Un'altra guardia delle carceri uccisa dai terreristi a Torino di Claudio GiacchinoEzio Mascarino

Un'altra guardia delle carceri uccisa dai terreristi a Torino Quattro killers di "Prima linea,, l'attendevano sotto casa Un'altra guardia delle carceri uccisa dai terreristi a Torino Aveva 30 anni - Lascia la moglie e due bimbi in tenera età - Come Cotugno, assassinato dalle Br, lavorava nel settore dei rapporti tra detenuti e famigliari - Trovata l'auto che è stata usata dal commando TORINO — A un mese dall'eccidio di due agenti, il terrorismo è tornato in azione a Torino; ha ucciso ieri mattina una guardia carceraria. L'assassinio è stato rivendicato con una telefonata e un volantino da «Prima Linea»: è il primo che questa organizzazione compie nella nostra città. La vittima si chiamava Giuseppe Lorusso. Originario di Palazzo S. Gervasio. provincia di Potenza, aveva compiuto 30 anni il 3 gennaio. Sposato e padre di due bimbi, abitava in un modesto alloggio di via Brindisi 5. E' stato assassinato a pochi metri da casa mentre stava per salire in auto e recarsi al lavoro. Era un agente di custodia come tanti. In servizio alle Nuove dal 1972 come addetto alle cucine, soltanto da novembre era stato destinato allo smistamento dei pacchi e della corrispondenza dei detenuti. Una mansione, quindi, molto simile a quella ricoperta da Lorenzo Cotugno, ucciso dalle Brigare rosse nell'aprile scorso. Anche Cotugno si occupava dei rapporti famigliari-reclusi; era il responsabile della sala colloqui. Su questa analogia stanno lavorando gli inquirenti della Digos e dei carabinieri. Non è escluso che per concertare i due agguati i criminali, seppur di gruppi diversi, si siano avvalsi delle stesse fonti d'informazione. Fonti molto precise. Giuseppe Lorusso era solito uscire di casa verso le otto meno un quarto; ieri, invece, è comparso in strada con mezz'ora di anticipo. Aveva fatto un cambio di turno con un collega, doveva giungere prima in" carcere. Era il primo giorno che cambiava orario. Ma chi lo attendeva per ucciderlo lo sapeva. Il commando alle 7,10 era già a una trentina di metri dal portone dello stabile del Lorusso: quattro uomini, secondo le frammentarie testimonianze, fermi su una «131» color argento all'angolo con via Biella. Lorusso esce sul marciapiede, si dirige verso la sua «128» rossa, parcheggiata all'incrocio con via Biella, poco più avanti della vettura dei terroristi. E' l'unico passante, il commando comunque non può avere dubbi: l'agente è indivisa, senza cappotto. Passa davanti a un'officina di motocicli che è ancora chiusa, attraversa la strada, estrae di tasca le chiavi dell'auto. Dà le spalle ai killers, non si accorge del pericolo, non può difendersi. Non ha neppure il tempo di portare la mano alla pistola nella fondina. Detonazioni lacerano il silenzio, qualcuno si affaccia alle finestre. Vede un uomo in uniforme grigia a terra, al centro della via, due figure quasi chine su di lui, con in pugno le pistole. «Due giovani — raccontano i testimoni — uno aveva un giaccone marrone chiaro, portava un passamontagna. Tutte e due sono rimasti qualche secondo a guardare quel poveretto riverso sull'asfalto, poi sono saliti sulla "131" sulla quale c'erano altre due persone. La macchina è partita velocissima, l'abbiamo vista svoltare in via Maria Ausiliatrice». Non è andata lontana: il commando l'abbandona in via Cottolengo, dinanzi al numero 8, nel centro del mercatino del Balòn. I negozi per' non sono ancora aperti, nessuno nota gli assassini dileguarsi. La «131» viene trovata più tardi dalla polizia. Era stata rubata il 30 dicembre scorso in via Millefonti a Enzo Roverso. Pare che dopo il furto abbia percorso pochi chilometri. Per tutto questo tempo deve essere stata tenuta all'aperto: il tettuccio e il lunotto posteriore erano infatti coperti da un velo di neve ghiacciata. Giuseppe Lorusso è morto all'istante, crivellato di colpi. Ben dieci, come ha stabilito l'autopsia eseguita nel pomeriggio dai professori Baima Bollone e Gili alla presenza del magistrato che coordina le indagini, Marciante, e del dott. Luca della Procura. I killers hanno sparato quasi a bruciapelo, con due pistole dello stesso calibro: probabilmente, secondo gli esperti della scientifica, una P. 38 e una Smith e Wesson. Hanno messo a segno tutte le pallottole sparate (nell'asfalto e nei muri non sono stati trovati buchi di proiettili andati a vuoto) al volto, alla nuca e al torace. Un colpo, forse il primo, ha raggiunto la guardia alla schiena. Nella via vi sono sgomento, dolore, ira. Accorre gente da tutto il quartiere: qualcuno ha ancora negli occhi le sequenze dell'assassinio di Lorenzo Cotugno. freddato in lungo Dora Napoli, a 500 metri da qui. La moglie di Lorusso. Rosa, 24 anni, non si è accorta della tragedia. E' in casa, accudisce i figli Daniele, 2 anni, e Domenico, di 8 mesi, l'eco delle detonazioni le è giunta smorzata, non vi ha prestato attenzione particolare. Una vicina le porta la terribile notizia, Rosa si precipita gridando nella via, a fatica riescono ad allontanarla dal corpo del marito. Giuseppe Lorusso riceve l'omaggio muto di centinaia di persone, di autorità, di colleghi. Per un inspiegabile ritardo dei necrofori, è rimasto sul suolo chiazzato di sangue, coperto da un lenzuolo, fin quasi alle dieci. II crimine viene rivendicato dopo circa due ore con una telefonata. Una voce maschile dice al centralinista: «Qui Prima Linea. Abbiamo ammazzato Giuseppe, servo dello Stato. Seguirà un comunicato». Il comunicato è fatto trovare, attorno alle 11, in due cabine telefoniche di corso Re Umberto angolo corso Vittorio e di corso Regina. Vi si leggono le consuete affermazioni sulla riforma carceraria e le carceri speciali. Il documento dice: Per il torturatore, per il personale carcerario che s/i fa strumento di repressione la nostra risposta non può che essere la pena di morte». Claudio Giacchino Ezio Mascarino Torino. Il corpo di Giuseppe Lorusso a pochi metri dal portone di casa (Mario Solavaggione)

Luoghi citati: Napoli, Potenza, Torino