"E De Gaulle cambiò idea,,

"E De Gaulle cambiò idea,, L'EX PRESIDENTE JEAN REY RACCONTA "E De Gaulle cambiò idea,, Nel 1960, epoca in cui ero' incaricato per le relazioni esterne nella Commissione presieduta da Walter HalIstein, l'impegno più grosso era il negoziato sull'accordo Dillon. Si trattava di un pacchetto tariffario di notevole importanza discusso contemporaneamente a Bruxelles e a Ginevra. Terminammo gli incontri con la delegazione americana nel mio ufficio a Bruxelles. Erano presenti il rappresentante personale del presidente degli Stati Uniti, ambasciatore Peterson, il suo vice Walton Butterworth e io, assistito dai miei fuiarionari di rango più elevato. Discutemmo per tre ore prima di ottenere il pieno consenso sui punti maggiormente controversi. Alla fine, tirato un sospiro di sollievo, mi sembrò adatto per l'occasione offrire una coppa di champagne e brindare con gli amici americani sotto i riflettori della televisione. La sera stessa il breve filmato fu proiettato sugli, schermi dell'Ortf. Lo vidi assieme al Generale De Gaulle che, guardandomi fisso negli occhi, mi apostrofò gelida¬ mente: «Ma chi è quel signore che si permette di parlare a nome della Francia?». Non mi restava che la consolazione di ritenere che, almeno in quell'epoca, De Gaulle non conoscesse a fondo il complesso meccanismo del Trattato di Roma. Avevo ragione. Sei anni dopo, alla conclusione del Kennedy Round, la reazione del Generale fu infatti ben diversa. E' indubbio che quel negoziato rivestisse un'importanza superiore al Dillon Round: interessava 43 Paesi e la sua portata economica era considerevole. Bene, due settimane dopo la firma dell'accordo, la Commissione si recò a Roma per partecipare al pranzo ufficiale offerto a De Gaulle dal presidente Saragat durante la riunione del vertice europeo. Saragat, presentando all'ospite i membri della Commissione, gli disse con tono compiaciuto: «Ecco, mon General, i veri tecnocrati». Quando venne il mio turno, il presidente francese si felicitò calorosamente con me per aver portato in porto il difficile compromesso. Posso supporre che quel successo (sottolineato d'altronde nel libro «Gli occidentali» pubblicato dal professor Grosser) non fu estraneo, alcuni giorni più tardi, alla mia nomina di successore a Hallstein per la presidenza della Commissione delle Comunità europee. In autunno, secondo il protocollo, feci la mia visita ufficiale a De Gaulle nel palazzo dell'Eliseo. Fui accolto con molta cortesia dal presidente, che mi disse di dovermi una spiegazione. «Se fossi stato al corrente delle cose quando si discuteva il Trattato di Roma forse esso oggi sarebbe diverso. Tuttavia lei non si deve inquietare. L'abbiamo accettato, abbiamo percorso metà della strada, ora dobbiamo fare l'altra metà anche se, si affrettò ad aggiungere, ciò sarà quasi impossibile con gli inglesi». Dunque, così si esprimeva De Gaulle nel 1967. La riuscita del Kennedy Round gli aveva dimostrato, cosa che non credeva all'inizio, come l'integrazione europea, invece di nuocere al risultato delle trattative e all'indipendenza degli europei, li avesse raf¬ forzati e convinti della necessità di parlare con una voce' sola. A partire da quella data, anche nelle sue celebrate conferenze stampa, De Gaulle non avrebbe più preso in giro né la Comunità, né i padri dell'Europa, né le istituzioni di Bruxelles. Dal suo linguaggio scomparvero le frasi poco amichevoli che tanto avevano impressionato, alcuni anni addietro. Oggi, proseguendo con perseveranza e tenacia lo sforzo di costruzione politica, economica e monetaria del continente europeo, il presidente Valéry Giscard d'Estaing e il primo ministro francese Raymond Barre non contraddicono il pensiero dei loro predecessori, anzi lo implementano. Animata e sostenuta dalla Commissione esecutiva e dal Parlamento, agevolata meglio che in passato dai Capi di Stato e di governo dei Nove'' Paesi soci, la Cee è così finalmente entrata nella fase attiva della realizzazione delle sue ambizioni. Chi dunque potrebbe non esserne contento? Jean Rey

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