Sotto lo scudo dc da sponde diverse di Alberto Ronchey

Sotto lo scudo dc da sponde diverse IL RETROTERRA DEL PARTITO CATTOLICO Sotto lo scudo dc da sponde diverse Nella sua Intervista sul nongoverno ad Alberto Ronchey. Ugo La Malfa riconosceva l'errore dei gruppi dirigenti dei partiti laici, a cominciare dal partito d'azione, nell'aver sottovalutato ostentatamente, all'indomani della Liberazione, il peso della componente cattolica nella vita italiana. Alla domanda se quegli uomini vedessero «la forza sociale del movimento cattolico dietro De Gasperi». La Malfa rispondeva con la consueta lealtà e franchezza: «No. vedevamo il Vaticano». Edi fronte all'insistenza dell'interlocutore, che evocava il retroterra storico della de. dall'opera dei congressi alle cooperative, dalle leghe bianche alle casse rurali, il presidente del pri ammetteva: «No. niente, vedevamo nel movimento cattolico le proporzioni che esso aveva avuto dopo la prima guerra mondiale». Cioè, più o meno, i cento deputati su cinquecento, un quinto del Parlamento nazionale, una riedizione, corretta e senza abiti talari, dell'esperimento di Sturzo. La sottovalutazione della componente cattolico-democratica pesò in modo decisivo sulla politica di quegli anni e sui rapporti di forze che poi la Costituente del 2 giugno '46 doveva sanzionare. La proposta lamalfiana di un'alleanza fra i gruppi di democrazia laica e i socialisti, avanzata agli inizi del '45, cadde anche per la convinzione dominante nel psi di un ruolo subalterno della democrazia cristiana, di un peso decisivo delle forze che comunque si richiamassero al movimento operaio. Unica eccezione: Togliatti, tendente a valutare il peso non tanto della de quanto del papato, e delle masse cattoliche da esso influenzate tramite lo «strumento» democristiano, e quindi portato a sminuire con una punta di sprezzo neanche dissimulato il ruolo delle forze laiche che il corpo elettorale avrebbe confermato minori: «Piccoli partiti, piccole idee». Sergio Fenoaltea. testimone sicuro e autorevole di quegli anni, racconta di una seduta del Ciri di Roma, subito dopo la Liberazione, in cui Togliatti disse a voce abbastanza alta per essere ascoltato: «Qui c'è anche chi non avrebbe titolo per esserci. Dovrebbero esserci solo comunisti, socialisti e cattolici». L'eco di quei giudizi, di La Malfa e di Togliatti, è risuonata in un singolare e significativo convegno organizzato a Mi-, lano in questi giorni dall'ufficio culturale della de, ma sulla base di una proposta autonoma di un gruppo di riviste cattoliche, e quindi senza troppi timbri o sigilli di partito, dedicato a «Democrazia cristiana e Costituente nella società del dopoguerra». Un convegno variegato e composito, dove indagini di pura storiografia si sono alternate a testimonianze di impegno politico, ma nella coscienza — comune a tutti i relatori — che qualcosa è cambiato anche nel giudizio della storiografia laica sulle radici profonde e complesse del movimento politico dei cattolici democratici in Italia. Le semplificazioni o le scomuniche non sono più di moda, in nessun senso. Impossibile identificare la de con la destra e col partito — tout court — del Vaticano o dell'America, secondo uno schema semplicistico di contrapposizioni manichee, favorito dalle manifestazioni di una certa intolleranza o arroganza clericali, ancora più nel costume che nelle leggi dello Stato (Concordato a parte). Un travaglio della de molto più vasto e profondo di quanto fosse apparso in superficie: un insieme di componenti confluite sotto lo scudo Libertasàa sponde diverse, talora opposte. Nucleo centrale: l'Azione cattolica, molto più fascista che antifascista. Ma accanto al laicato credente, organizzato in virtù delle immunità concordatarie, ecco affiorare i gruppi dell'antico «neoguelfismo» di Malvestiti e i filoni del cattolicesimo liberale lombardo sempre diffidenti verso Sturzo e i credenti nel «codice di Carnai-' doli» che riuniva le differenti esperienze della sinistra democristiana sospesa fra utopia ed efficienza e i cattolici veneti reduci dall'integrismo alternati ai cattolici meridionali orientati verso una prevalente o indulgente nota clerico-moderata. Confederazione di partiti, all'inizio, piuttosto che partito. E senza neppure la certezza di essere il partito unico dei cattolici, almeno alle origini: era singolare, al Palazzo delle Stelline a Milano, sentire storici qualificati, soprattutto giovani, parlare delle lotte fra Montini e Tardini e delle differenze di valutazione, sulla stessa unità democristiana, in ambienti autorevoli della Curia o dell'episcopato che una volta, ancora qbucdLMqcGfv(avnismucdQtalclsnrfspdapc quindici o vent'anni fa. sarebbe stato impossibile citare in un'assemblea di studiosi democristiani (nel '60 parve un atto di audacia parlare a fondo di Leone XIII). Dominante, nel convegno di Milano, la convinzione di quel quid unico e inconfondibile che rappresentò la de di De Gasperi. Accettazione, sì. della filosofia liberal-democratica volta ad aggregare i ceti medi (la rottura del maggio 'Al. il 18 aprile '48) ma al servizio di una visione della vita, e dell'organizzazione sociale, autonoma e irriducibile al vecchio liberalismo. La de che raccoglie i voti moderati ma non diventa mai un partito conservatore; la de che ricupera la dissidenza di destra, a cominciare dall'Uomo Qualunque, restando un partito popolare di tendenziale centro-sinistra. Il patto costituzionale che sopravvive, integro, alla rottura del patto di governo con le sinistre; un certo dialogo fra De Gasperi e Togliatti che non si interrompe mai. nonostante l'asprezza di una polemica personale senza esclusione di colpi... Il tema della svolta del '47 non poteva non tornare nella riunione di Milano. Due anni fa. il suo approfondimento in sede storiografica servì quasi a prefigurare la grande coalizione: nell'euforia dei tempi (quanto brevi!) si arrivò anche da parte cattolica a sfumare o attenuare il contrasto fra de e pei, a trasformare la clamorosa rottura del maggio '47 in un incidente di percorso, che non cambiava la rotta, ripristinata trent'anni dopo. Oggi c'è la' tendenza opposta: un autorevole esponente della de. con cariche di partito, è arrivato ad auspicare un «bis» della frattura del '47 per allontanare nuovamente i comunisti dall'area della maggioranza, dove pure Moro li aveva riconosciuti legittimi condomini. A Milano, contro le due tendenze estreme, ha vinto il buon senso: i diritti della storia hanno prevalso sulle deformazioni della polemica. La svolta fu radicale rispetto al Cln e alla collaborazione ciellenista; ebbe ragioni fondamentali di politica estera, di politica economica, di politica istituzionale. Fu un fatto peculiare, ma in una situazione peculiare. L'Italia del 1979 non ha nulla in comune con quella del 1947: non il tipo di partito comunista, non il grado di sviluppo della società industriale (adesso avanzata, almeno sulla carta), neanche i rigidi condizionamenti internazionali di una parte e dell'altra. Vale l'ammonimento di Moro, che nel pieno della polemica sulla svolta, agosto 1977. esortò tutti gli apologeti o detrattori a un po' di prudenza: «Nessuno potrebbe chiedere al De Gasperi del '46-47 di darci consigli per il difficile presente». E sul non dare consigli per il presente, soprattutto in giorni come questi, tutti i convenuti a Milano sono stati d'accordo, con clamorose ma non decisive eccezioni. Non senza ripensare ogni tanto alle occasioni perdute, da una parte e dall'altra. Si prenda il tema, tuttora aperto, del Concordato, affrontato con franchezza in questa assise cattolica. Un relatore, il prof. Pazzaglia. ha parlato, e bene, del rapporto fra Aldo Moro e Concetto Marchesi, i due relatori, de e comunista, della sottocommissione per la scuola alla Costituente. E' stata rievocata una proposta di Moro, sul nodo dell'insegnamento religioso consegnato ai testi del '29. che l'intransigenza delle sinistre fece cadere: «Nelle scuole di ogni ordine, escluse quelle universitarie, lo Stato assicura agli studenti che vogliono usufruirne l'insegnamento religioso. ». Due mesi fa. nel dibattito del Senato sulla revisione concoidataria. toccò a me, esponente di un filone laico-risorgimentale della storia italiana, riprendere tale e quale quella formulazione per trovare una via d'intesa. «Troppo tardi»: mi fu risposto. Giovanni Spadolini

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