I candidati di Parigi

I candidati di Parigi LA FRANCIA E IL PARLAMENTO EUROPEO I candidati di Parigi Liste bloccate con un'ottantina di nomi - Posizioni politiche abbastanza divergenti - Rispunta la vecchia polemica gollista sulla sovrannazionalità Nell'ultimo numero di «Europa», dicembre 1978, abbiamo pubblicato una panoramica sui futuri candidati inglesi al Parlamento europeo. Questa volta ci occupiamo della Francia. Lo scrutinio che avrà luogo il 10 giugno in Francia e nei territori d'Oltremare per le elezioni dirette al Parlamento europeo rovescerà il trend del corpo elettorale francese incidendo in modo particolare sul voto dei giovani. I rappresentanti francesi all'assemblea comunitaria saranno infatti eletti sulla base della legge del 7 luglio 1977 che prevede il criterio della «rappresentanza proporzionale seguendo la regola della media più forte, senza che l'elettore possa sostituire i nomi in lista e senza voto preferenziale». Saranno dunque le liste nazionali «bloccate», ciascuna con un'ottantina di nomi, a disputarsi i suffragi espressi da 35 milioni fra uomini e donne chiamati alle urne per scegliere gli 81 deputati europei. Le liste che non avranno ottenuto almeno il cinque per cento dei suffragi non saranno ammesse alla ripartizione dei seggi e non otterranno nemmeno il rimborso, della cauzione presentata al-' l'atto dell'iscrizione (100 mila franchi, pari a circa 19 milioni di lire), né quello delle spese sostenute per la campagna elettorale (carta, stampa delle schede, volantini e dépliants pubblicitari). Le disposizioni di legge avranno pertanto un effetto pratico, ridurre cioè la partecipazione alla battaglia elettorale alle quattro grandi formazioni politiche nazionali, il partito comunista, quello socialista, il Rpr gollista e l'Udf dei giscardiani. Un grosso punto interrogativo pesa ancora sulla lista del Rpr dato che l'appello lanciato da Jacques Chirac, sindaco di Parigi e presidente della formazione gollista, a respingere con un triplice no «lapoliticadellasovrannazionalità, l'asservimento economico e l'annullamento internazionale della Francia», resta un'iniziativa personale che comunque ha già fatto molto rumore. Le tre violente accuse lanciate in quell'occasione dall'ex primo ministro contro il «partito dello straniero», che egli sospetta di preparare la caduta del prestigio internazionale del Paese, hanno però provocato aspre repliche in seno alla maggioranza governativa. Fra gli altri, Pierre Pflimlin, sindaco di Strasburgo e anche lui ex presidente del consiglio dei ministri, si è indignato per quelle che ha definito «proposte in-» giuriose» e per la «calunnia» pronunciata contro Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell'Europa negli Anni Cinquanta. Anche il presidente dell'Udf, Lecanuet, è stato molto duro nei confronti di Chirac: «Il suo atteggiamento è sem-, plicemente mostruoso», ha detto. Gli hanno fatto subito eco il presidente del gruppo gollista all'Assemblea nazionale, Chinaud («Chirac è troppo collerico») e il delegato generale dell'Udf, Pinton («Chirac ha l'ingiuria facile»). In seno al suo partito Chirac ha tuttavia raccolto l'approvazione quasi unanime come ha sottolineato l'ex ministro di Stato Oliver Guichard: «Se si doveva dare un seguito alla dichiarazione di Chirac, i centristi avrebbero dovuto uscire dalla maggiorama traendo le debite conseguenze dal documento. Se invece non bisogna prenderla sul serio, gli eletti del Rpr si troveranno in una situazione di ambiguità sema precedenti anche nei regimi assembleari del passato». La vecchia querelle sulla sovranazionalità viene cosi rilanciata senza chiarire la sostanza della vocazione europea francese. Ci si chiede ora quale sarà la composizione delle liste. Numerose personalità hanno già annunciato l'intenzione di tenersi in disparte, come il primo ministro Raymond Barre, il presidente del gruppo socialista Gaston Defferre, e Michel Rocard, membro della segreteria nazionale socialista e grande rivale di Frangois Mitterrand. Se i «no» sono noti, mancano invece i «si» di partecipazio-' ne. Sembra quasi che tutte le formazioni, siano di maggioranza o di opposizione, abbiano ingaggiato una battaglia al rallentatore. Hanno, è vero, tempo fino al 25 marzo per far conoscere le proprie intenzioni, giorno nel quale scadrà il termine per la presentazione delle candidature e per l'inizio della campagna elettorale. Sul finanziamento della campagna, numerose le cose da rilevare. Gli 86 deputati comunisti, 150 dei 155 gollisti e 10 del gruppo misto hanno votato insieme l'il dicembre una proposta di legge che proibisce l'uso di fondi di provenienza comunitaria e persino l'impiego di materiale di propaganda originato negli uffici della Cee. I deputati socialisti si sono astenuti mentre il presidente dei centristi ha annunciato il ricorso al consiglio costituzionale. C'è poi il problema del doppio mandato. Le posizioni dei partiti sono abbastanza divergenti. L'ufficio politico del Pcf ha fatto sapere il 25 ottobre che i comunisti «si augurano che gli eletti limiteranno al massimo il cumulo dei mandati parlamentari» ma si è anche affrettato a precisare che il partito «si oppone a qualsiasi decisione mirante a rifiutare ai membri del Parlamento francese il diritto di candidarsi e di essere eletti all'assemblea europea. Esercitando la sovranità nazionale, i senatori e i deputati francesi debbono poter agire con questo titolo nel Parlamento comunitario e vegliare che questo si tenga entro i limiti delle sue prerogative, come è il caso delle decisioni riguardanti l'uso delle somme prelevate sulle imposte nazionali. L'esercizio del doppio mandato eviterà che la responsabilità di alcune decisioni sia rinviata dal Parlamento nazionale all'assemblea europea, più lontana dai cittadini e considerata in questo caso come un'istama di più alto livello». Il partito socialista si è pronunciato per limitare a due i mandati elettivi, ma solamente a partire dal 1980, data che esclude quindi l'applicazione di questa regola interna allo scrutinio del 10 giugno. Il congresso straordinario dei gollisti ha adottato il 12 dicembre una mozione che riafferma l'incompatibilità fra il mandato europeo e quello alle assemblee nazionali. I gollisti avanzano a supporto della loro tesi l'argomentazione del calendario (le due assemblee siederanno spesso in contemporanea) e un argomento di principio (disparità nelle modalità sullo scrutinio nazionale, che è maggioritario, e il «modulo» europeo, che è proporzionale). I centristi dell'Udf si sono infine allineati sulle posizioni espresse dal Presidente della Repubblica. Giscard d'Estaing aveva infatti dichiarato nella sua famosa conferenza stampa del 21 novembre: «Sarebbe, a mio avviso, del tutto dannoso che i parlamentari europei non siano nello stesso tempo, o almeno alcuni di essi in certi casi, titolari di responsabilità nel Parlamento nazionale per conoscere il suo punto di vista e per difendere le sue prerogative. E' un fatto che nel nostro Paese l'alto livello di espressione politica si accompagna quasi sema eccezioni con il possesso del mandato parlamentare. Ecco le ragioni per le quali sono contrario all'incompatibilità fra il mandato nazionale e il mandato all'assemblea parlamentare europea». A cinque mesi dalla scadenza, le divergenze restano dunque ampie sulle modalità e il significato del voto europeo. Raymond Barrillon

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