Reggimento in partenza

Reggimento in partenza Reggimento in partenza Il titolo provvisorio era i I G. Sottotitolo: «Francesco Ossorio e i suoi amici: Giuseppe Grongo, Lino Stiane, Gianfranco Oppis, nobile». Segue il testo: «In una cittadina di provincia, Santa Cros. Ma specialmente lui, insoddisfatto, ribelle in attesa. In attesa di che? Forse che la laurea in legge gli procurerà qualche cosa? Forse che ha abbastanza talento per aspettarsi la gloria e la ricchezza? No. Ma è giovane. Questo gli dà forze e pretese. E' l'ora dei giovani. I vecchi non contano più. Esiste già, dicono, costituito non si sa bene dove, una specie di governo dei giovani, una potestà segreta che all'improvviso si rivelerà, assumendo il controllo della situazione. Oppure si racconta che verranno i leggendari tartari dal nord. In questo caso sarà la guerra». «Altri, continua il testo, parlano vagamente di rivoluzione. In sostanza sono insoddisfatti della situazione attuale. Ossorio che va spesso in città per gli studi porta le notizie. I compagni gli credono fin troppo. Ma dove sono i giovani che si impadroniranno del mondo? Come mettersi in comunicazione con loro? Mesi ed anni passano in conversazioni al caffè, nelle interminabili passeg¬ giate notturne da una casa all'altra. Casualmente, però, da un foresto, essi apprendono che i "G." sono stati avvisati a Parigi, piccola ma importante città,, anzi avrebbero fatto piazza pulita. Il più maniaco, Lino Stiane. va sul posto. Ma nessuno sembra saperne niente. Fino a che, pure in questo caso casualmente, viene a sapere che i G. sono effettivamente venuti. Però molti anni prima. Devastando». «Ma chi sono in realtà questi G.? Sono, si chiede Buzzati, i campioni della gioventù? oppure nemici stranieri? Segnalazioni da varie località fanno accorrere Stiane, talora accompagnato dagli amici. Ma ogni volta è troppo tardi. I G. sono già passati e spariti per sempre. E a Santa Cros non verranno? Anni sono passati, gli amici ormai delusi si separano, la necessità del lavoro eteetera. E allora finalmente vengono a sapere che i G. sono passati anche di là. Anzi sono venuti appositamente per loro. Sono passati su di loro. Sono entrati in loro. Li hanno devastati. E loro non se ne sono neanche accorti. Non sono più gli stessi. Non sono più giovani. Eccetera». Buzzati (la moglie lo conferma) pensò per mesi al romanzo, ma poi non si decise a inisiarlo. Forse non si sentiva più in forze per un impegno così lungo. O il tema stesso fini per non convincerlo. Infatti più tardi aggiunse sotto il riassunto: «Ma è chiaro che questa storia non sta in piedi. I G. non sono che un simbolo inconcludente». Nello stesso diario, che tenne accanto a sé contemporaneamente agli altri due per tutta l'estate e l'autunno del 1971, c'è un'amara satira, di timbro piuttosto insolito in Buzzati. E' il raccontino intitolato Il filantropo: «E' una creatura nobile. Ama il prossimo conculcato, partecipa alle sue contestazioni. Lui no che non è stato conculcato, anzi. La fortuna è stata buona con lui, posizione sociale, soldi, prestigio. Ciò che accresce il suo merito. Ama il prossimo conculcato da quando si è accorto che a predicare la rivoluzione c'è tutto da guadagnare in un paese di spaventosi vigliacchi come il suo: e qu< sta magnanima posizione trasforma rapidamente in virtù quello che di solito è ritenuto cosa turpe e dà all'uomo uno straordinario godimento: l'odio. Che strano che il primo risultato di tanto amore per il prossimo sia l'odio. L'odio verso chi? Verso quelli che stanno bene e perciò stesso sono sfruttatori ed oppresso- cp ri. Ed è tanto più soddisfacente odiarli perché appartengono al suo medesimo mondo, li conosce bene uno per uno, e quindi c'è più gusto a odiarli, sono i parenti gli amici i conoscenti i colleghi, egli li farebbe squartare volentieri previ lunghi supplizi. Da allora la vita è diventata piacevolissima. Campione di filantropia e giustizia sociale frenetico nemico dei porci borghesi come lui, ma lui è diverso perché sta con quelli che vogliono fare la rivoluzione e se un giorno la rivoluzione, Dio non voglia, si farà, lui starà a posto, gli daranno subito degli incarichi importanti, garantito, ne avranno un bisogno dannato, quegli scalzacani, di uomini colti come lui. Dio, come è dolce il peccato originale». (Ottobre 1971). Questa irritazione sociale è comunque isolata nel costante fluire e incalzare del tema primario «reggimentale» che già appare, ben definito, nel brano scrìtto il 4 gennaio 1970 a Cortina d'Ampesso: «Da alcuni piccoli sintomi, da certe voci che corrono, da certe facce che si incontrano, vien quasi fatto di pensare che il mio reggimento si prepari alla partenza, e magari partirà fra un mese, fra un anno, fra dieci anni, ma già si prepari Non è che io sia militare di mestiere. Ma tutti, senza eccezione, qui nella città e anche fuori, nelle campagne, nelle valli, sulle rive del mare, per quanto è esteso il mondo, tutti appartengono a un reggimento e i reggimenti sono innumerevoli, cioè nessuno sa quanti sono, e nessuno sa, neanche io, quale sia il suo reggimento.... Però quando un reggimento parte, chi gli appartiene pure lui deve partire.... Ora il grande problema, l'incognita che sovrasta il mondo intero, la cosa più importante, e temibile, della nostra esistenza, è per dove i reggimenti partono, verso quali battaglie e destini». Più o meno negli stessi giorni scrìve (e poi cancella): «Dalla sommità del grattacielo Pirelli guardo la piccola città che in questo momento lavora, si dà da fare, e si illude spaventosamente. In questo minuscolo frammento particola di superficie terrestre ho passato la vita e là, là, là, sono segnate le ore che la sorte mi ha dato, le sensazioni, i presentimenti, le rivelazioni dei giovani, le amicizie, gli struggimenti, gli amori l'ombra di lei che mi venne incontro sotto i lampioni dostoievskiani, in questo angolino, no, no, no, i ricordi vuoi dire il tessuto dei tuoi giorni perduti? Ma qui è forse accantonato il reggimento che mi porterà via. Quando?» Il tema ritorna, da diverse angolazioni, in Un giovanotto premuroso e in tutte le pagine scritte nell'estate-autunno del 1971 («Il reggimento già scalpita alle porte, con le fanfare «Si direbbe che l'intero nostro mondo sia organizzato all'unico scopo che sia eternamente presente una guarnigione in attesa della partenza...» «Alle volte si assiste alla fuga contemporanea di moltissimi reggimenti. Questo accade nelle grandi giornate dì guerra e di pestilenze....; e nello splendido Il rospo scritto l'undici agosto 1971 a Belluno. Durante quella estate nella casa natale di San Pellegrino, Buzzati visitò spesso il piccolo cimitero dove era sepolta la madre. Il diario contiene, sempre in forma narratit'o, un lungo resoconto di tali visite. Questi appunti, più di altri, hanno un abbandono autobiografico e ruotano intorno a uno strasiato colloquio immaginario con la madre. L'ultima pagina che egli scrisse in clinica (19 dicembre 1971) è una aggiunta a tale racconto, una postilla intitolata A tutti (con l'indicazione: «da mettere all'inizio»; che comincia: «L'avviso arriva a tutti, con maggiore o minore anticipo, che talora è di ore, o di giorni, talora è di mesi o addirittura di anni: eccezioni non esistono...» Talvolta il tema è fermato in brevissime note da elaborare, ma già con un titolo indicativo come le seguenti: «L'interrogatorio degli ospiti: finché si scopre il colpevole, il malato, che deve partire». «Bernardo Portichieri, calzolaio: ricevuto l'avviso gli viene voglia di rivedere il primo amico della montagna (Bartoli). Va sul posto. L'incanto delle rocce al sole. Una cosa bianca che si muove. E' lui. Fanno la scalata, assurda, senza rischio (capisce di essere morto anche lui). Malinconia mentre di sera si alzano le nebbie». «Il militare — ci saranno le fanfare, le vivandiere, i cibi tutti per te. No, dice lui, non; voglio no uno due». «Una partenza magnifica — Sei giovane, simpatico, ricco, socialmente eletto, nobile da parte di madre, piacente alle donne, hai una moglie bellissima, due bambini che non potrebbero essere più graziosi, sei uno sportivo straordinario, hai una delle più belle parche del Tirreno. Sarà dunque una partenza magnifica, con tutti gli onori del mondo, la fantasia può sbizzarrirsi». «Il derelitto — Sul vaporetto parlano dell'aumento dei tabacchi in borsa, 'parlano della nazionalizzazione, della zìone ecc. ecc. ma nessuno parla di me, cosi felice con la deliziosa sposina, che ho ricevuto, non è guari. l'ordine di partire...... Solo raramente la frase, l'appunto, attiene alla confessione personale, staccata da una idea narrativa: «Nei momenti difficili vado dalla mamma. Lei mi capisce subito. Lei sta sulla soglia della vecchia casa ad aspettarmi. Lei non c'è più, non c'è più, nella sua stanza c'è il vuoto, 11 nulla»; «E io dovrei interessarmi della Crisi del Medio Oriente, del problema sociale, della congiuntura. Crepate pure tutti a torcicollo, non me ne frega niente di niente. Non fatemi ridere che ho le labbra screpolate». Rare cadute nella disperazione che gli amici i quali andarono a visitarlo nella clinica milanese, anche negli ultimissimi giorni, mai gli lessero negli occhi e nella voce. «La cosa più importante dell'universo» doveva accadere per lui in serena dignità. Di lui dovevamo dire quello che egli aveva scrìtto (Belluno, 13 luglio 1971) dell'amico Maner Lualdi nel racconto Alex Roi, regista: «Che bravo soldato. .Coinè è arrivato l'ordine, lui \subito è partito». Domenico Porzio GIUGNO Vito MAnTinC , GIUGNO I AUm-LIAfjO I-MARTEDÌ /:/(>::■' •;'•'<::'' n " m cL'afye. Acuiate, eoe u*u&U<<& iK&àfi^&i. Primavera '71: Partenza collettiva di più reggimenti (da una pagina dell'agenda di Buzzati)

Luoghi citati: Belluno, Medio Oriente, Parigi