La dc preferisce formare il governo Da nuove elezioni non spera nulla di Luca Giurato

La dc preferisce formare il governo Da nuove elezioni non spera nulla In 50 minuti la direzione ha definito il compito dì Andreotti La dc preferisce formare il governo Da nuove elezioni non spera nulla Se il presidente incaricato non dovesse riuscire nel tentativo allora, fanno capire a Piazza del Gesù, si «dovrebbe cambiare mano»: nomi di Piccoli e Forlani ROMA — La direzione de di ieri è durata solo cinquanta minuti e tanta brevità ha sorpreso alcuni osservatori, giunti a piazza del Gesù con la convinzione di assistere a un dibattito interminabile, denso di scontri laceranti. Tutto è invece filato liscio e Andreotti, da oggi, potrà iniziare il primo giro di consultazioni con tutti i partiti per tentare di risolvere la crisi. Siamo di fronte ad una nuova, abile mossa tattica della de. ad un unanimismo di facciata dietro la quale si affilano, e non tanto in segreto, coltelli acuminati? Un breve ma intenso excursus della de d'oggi, da quando il partito è stato nuovamente colpito dall'-artiglio dell'opposizione» sfoderato da Berlinguer, rivela una realtà in movimento, però in sostanza assai diversa da quella che per lungo tempo amici e carissimi nemici de ci hanno abituato a registrare. Con qualche riserva, si è in sostanza portati a dare alla domanda sui coltelli una risposta negativa. Questa prima «foto di gruppo» della de a quasi un anno dalla tragedia Moro, proprio alla vigilia di un recupero estremo della politica voluta dallo statista assassinato, mostra un partito sostanzialmente unito sulla «necessità» di tentare tutto il possibile per rilanciare l'intesa a cinque, con il pei nella maggioranza. Via libera ad Andreotti dunque. Certo, se non dovesse riuscire, si fa capire, correggendo un po' gli ultimi tiri, che si potrebbe «anche cambiar mano». Se arriverà, l'incarico non giungerebbe sgradito né a Piccoli, né a Forlani. Necessità, non vuol dire convinzione; tanto meno entusiasmo. Tale «stato», al di là delle considerazioni più scontate ed evidenti, si è a poco a poco radicato nel partito grazie ad alcune «osservazioni» fondamentali. La prima è la seguente: nella de. tranne alcune minuscole frange, sempre più isolate, nessuno crede più all'ipotesi di un successo, elettorale clamoroso dopo una campagna condotta nel nome di un anticomunismo esasperato. E' noto che. da qualche parte, si cerca di inserire la posizione di un leader irruento ma prestigioso come DonatCattin in questa presunta linea. E' però un tentativo maldestro, strumentale, perché Donat-Cattin ha più volte fatto capire che i suoi discorsi anti-pci sono «contro l'ineluttabilità dello svolgimento storico in direzione comunista». non certo a favore di una linea che porterebbe la de a sconfitte cocenti, di memoria non lontana. La seconda convinzione è altrettanto radicata e parte ancora una volta da un «discorso elettorale». I leaders de sono più o meno convinti che le elezioni anticipate cambierebbero poco o niente nei rapporti di forza con i comunisti. Si dice: tutte le previsioni danno la de in lieve ascesa e il pei in lieve calo. Ma cosa cambierebbe, anche se Berlinguer portasse a Montecitorio 20 deputati in meno? A questa domanda, si salda la terza convinzione: se cambia qualcosa, cambia in peggio, e per tutti. Avremmo, si dice alla de. un interlocutore comunista con una forza parlamentare quasi intatta però più aspro ed esigente di adesso. Quindi esigenze nuove, trattative ancor più dure e. magari, lo spettro di un altro scioglimento anticipato delle Camere, il quarto in un decennio, «un colpo forse mortale per la credibilità dei partiti e delle istituzioni». Non a caso, anche il gruppo che più ha contestato la linea favorevole al pei nella maggioranza, quello dei «Cento» (Segni, Scalia, Mazzotta). proprio ieri si è ufficialmente espresso contro le elezioni anticipate, che «non risolverebbero l'attuale problema politico». Non a caso, anche il dirigente de forse più criticato dai comunisti. Antonio Gava. ritiene «validi» i motivi che hanno portato alla scelta voluta da Moro e Zaccagnini. E' chiaro che tanto unanimismo in quello che rimane, più che un partito, un arcipelago, desta sospetti, provoca domande, suscita perplessità che portano l'osservatore a scavare sempre più a fondo, nella ricerca di un qualcosa che brilli di una luce diversa. Scavando, salta sempre fuori qualcosa. Per esempio, che nella de si è assolutamente contrari all'ipotesi di un governo istituzionale e non perché il candidato quasi naturale alla presidenza del Consiglio sarebbe Amintore Fanfani. V'è poi il tentativo, sostenuto almeno sino a ieri da DonatCattin e Bisaglia, di avviare un «recupero» del psi, per sganciarlo dai comunisti e inserirlo con tutti gli onori in una nuova maggioranza. Ma sembra destinato a fallire, sia perché i socialisti non ne vogliono sapere, almeno sino alle elezioni europee, sia perché nella de i leader convinti che il pei non vada mollato sono in maggioranza, da Zaccagnini a Bodrato. da Piccoli a Galloni. «Non possiamo rovesciare solo sul pei le responsabilità per la rottura della politica di unità nazionale», ha detto Bodrato domenica. Luca Giurato

Luoghi citati: Roma