La nuova sinistra con due quotidiani cerca slancio, ma rivela segni di crisi

La nuova sinistra con due quotidiani cerca slancio, ma rivela segni di crisi È uscito «Ottobre», lo finanzia l'Unione Sovietica? La nuova sinistra con due quotidiani cerca slancio, ma rivela segni di crisi Il Movimento si frantuma in tanti gruppi, ma sembra segnare un ritorno al dibattito politico E' uscito un nuovo quotidiano. Si chiama Ottobre. E' finanziato, dicono, dall'Unione Sovietica. Lo gestisce uno dei tanti, piccolissimi gruppi marxisti-leninisti. E' il quarto quotidiano che si colloca nell'area a sinistra del pei, dopo il Manifesto. Lotta Continua. Il quotidiano dei lavoratori. Nei primi di febbraio ne uscirà un altro, il quinto. Si chiamerà La sinistra. Sarà il giornale del «Movimento lavoratori per il socialismo», l'ex Movimento studentesco milanese dell'ex capo carismatico Mario Capanna. Un sesto quotidiano è nei progetti, ancora molto nebulosi, di una parte del movimento femminista. Sono già in cantiere, Invece, una serie di riviste che dovrebbero spaziare dall'olimpo della teoria al semplice bollettino di informazione, dall'«auto¬ nomia» alle posizioni più vicine al pei. Da un punto di vista editoriale, almeno, la «nuova sinistra» sembra attraversare un momento di eccezionale euforìa. Inspiegabile, secondo molti. Perché se è vero che non si era mai visto un simile fiorire di carta stampata, è altrettanto vero che, sul movimento nato nel '68, non si erano mai sentiti tanti necrologi. Alcuni dicono che questo movimento è stato ucciso dalla svolta del pei dopo il 20 giugno. Altri sostengono che sono state le Brigate Rosse e il terrorismo in genere, che avrebbero tolto al movimento anche 11 minimo spazio vitale. Altri ancora ritengono che si sia trattato di un grave vizio di crescita: dopo l'esplosione di idee nei primi anni, sarebbe sopraggiunta una sorta di conformismo intellettuale, a inaridire la fonte della «fantasia al potere». Questi necrologi, in genere, non sono del tutto disinteressati. Vengono dalla sinistra «storica» e da quegli esponenti della «nuova sinistra» che non credono più nel mito del '68. In questo senso viene interpretato anche l'attuale fiorire di quoti-, dìani: come un sintomo della frantumazione, della diaspora, del rifugiarsi ognuno nella propria parrocchia. E in realtà, che l'area a sinistra del pei stia attraversando una grave crisi, è difficile da nascondere. I partitini, le organizzazioni nate dopo il '68, o si sono sciolti o conducono una vita quasi larvale, I tre quotidiani fino a ieri esistenti sono in aperta rottura, da tempo, con gli organismi politici che li hanno generati. La «militanza», che era la forza e la condizione comune di decine di migliaia di giovani, esiste ormai in misura estremamente ridotta. Perfino il femminismo, che appena due anni fa sembrava un'ondata inarrestabile, ora si è ridotto in mille rivoli. Le fasi di questo sgretolamento sono state diverse, a partire dal 20 giugno del '76. Sono iniziate con le rotture interne, con l'abbandono «tout-court» del politico, sono proseguite con il veleno dell'eroina, con 1 nuovi miti mistici orientali. E con una fuga sempre più a sinistra, per alcuni, fino alle Brigate Rosse, a Prima Linea, e alla serie infinita degli altri microgruppi armati. E' una storia che dura an- cora oggi. Ma a ben guardare fra le nebbie che offuscano la palude in cui è finito' l'ex movimento del '68. si possono osservare segni e sintomi che indicano l'inizio, forse, di una nuova fase. Sono segni che riguardano la lotta armata, innanzitutto. Mentre gli agguati e le sparatorie continuano a riempire le prime pagine dei giornali, qualcosa di molto importante sembra muoversi nel retroterra politico-sociale che alimenta lo «stato di guerra». Il flusso di giovani verso la clandestinità o il fiancheggiamento si sta arrestando. Chi ha deciso di «fare 11 salto», dicono negli ambienti vicini all'autonomia, ""lo ha fatto, ma ora gli è sempre più difficile trovare imitatori. Questo non significa certo la fine del terrorismo, anzi, ma pone almeno un alt al suo accrescimento numerico. I reiterati appelli delle Brigate Rosse per trascinare «in guerra» tutto un movimento, sono palesemente falliti. E' un segno che coincide con un'altra novità, anch'essa ancora molto labile e imprecisa, ma significativa di una tendenza: è un ritorno al «politico» dopo la grande orgia del «privato» degli anni scorsi. Cosi almeno i più «ottimisti» interpretano -il nascere di una miriade di comitati, collettivi, piccoli gruppi che operano in singole realtà professionali o locali. Altro segno, almeno per quanto riguarda alcune grandi città del Nord, è un «ritorno dei sessantottini», di quei militanti cioè che avevano dato vita al movimento e che poi si erano persi per strada nel periodo in cui la situazione politica sembrava più buia, Si riaprono, magari con nomi diversi, le sedi che erano state abbandonate. Si ritorna, soprattutto, a sentire l'esigenza di un dibattito ideologico che si era arrestato e che ora ha visto i suoi fondamenti internazionali (dalla Cina a Cuba al Vietnam) completamente frantumati. A cosa possa portare tutto ciò, se a una ripresa del movimento o a una «ennesima Ifase di transizione», è difficile dirlo. Gli stessi responsabili di quel che resta delle precedenti organizzazioni, sono diffidenti e, tutto sommato, pessimisti. Nel quotidiani, da Lotta Continua al Manifesto, si fa un gran parlare di «professionalità», si indicano i limiti del volontariato su cui si è poggiato per anni tutto il movimento e che è pur sempre il presupposto per qualunque iniziativa di massa. Gli «ottimisti», ma con molta cautela, citano i recenti successi elettorali nel Trentino, i risultati nei referendum della primavera scorsa. Parlano di potenzialità, di spazi sempre più vasti lasciati liberi dal pei. Qualcuno si attende «grosse novità» dal logoramento dell'attuale quadro politico della maggioranza. Ma quali siano le strade da battere, neppure gli «ottimisti» sanno, per ora, dirlo. Silvano Costanzo

Persone citate: Mario Capanna, Silvano Costanzo

Luoghi citati: Cina, Cuba, Trentino, Unione Sovietica, Vietnam