AI quartier generale di Khomeini

AI quartier generale di Khomeini INCONTRO CON L'AYATOLLAH E I SUOI CONSIGLIERI NELLA «CAPITALE PROVVISORIA DELL'IRAN» AI quartier generale di Khomeini Grida di gioia accolgono il capò degli sciiti quando va a pregare nella tenda-moschea, circondato di fedelissimi e agenti francesi in borghese - Attorno alla sua piccola eterogenea corte si agitano, gentili e solerti, studenti iraniani accorsi da ogni parte del mondo - Sciorina i suoi proclami senza guardare i visitatori DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ' NEAUPHLE - LE - CHA- ' TEAU — II 'grande vecchio» che ha cacciato lo Scià compare verso le 13, all'ora della preghiera. Maestoso e fiero nel portamento, considerati i suoi 78 anni, avvolto in un mantello scuro, il volto triangolare allungato dalla barba bianca, il capo stretto nel turbante nero dei Seyyed (i discendenti del profeta Ali), l'ayatollah Khomeini attraversa la strada con le babbucce ai piedi, protetto da una siepe formata dagli agenti francesi in borghese mischiati ai fedelissimi del capo degli sciiti. Sfiorando appena con lo ■sguardo imperscrutabile chi gli sta attorno, Khomeini compie pochi passi salendo1 attraverso un sentierino ghiaioso verso un tendone a strisce bianco-azzurre, una moschea di fortuna rissata in. un piccolo spiazzo. Qualche decina di fedeli sono già all'interno, in attesa, inginocchiati verso la Mecca: gli uomini davanti, le donne con la testa coperta dal velo dietro, in fondo alla tenda. Quando. {'ayatollah compare si odono grida di gioia, si leva il coro Allah akhbar (Allah è il più grande). Poi il tendone si richiude dietro Khomeini e qualche istante dopo si sentesoltanto il salmodiare monocorde dei fedeli. Il rito si ripete due volte al giorno nella «capitale provvisoria» dell'Iran, ristretta a due villette che si fronteggiano a messa costa sulla collina fra Neauphle - le - Chdteau e Pont Chartrain, una quarantina di chilometri da Parigi. ■ L'ansia del futuro è percepibile in tutti i componenti di •questa piccola eterogenea i«corte», formata da religiosi e .vecchi oppositori indeboliti dalla prigione nel fisico ma non nella volontà, che in cento giorni ha vinto la resistensa di uno dei più potenti sovrani del mondo. La casetta più piccola, che fu il primo rifugio dì Khomein'. quando in ottobre giunse in Francia dall'Irak, è stata trasformata in «quartier generale" dell'opposisione sciita. Tutti i visitatori, i giornalisti sono dirottati qui dopo essere stati meticolosamente perquisiti sulla strada, davanti al cancellerò, dagli agenti francesi: ■Negli ultimi giorni si sono infittite le minacce di morte contro Khomeini e le misure di sicuressa sono state rafforzate. santemente capannelli di. ascoltatori. Gli uomini con il turbante sono i «consiglieri» di Khomeini, sono loro a dispensare il verbo dello zaim (il grande), a centellinare notizie ai giornalisti, a interpretare le parole dell 'ayatollah o t proclami provenienti da Teheran. Attorno a loro si agitano, gentilissimi e solerti, decine di studenti iraniani incaricati di tenere i rapporti con gli inviati della stampa intemazionale. I giovani sono affluiti qui dalla Germania, dall'Inghilterra, dagli Stati Uniti, dalle università francesi. Ne incontriamo anche uno che era a Venesia. Fanno da interpreti, traducono i comunicati, fungono da telefonisti, si occupano di incidere i proclami deH'ayatollah da inviare in Iran o ovunque esista una comunità persiana. Premurosi, offrono ai visitatori tè e una sorta di torrone a base di datteri e mandorle, presentano il nuovo venuto ai «consiglieri» di Khomeini: il dott. Yadsì, farmacologo, che si rende utile anche in cucina, il prof. Djahr, insegnante di linguistica a Parigi, il dott. Zadeh, il prof. 'Mokri. Accoccolati sui tappeti, cogliamo brandelli di dichiarazioni. Djahr: «La rivoluzione iraniana è una presa di coscienza popolare dell'alienazione prodotta dal tipo di società capitalistica e dalla sua cultura». Azgari: «La Repubblica islamica annullerà tutti i contratti che non sono nell'interesse del popolo iraniano». Yadzi: «Certo, a Teheran si pongono dei problemi di sicurezza per l'ayatollah. Ma il comitato che un giorno accoglierà Khomeini potrebbe prendere contatto con le autorità in carica per risolverli», adombrando così una sorta di «non belligeranza» con l'esercito. Ma un altro, Zadeh, proclama: «Li'ayatollah vuole arrivare alla vittoria con mezzi pacifici, ma se ci saranno interventi esterni, se l'esercito sparerà, la lotta armata sostituirà la strategia attuale e il popolo ci seguirà». Forse anche per evitare che appaiano queste divergenze fra i suoi sostenitori o che il suo pensiero venga snaturato, /'ayatollah ricorda con frequenza che non ha «portavoce» né «consiglieri» che possano parlare in suo nome. Ma Khomeini non risponde alle domande dei giornalisti come faceva pazientemente nei giorni scorsi: ha annullato tutti gli impegni già programmati, tutti gli incontri non indispensabili per concentrarsi sui preparativi di un ritorno a Teheran, che fino a ieri mattina sembrava ormai certo. Solo non ha mutato il suo ritm.o di vita scandito dalle ore di preghiera e di raccoglimento. gli uleva più ascoliati'della facoltà di Teologia di Qom. E fin da quegli anni strutturò il suo pensiero in cui religione e politica sono un binomio inscindibile, sorretto da un severo fondo morale. Basandosi sui principi islamici, Khomeini denunciò già nel '41 il potere dittatoriale di Resa Khan, il padre dello Scià che ha cacciato dal trono. A quell'epoca risale la sua lotta contro il regime dei Pahlavi nel campo politico, religioso, sociale e culturale che lo porterà nel '73 in carcere. Sanguinosi moti di protesta consigliarono poi all'autorità di esiliarlo l'anno successivo. L'ayatollah Khomeini restò brevemente in Turchia e poi si trasferì in Irak, da dove prosegui la sua «crociata» contro lo Scià, tanto più aspra dopo la morte del primogenito Mustapha, misteriosamente avvelenato nell'esilio irakeno. 'giornalisti iraniani, a pattai idi non porre domande e di non far perder tempo all'ayatollah. Khomeini stava accoccolato in un angolo della stanza, non guardava i visitatori in volto, sciorinava con tono monocorde i suoi proclami da annunciare al popolo. I colleghi ci sussurravano scampoli di tradusione: «La futura Repubblica islamica rispetterà tutte le libertà a condizione che non violino i principi islamici e non siano nocive al popolo». «La nostra politica estera sarà basata su una stretta neutralità verso le grandi potenze e i loro fratelli, respingeremo qualsiasi forma di dipendenza», E ancora: «Romperemo le relazioni con Israele e con il Sud Africa, speriamo di poter aiutare i palestinesi». Infine: «Ci vorranno vent'anni per risollevarci dal regime dello Scià. Hanno sfruttato, dilapidato tutto: il nostro petrolio, la nostra agricoltura, le nostre università. A noi tocca ricostruire l'Iran». S'avvicina l'ora della preghiera serale, /'ayatollah Khomeini si prepara a raggiungere di nuovo la moschea in giardino. «Con lui — ci confida una ragazza iraniana, Mojgan Pourmohsen, studentessa di fisica a Grenoble — noi giovani abbiamo riscoperto i valori dell'Islam, la più aperta e progressista delle ideologie anche nella nostra epoca. Il suo ritomo sarà una grande giornata per tutto l'Iran, una festa di libertà e di concordia perché l'esercito, i soldati non spareranno sul popolo». Ma a Teheran, forse sta per sciogliersi diversamente l'incognita della pesante sfida islamica lanciata da Khomeini. Paolo Patrono . I "portavoce,, Salendo i gradini verso la villetta, lo sguardo incrocia uno slogan «Morire è meglio che subire l'umiliazione»: tracciato sulla tenda della moschea, poi un cartello di ringrasiamento per {'«ospitalità» francese, infine un ammonimento: «li'ayatollah non ha portavoce». Si coglie il senso di questa frase non appena si varca la soglia del «quartier generale» e si adempie al rito dell'abbandono delle scarpe. Nella stansetta disadorna, attorno a ogni turbante si formano, si, disfano, si riformano inces- Un'incognita Questo è l'uomo che ha sconfitto lo Scià, che ha rotto i fragili equilibri internazionali in una sona nevralgica per l'Occidente a causa della produzione petrolifera iraniana, l'uomo che aspira a diventare oltre che «guida spirituale» anche 41 vero capo, magari per interposta persona, dell'Iran. Nella convulsa vigilia della partenza per Teheran, che fino a ieri mattina era sembrata certa, l'ingresso alla sua casa di Neauphle-le-Chàteaui era sbarrato: filtravano soltanto «consiglieri», oppure gli iraniani che giungevano a portargli notizie fresche da, Teheran. Dopo una lunga attesa, finalmente nel pomeriggio ci consentirono di entrare brevemente, al seguito di due: Vita ascetica La giornata dell 'ayatollah, ci spiega ammirato un giovane discepolo, comincia alle 3, per la prima preghiera e la meditazione, che durano fino alle 7; poi un breve riposo fino alle 9, quando iniziano le visite e le consultazioni, interrotte poi dalla preghiera di metà giornata. Il pranzo è frugale, ridotto al piatto nasìonale, Tabgoucht (un brodo con aromi, pessetti di carne e patate) che si accompagna con la galletta di pane senza lievito, il lavack. Dopo un breve riposo, riprendono le consultazioni politiche sino alla seconda preghiera nellatenda-moschea verso le 18. Quindi, una cena ancora più monacale (pane, formaggio e un frutto) seguita dall'ultima sfilata di consiglieri ed emissari dopo la quale Khomeini si concede poche ore di sonno. La sua vita ascetica è condivisa dalla moglie Ghodsi, dal figlio Ahmed, dalla figlia e dal genero (Mullah), dai due nipotini che l'hanno seguito nel rifugio di Neauphle-leChàteau. I suoi seguaci ne sottolineano i tratti, per contrapporla agli sfarsi, agli sprechi, alla corrusione della famiglia imperiale. Ma se la vita dell 'ayatollah è ben nota fra gli sciiti d'Iran, il suo nome era invece praticamente sconosciuto in Occidente fino a poche settimane fa. La «santità» che gli attribuiscono i suoi seguaci risale al suo stesso luogo di nascita: la «città santa» di Qom. Ma non è il solo segno di predestinazione. Ruhollah Khomeini (il nome significa «anima di Al-: lah») nasce in una famiglia di religiosi, il nonno, il padre, il fratello maggiore sono ayatollah. L'ambiente familiare lo forma perciò sul piano religioso, politico e sociale fin dall'infamia, quando rimase orfano dopo l'uccisione del' padre compiuta da sicari di un signore feudale. Educato sotto la guida del fratello maggiore, Khomeini diventò già a 27 anni uno de¬