggio di papa Wojtyla nel paese natale. Saranno ristretti i margini di movimento anche all'Ungheria, alla Germania, a tutti gli alleati del Patto, impegnandoli a rafforzare il monolitismo del fronte europeo per consentire all'Urss di consacrarsi a quello che considera il pericolo più grave: la Cina. La barcollante Europa occidentale sarà probabilmente il secondo obiettivo delle reazioni sovietiche. Anzitutto, Mosca cercherà di bloccare ogni forma di appoggio o anche di giustificazione dell'azione di Pechino. Lo si intravede già dallo schierarsi senza riserve, né i soliti equilibrismi, degli europei sulle posizioni sovietiche. L'incrinatura prodottasi a Guadalupa fra europei ed americani nel giudicare la politica cinese si presta più che mai ad essere approfondita. Essendo più debole e vulnerabile, ed anche pericolosamente vicina alla Russia. l'Europa occidentale teme di più una irritazione dei moscoviti. Del resto, se a Mosca prevalessero i falchi, non è scontato che le ire si riverserebbero prima sulla Cina che non sull'Europa. Puntando sulle perplessità dei governi europei. Mosca userà nuovi argomenti e pressioni (ha nelle mani anche la carta petrolifera) per bloccare il progettato viaggio in Europa di Hua Kuo-feng o almeno impedire una più stretta alleanza europei-cinesi, a cui punta la strategia di Pechino. Il Cremlino coglierà l'occasione, più propizia che mai. per indurre l'Europa a sconfessare l'eccessiva apertura americana verso la Cina post-maoista. L'ulteriore obiettivo — e non ultimo — della reazione sovietica sai'à senz'altro la politica del suo partner naturale: Washington. Isolando gli Stati Uniti dall'Europa sulla questione cinese e mettendo in conto le stesse perplessità della Casa Bianca di fronte all'azione cinese. Mosca farà di tutto per incrinare la neonata alleanza e ridurre in buona misura l'avvicinamento tra Washington e Pechino, per indurre gli americani a ritornare al1 bipolarismo puro, come garanzia più stabile degli equilibri mondiali. E' il momento in cui i cinesi possono rimanere delusi per la riservatezza degli americani, e gli americani stemperare la loro euforia di fronte alle incognite improvvise davanti a cui i cinesi potrebbero porli. Breznev trarrà dalle ultime vicende, quella iraniana inclusa, ulteriori argomenti per porre un ultimatum a Carter: o con me o con Hua. Ed a Carter non sarà del tutto facile formulare una risposta. Cosi, compiendo il giro del mondo, il contraccolpo di Mosca finirebbe col colpire Pechino anche senza aprire subito nuovi conflitti sull'Ussuri. Però prima o poi anche i confini siberiani dovranno diventare incandescenti. Gli ultimi conflitti e le manifestazioni anti cinesi montate a Mosca non potevano non far rivivere l'ossessione atavica che il pericolo giallo sta suscitando da sempre nell'animo dei russi. Tempo fa il celebre romanziere sovietico Kostan- tin Simonov aveva proposto la realizzazione di un film storico sulla conquista e la costruzione da parte dei russi del grande porto di Vladivostok. E aveva subito sottolineato che la sua era più una proposta politica e strategica che storiografica o artistica. Bisogna dimostrare, aveva spiegato, come in quell'estremo litorale d'Oriente si siano affacciati i russi molto prima dei cinesi e come hanno dovuto sempre difenderlo dalle aggressioni. Il film servirebbe, cosi, a forgiare lo spirito di resistenza del popolo sovietico di fronte a una possibile nuova aggressione: uguale effetto, a suo dire, aveva avuto la famosa opera di Eisenstein consacrata alla vittoria di Alessandro Nevskij sui cavalieri teutonici. Dall'iniziativa di Simonov traspare quanto le radici dello scontro siano lontane: storiche, ancestrali e diremmo pure di razza. A queste aggiungiamo quelle più recenti. Fra tutte le esperienze che Mao ha tratto dalla sua lunga marcia storica una ci sembra essenziale, anche se non com-' presa nel libretto rosso: cioèi che l'Urss sia il pericolo più' grande per la Cina e allo stesso tempo l'ostacolo principale allo sviluppo del comunismo nel mondo. Hua e Teng mettono in atto la lezione di Mao. Dal canto suo Mosca, per le stesse ragioni, sta scoprendo nella Cina il pericolo maggiore. Assistiamo dunque appena ad un episodio di un conflitto che non si sa bene dove incominci ed ancora meno dove finisca. „ „ ,. Frane Barbieri