Il giudìzio: ritratto di nevrotici eccellenti

Il giudìzio: ritratto di nevrotici eccellenti Il giudìzio: ritratto di nevrotici eccellenti Co sempre stato nella comicità di Woody Alien un soprassalto doloroso e patetico che gli serviva a rimuovere, dileggiandoli, i suoi turbamenti più profondi. Il genere comico era una forma di sicurezza. Come se Woody Alien dicesse: «Finché mi sento cosi indifeso, vi faccio ridere». Il successo non ha cambiato il suo carattere, ma lo ha autorizzato ad essere coraggioso. Già in Io e Annie c'era una svolta di malinconica esibizione; ma prevaleva la difesa e si rideva. Con Interiors Woody fa il giro completo su se stesso; nasconde l'attore (non recita nel film), fa vedere il lato drammatico del regista e dello scrittore. Naturalmente è sempre lui: tanto più lui. quanto più lo stile si chiarisce e sfiora timidamente il sarcasmo. Dunque, si va a vedere Interiors non per ridere, ma per ammirare in Alien un eccellente e pungente autore drammatico, per apprezzare un film quasi perfetto nella sua ossessiva ricerca di semplicità. Un film inimitabile, perché, alla fine, anche i rimandi esteriori alla maniera di Bergman non sono che una coerente pro¬ vocazione e un ultimo nascondiglio: un falso, nato su un bisogno vero. Interiors è tutto americano, anzi nuovayorchese; dietro c'è il grande teatro di famiglia, con O'Neill in testa; ma soprattutto la letteratura della città colta, la MacCarthy del Gruppo o Cheever di Dry Martini. In una casa della borghesia ricca e coltivata di New York si sta consumando una separazione. Un marito. E.G. Marshall, ha deciso che le tre figlie sono ormai abbastanza adulte per aver bisogno di una famiglia e che la moglie. Geraldine Page, può esercitare da sola le sue attenzioni nevrotiche per l'ambiente che la circonda (fa l'arredatrice). Lui vuole andarsene e lo dice meticolosamente a tavola. Negli interni grigi e azzurrini costruiti dalla moglie, ogni gesto è come un segno definitivo di disordine. Le figlie si sentono ricacciate nelle proprie angosce private, la moglie oppone il rifiuto dell'ira e dell'amore ferito. Così la famiglia, dopo la separazione, è più legata di prima ai propri rancori e ai propri oggetti, e ogni «interno» separatamente si ripete. La figlia poetessa, Diane Keaton, è tormentata e esaltata da un discreto successo, suo marito, romanziere, è roso dall'insuccesso e dall'inettitudine. La figlia attrice si disperde con una certa allegra stupidità nei telefilm e nella droga; la figlia eclettica non sa che fare, se la fotografa o la pubblicitaria, perché in realtà non sa fare nulle. La madre tenta il suicidio. In mezzo a questi interni, di case e di persone, la visita di Maureen Stapleton, la donna che il padre vuole sposare dopo il divorzio. porta una rottura eccitante di volgarità: con la sua sbrigativa ignoranza rappresenta la consolante tentazione della non cultura. Le figlie torbidamente l'ammirano. Si celebrano le nozze nella casa in riva al mare, onde di risacca, chiacchiere imbarazzate, la madre è in clinica. Quando cade la notte, la figlia buona a nulla crede di vedere la madre staccarsi da un angolo della sala di soggiorno e avviarsi al mare per un suicidio punitivo. Non resiste alla grandezza di quel gesto e la segue tra le onde. Solo l'intervento del marito e la respirazione bocca a bocca di Maureen Stapleton, la matrigna, la salveranno. Ma la madre s'è uccisa davvero. Vediamo le figlie, dopo il funerale, riunite in un interno: nemiche, fragili, teatrali, ma custodi di se stesse. L'accentuazione nel finale degli atteggiamenti «estetici», il gusto della forma, tra il caricaturale e l'ingenuo, fanno capire qual è il vero tema americano e nuovayorchese del film: la nevrosi culturale, le ambizioni intellettuali, la frustrazione che unisce i risentimenti del gruppo, sia quando pensa alla famiglia, sia quando si strugge per l'arte. Gli «interni», nella bellissima luce che vi proietta la fotografia di Gordon Willis, sono il segno materiale delle velleità e delle conquiste: il loro ordine, la loro semplicità costituiscono appunto una ricerca ossessiva che non rende felici gli abitanti. Woody Alien li raccoglie, affettuosamente, nella pena e nell'infelicità comuni, come in un buon quadro di una buona galleria di New York. s. reg. Kristin GrifTith, che interpreta l'Ivi! nel film «Interiors»

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