Cattivi Pensieri di Luigi Firpo

Cattivi Pensieri di Luigi FirpoCattivi Pensieri di Luigi Firpo Figli e colpe dei padri Sono stato a vedere, a Fireme, il film di Sergio Nuti Non contate su di noi, che ha vinto il Nastro d'Argento per il 1978 e non è certo destinato al grande circuito. Saletta povera da cinema d'essai, mille lire d'ingresso, una platea di giovani attenti, nessuno schiamazzo malgrado il nudo, il sesso e il turpiloquio. Si tratta, infatti, di un nudo essemiale all'azione, di un sesso triste e inevitabile, di un turpiloquio non costruito per snobismo, ma colto dal vivo e inseparabile dalla natura vera dei personaggi. Per giunta, i protagonisti — un «pariolino» spilungone ed emaciato, un ragazzo di borgata, una ragazza sbandata — si muovono con grande naturalezza, ma sema astuzie piofessionali, favoriti anche da un ritmo lento e spento, anch'esso connaturato all'azione, che alterna sprazzi di rapida violenza a pause lunghe, in cui si spreca l'inerzia mentale dei personaggi. Soprattutto la donna, una bruttarella alta che ha più naso che seno, pur vagolando* spesso per casa così come mamma l'ha fatta, si fa notare specialmente per l'espressione intensa degli occhi annebbiati da una tristezza antica di animale ferito. Mi aspettavo, confesso, forse ingannato dall'assonama del tìtolo con la canzone divulgata da un vecchio film francese, una polemica anti-militarista, un'espressione del disimpegno giovanile da un mondo di violenza dell'uomo sull'uomo e di armi apocalittiche. Ma mi sbagliavo. In realtà, il tema è molto più tragico, perché esprime un rifiuto anche più globale, un puro e semplice diniego non di singoli aspetti perversi del mondo contemporaneo, ma della vita stessa nella sua totalità, nel duplice aspetto di inevitabili confronti con la realtà e di continuo rischio. Il film è dedicato infatti al mondo della droga e racconta, spesso con accenti di rara efficacia, la storia di un amore confuso e sbilenco fra una ragazza drogata e un giovane-bene, che abita in un lussuoso residence e guida una brillante vettura straniera; una storia in cui si intrecciano altre apparizioni di posseduti dall'eroina, di procacciatori, di agenti della squadra narcotici, di oziosi e di sradicati. Il giovane verrà iniziato alla droga dalla ragazza e presto ne diventerà schiavo sema sperama, mentre lei, nel finale, si allontanerà a lunghi passi dal quadrivio della borgata, avendo trovato in sé la forza di uscire da quel giro e di cercare — chissà dove — un problematico riscatto. Ma l'intenzione dell'autore non è quella di costruire un'allegorìa della supremazia femminile come espressione di più segreta energia vitale; e nemmeno prevale la denuncia, pur ricorrente in un canto gridato, della condizione giovanile sema futuro fra le casupole squallide del sobborghi romani. Molto più tragico è il messaggio del nulla. Nessuno dei protagonisti ha pensieri, cultura, ideali; nessuno ha responsabilità, problemi, sperarne. Lui sta in un appartamento di cui non si sa chi paga l'affitto e anche quando l'assoluta mancanza di denaro lo induce a impugnare il coltello per procacciarsi la droga, la sua bella macchina continua a correre per città e campagne con il serbatoio sempre colmo; così lei cambia vesti¬ ti e sandali, jeans e stivali, anche se tutto il giorno ciondola davanti a barettì equivoci o si rannicchia in letti promiscui ma non venali. Ma questo scollamento dalla realtà forse non è casuale, perché in quel mondo una sola cosa ha concretezza e spessore: la «roba», la quotidiana opera», che occupa tutti i pensieri, anima ogni gesto, spartisce ogni ritmo del vivere nei due tempi del prima (una frenesia confusa, una sofferemo biologica totale) e del dopo (un abbandono stanco, un sentirsi finalmente 'rilassato», cioè libero dall'obbligo di pensare). Il resto è vomito e diarrea, rincorse e botte, sesso svogliato, inappetenza, e un linguaggio trogloditico di cinquanta parole. Un film-verità, qua e là disgustoso e prolisso, ma che scava una realtà nel profondo. «Non contate su di noi», dicono questi giovani, e tanti altri come loro, non perché in essi si accenda un dissenso o insorga la fierezza di un rifiuto, dissennato magari ma vitale. Essi, semplicemente, non esistono, non appartengono più al nostro mondo; come missili usciti dall'orbita con velocità di fuga, sembrano dirigersi verso spazi siderali sema ritorno. La droga allora non è più vìzio, pratica esecrabile, schiavitù che anela alla redenziom, ma desiderio di morte: un sinistro e profano cupio dissolvi. La crescente frequenza di suicidi giovanili, che sta destando così giustificato allarme, trova nella piaga dilagante della droga una manifestazione solo esteriormente diversa: nell'un caso e nell'altro si ha il rifiuto dell'esistere, cioè la fuga dell'immaturo di fronte alla responsabilità. Uscendo dal cinema, mi domandavo perché nessuno di quei personaggi inermi e disperati avesse destato in me un'ombra di pietà. Figli, come siamo, di una civiltà cristiana sappiamo che l'ignavia è peccato e la debolezza una colpa. Ma su questi figli cresciuti sema ideali e sema coraggio ricadono, inespiabili, le colpe dei padri.

Persone citate: Cattivi Pensieri, Luigi Firpo, Saletta, Sergio Nuti