Lefebvre contesta la dottrina difficile il perdono del Papa

Lefebvre contesta la dottrina difficile il perdono del Papa L'ex S. Uffizio pronuncerà la sentenza tra 90 giorni Lefebvre contesta la dottrina difficile il perdono del Papa Non ha criticato soltanto questioni gerarchico-disciplinari - Sostiene, ad esempio, che la liturgia della messa post-conciliare è quasi eretica - Il vescovo «ribelle» sembra ottimista, ma in Vaticano spira aria di pessimismo - L'ultima parola spetterà a Giovanni Paolo II CITTA' DEL VATICANO — Mons. Marcel Lefebvre. l'arcivescovo francese «ribelle» sospeso a divinis da Paolo VI nel luglio '76, dovrà attendere almeno tre mesi per conoscere il suo destino. L'ex S. Uffizio, nel post-Concilio chiamato meno sinistramente «Sacra Congregazione per la dottrina della fede», sta ultimando la relazione e i dossiers degli atti istruttori compiuti sulla clamorosa rivolta anticonciliare che ha portato la Chiesa sull'orlo dello scisma. Questo complesso e ampio materiale sarà inviato a «cotoro che devono prendere una decisione-, come disse il portavoce della S. Sede l'il gennaio, mentre si concludevano 'gli interrogatori di Lefebvre. definiti con eufemismo «coZloqui». Chi saranno i giudici? Panciroli usò questa formula: «/ cardinali membri della Congregazione, in ultima istanza il Papa*. La decisione di massima spetterebbe, dunque, alla cosiddetta «Congregazione ordinaria» dell'ex S. Uffizio: è la riunione consueta di ogni mercoledì alla quale devono partecipare gli undici cardinali che formano la «Congregazione» o. meglio. quei porporati «presenti a Roma». Si viene ora a sapere invece che sulla vicenda si pronunceranno, quasi certamente, i membri della «Congregazione plenaria straordinaria» composta dagli undici cardinali, ma anche di sette vescovi diocesani, inclusi in ogni dicastero con la riforma della Curia. Questa Congregazione plenaria si riunisce di norma una volta l'anno, in maggio. Giovanni Paolo II vuole un pronunciamento al livello più solenne e impegnativo; trattandosi di un «affaire» di rilievo fondamentale per la Chiesa. Lefebvre ha espresso non solo fiducia, ma ottimismo nella conclusione del procedimento, lasciando capire che Papa Wojtyla «comprende» le sue ragioni. L'aria che tira in Vaticano, invece, è di estrema cautela se non di pessimismo perché Lefebvre ha investito questioni di dottrina, e non solo disciplinari. Qualche esempio: egli rifiuta la liturgia della Messa voluta dal Concilio sostenendo che è quasi eretica. Con questa accusa, ovviamente, contesta la dottrina che sta alla base della riforma liturgica. Ha ordinato, malgrado la proibizione di Paolo VI, centoventi preti e diaconi «tradì zionalisti», in polemica con i nuovi metodi formativi nei seminari, voluti dal Concilio Con le sue accuse di modernismo, ha discusso l'autorità del Papa e del Concilio, altro cardine dottrinale. Per queste ragioni il suo caso è stato affidato all'ex S. Uffizio: quando sono in gioco faccende dottrinali, la soluzione d'un proce dimento non è mai facile. Il vescovo ribelle fu interrogato, dal 10 al 12 gennaio, non dal prefetto dell'ex S. Uffizio, card. Franjo Seper (jugoslavo, da lui considerato «di piena fiducia'), ma da sei personalità di rango inferiore: il segretario mons. Jerome Hamer, il sottosegretario mons Alberto Bovone, il «promotore di giustizia» o pubblico ministero Sandor Cserto. tre in signi teologi, di cui conoscia mo due nomi: il gesuita Jean Galot, docente di teologia dogmatica nell'Università Gregoriana, il domenicano Benoit Ducroux e un altro ge suita. Sulla base del volume di Lefebvre Un vescoi'o parla, gli furono contestati centottan tasei punti soprattutto di cai-attere dottrinale. Egli diede risposte scritte e chiarimenti orali alle domande degli in quisitori. Non si avvalse del difensore di fiducia, previsto dalla nuova procedura del 70. I verbali furono stesi dagli officiali minori» Velemir Ciapek e Stanislao Slabon (polacco). Tutto in perfetta regola, ad evitare che Lefebvre eccepisse eventuali manipolazioni come fece nel 1975 con le registrazioni magnetiche degli interrogatori resi alla commissione di tre cardinali, nominata da Papa Montini. Essi erano Gabriel Maria Garrone, prefetto del dicastero dei seminari, Tabera Araoz, prefetto del dicastero dei religiosi, e John Joseph Wright, prefetto del dicastero del clero. Furono colloqui talora tempestosi, specie quello del 3 marzo '75. Garrone: Chi giudica la fedeltà alla tradizione? Né lei, né io! E' il Concilio, è il Papa!«. Lefebvre: «Il Papa stesso distingue nel Concilio, lei ini'ece ini accuso di...... Garrone: «Lei sta creando una setta e sarà il Papa di una nuova Chiesa». Lefebvre: 'Oh.... Non si tratta di prendere il posto del Papa... Chi non vive ai margini della realtà, come lei, è stanco degli abusi... I seminari cesseranno di esistere e voi dimostrerete di esser stati capaci di schiacciarli-. Negli interrogatori al S. Uffizio, Lefebvre ha riconosciuto di «aver esagerato», ma ha mantenuto le sue opinioni fondamentali. Si dice in Vati cano che, a parte la buona fede probabilmente scossa da ragioni psicologiche. Lefebvre «può sperare» a queste condizioni: accetta il Concilio, rinnega le critiche a Paolo VI, sottomette la sua «fraternità sacerdotale S. Pio X» e i suoi seminari, con i relativi patrimoni molto cospicui, al controllo della S. Sede, forse, gli sarà chiesto di ritirarsi a vita privata. D'altra parte, numerosi docenti che seguirono Lefebvre lo hanno abbandonato giudicandolo eccessivamente estremista e. secondo quanto risulta a Roma, i suoi seminari sono in gravi difficoltà per mancanza di insegnanti. Nella stessa casa-madre di Econe, la partenza di quasi tutti i professori costringe gli allievi a sostituirli nelle lezioni. E' il segno della crisi. Lamberto Fumo

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