E' ora di polenta di Giovanni Arpino

E' ora di polenta RITO E SIGNIFICATI DI UN CIBO E' ora di polenta a unreocagmno. Faunreocagnino. sgorbi di neve si induriscono lungo i marciapiedi, in campagna l'acqua gela nei tubi. Le fontane di Roma mostrano stalattiti, ogni svedese si rifà esquimese, i gatti hanno perso le loro voglie odorose d'amore. La fotografia più ottimistica inquadra un orso polare beatamente disteso tra 1 ghiacci dello zoo. Gli elettrici ci invitano a risparmiare energia, un'ombra sceicca si allunga sulle nostre caldaie. Abbiamo glorificato la bella estate e lo splendido autunno, ma che un inverno sia davvero inverno procura fastidi. Sarebbe ora di polenta. Ma sì. proprio lei. nel paiolo, virata e ruotata per quaranta minuti. La polenta si sposa con tutto, è una cibaria generosa, forse un po' donnaccia alla Felli ni mangiala col latte, un'acciuga, l'aglio, la marmellata, lo spezzatino, il burro, il gorgonzola, mangiala rovesciata appena calda in una scodella oppure a fette gratinate, mangiala col cucchiaio o con la forchetta, abbrustolita fritta croccante e persino fredda. Purché sia polenta. Dov'è? Non per nostalgia, ma bisogna ricordare i tempi in cui la polenta viveva di precisi rituali. In ogni casa c'era una madre, una nonna, una zia altera, una domestica-padrona (dissimile ma non troppo dai padri-padroni, e tuttavia ignorata dalle arti) che all'improvviso, guatando la neve e la gelata, decretavano-, polenta sia. Veniva fuori il paiolo, veniva fuori il sacchetto della farina di granturco, veniva ripescato il mestolo di legno, quei quaranta minuti erano spesi da braccione via via più rosse e con i muscoli in bella vista. Polenta che fu; appartiene alla civiltà contadina, ad un «mondo dei vinti» come ci è stato narrato da Nuto Revelli, che però era un mondo unitario, anche per gli appetiti, la cultura, la fame, il senso della comunità. La polenta non se la può fare uno scapolo nel suo monocamera e non se la può fare una «comune» intrigata dalle dissidenze. La polènta è un cibo ed è un simbolo. Chi non la ricorda..chi non la conosce, chi non sa. si faccia da parte. In certe zone della campagna cuneese la polenta è chiamata «la traviata». Proprio come la Violetta dell'opera. Ci perdoneranno gli augusti fantasmi di'Giuseppe Verdi e del suo librettista Francesco Maria Piave se destiniamo alla polenta due note, due versi del primo atto, quelli che trillano-. «Tra voi saprò dividere ' / /'/ tempo mio giocondo...»? Se commettiamo peccato, sia accolto come veniale. Del resto definire la polenta una «traviata» è scatto linguistico gergale che merita l'applauso. Risulta persino strano che salga dai linguaggi contadini, pare un'invenzione da barriera, da caffè con biliardo e un po' di «mala». Ma questa «traviata» è comunque straordinaria, così come è funebre ed assoluto il nuovo termine che in gergo definisce il mitra o la pistola.- vengono detti «sarcoma». Quegli antichi giorni polentiferi. che delizia di ampi spazi aprivano. E non risaliamo ad altri secoli, basta ricordate certi inverni sul finire della guerra, il terribile e agghiacciato e assassino '44. e poi alcune stagioni intorno al '50. C'era ancora l'equilibrio della polenta, un'unità fatta di scarni desideri e di abitudi-. ni parallele, di vita arcaica che si riproponeva in vita attuale e davvero continua, di' tradizioni che non dovevano andar perse. Così va vista la polenta: un elemento che nel suo fumo, nella sua scodella, con l'acciuga sacramentale e con le doti purificatrici per lo stomaco, svolgeva - come si dice — un ruolo. Bisogna essere ricchi di tempo per mangiar polenta, adesso. L'ultima mi è capitata mercoledì scorso a Monchiero. dove abita, in una sua casa che pare costruita da sette nani (però geniali e non disneyani) il pittore Eso Peluzzi. ottantacinquenne. La signora Nietta preparò la polenta, una zuppiera fumante, da lacrimare per la commozione, i critici d'arte Mario De Micheli e Luigi 'Carluccio l'attaccarono con la baldanza che l'occasione ed il piatto meritavano. Ed alle nostre spalle c'era (c'è) una «natura ' morta» dello* Stesso Peliizzi — pplentacon una scodella e ..una "atonia» che ancora oggi mi sembra un particolare di tela portato via a qualche immensa composizione di Bruegel il Vecchio o di Goya. Ce una santità nella polenta. Forse rozza all'apparenza, forse pagana, forse invece socratica. Ma troppi tra noi non possono afferrarla: troppi di noi si buttano su tramezzini e pizzette colorate, non dicono più pranzo ma «colazione», non dicono più cena ma pranzo, e se non ha ancora preso piede il termine «lunch» è perché l'inglese ci piace, ma solo in discoteca (in pratica ha sostituito semanticamente, foneticamente, magicamente, le suggestioni di un latino che la gente udiva e balbettava in chiesa, onorandolo ed onorandosi anche senza capirlo del tutto). La polenta era anche questo, una gran mangiata, che ti abbatteva subito ma ti lasciava leggero dopo un'paio d o- «. per cui bisognavaprocede- re. per cui bisognava procede re ad una conseguenziale merenda. Ecco un secondo attributo di questa farina povera però ricca di tempo, dovevi dedicarle la giornata, tra il ruotare nel paiolo, il mangiare e predisporli al prossimo, inevitabile appetito. Nel mondo più lento, che ignorava le frenesie, la polenta fungeva da orologio. Potete chiedere o ritrovare questa virtù in un'aragosta o in un «soufflé» o anche in un nobile raviolo? E' lei l'unico, dorato «cibo-rifugio». E. a proposito: molti moralisti, molti polemisti, molti elzeviristi hanno classicheggiato sui giornali, nei ricordi e nelle ipotesi a cavallo della fin d'anno, su un «ritorno al privato», su un regredire dalla coscienza e dall'impegno collettivi. Ma se il «privato» non ritrova una. due, mille polente (in ogni senso) che «privato» sarà? Un «privato» precotto? Un «privato» da self-service al neon? Odiosa sarebbe poi la presunzione di identificare la polenta con il pauperismo: fu cibo avaro, fu cibo-unico in mancanza di quaglie e fagiani, ma non rappresenta più, ai nostri occhi realistici e smagati, un indizio di miseria. Oggi, per aver polente, bisogna saperci fare, e anche posseder salute nelle braccia. Solo in questo modo va vagheggiata fa gran scodella fumante. E forse molti, che alzano famelicamente gli occhi al cielo, cercando oggetti volanti non identificati, sbagliano nella pretesa d'individuare piatti luminosi. Sono piatti di certo, ma con fantasmi di polente irraggiungibili, sono, scodelle di polente che sfuggono come l'uva alla volpe. E' polenta di angeli, che ci irride é scompare. Giovanni Arpino h^

Persone citate: Bruegel, Eso Peluzzi, Felli, Francesco Maria Piave, Goya, Mario De Micheli, Nuto Revelli, Verdi

Luoghi citati: Monchiero, Roma