Tra noi amanti del litigio
Tra noi amanti del litigio di Giovanni Alpino Tra noi amanti del litigio Gli italiani litigano. E' antico costume civico, frutto di una medioevalità incarnita. Litigano a proposito del piano Pandolfi, sfruttano le incongruenze (anche nobili e saporose) di una antologia poetica edita di recente da Mondadori. Litigano per la squadra del cuore, i manicomi aperti, le centrali nucleari, l'equo canone, il sindacalismo visto ora impotente e ora esasperato. Sono litigi collettivi, talvolta educati, pieni di inchini — soprattutto televisivi — con abbondante prezzemolo qualunquistico. Se hai un'idea, anche unideuzza, non ti mancherà l'occasione per nuovi scontri, a colori sul primo e secondo canale, o nelle «lettere al giornale». Litigare fa testo, assai più del semplice discutere. Non si discute più, com'è noto. Nessuno dice la sua aspettando poi con curiosità almeno relativa che l'interlocutore risponda e controbatta. Il litigio va bene tra sordi, il primo strilla secondo un certo costume demagogico, il secondo ulula e abbaia altre chiose di novella demagogia, il sempiterno «moderatore» chiude la disputa assicurandoci: potremmo continuare per un paio di secoli, cari amici, ma il tempo è tiranno e certo non abbiamo mancato di fornirvi abbondanti materiali per la vostra meditazione; il prossimo litigio, lunedi venturo all'ora solita, e grazie per l'attenzione... Ci mettiamo reciprocamente kappaò a furia di litigi. Mi ricordo una riflessione di Guido Piatene, anni fa. Diceva desolato: «Da noi c'è questa propensione per lo scempio personale. Forse è una vera epidemia. Gii italiani si ritengono buoni perché, nel momento del bisogno, quando ti vedono prostrato, sono tutti 11 ad offrirti un piatto di minestra. Ma naturalmente, prima, debbono abbatterti». Arrivati al litigio continuo e globale, non sappiamo più con chi prendercela. Sono caduti i grandi personaggi-totem che ci spingevano in piazza prò o contro. I frantumi di tutte le ideologie li puoi raccattare sui maricapiedi, come cocci gettati durante un pazzo Capodanno. E allora cosa resta se non il minimo conflitto municipale, una biopsia inferocita sui lastroni di ghiaccio in piazza, i gatti randagi da catturare o proteggere, il semaforo che non funziona, gli orari dei negozi, la corsia d'ospedale gremita, il festival di Sanremo, che più è ignobile più diventa argomento? In attesa che qualche «nuovo filosofo» ricicli antiche idee che nella nostra voluta ignoranza prenderemo per buone, bisogna pur passare il tempo. E così prende voga il litigio spicciolo, la conflittualità in pantofole. Al vertice si varano congressi — sulla sinistra all'Est e all'Ovest, sulla post-rivoluzione che mai fu, sul vino in lattina, sul venticinquennale di un certo fumetto, etc. — e alla base si torna a strepitare in tram o in cucina. E' una maniera per tenersi in allenamento, aspettando che ulteriori Guevara o Gandhi o Madonne Pellegrine suscitino le grandi commozioni popolari. La buona randellata ideologica non deve mai mancare, qualunque sia il tema sul tappeto. Siamo un popolo duellante, a costo di sparar obici contro le mosche e sfidarci a duello coi tarocchi. Qualsiasi individuo, pur di non dar ragione a suo cugino o a un conoscente, studia di notte al fine di creare curiosi motivi di diaspora, magari solo telefonica (ad un amico che, rispondendo alla cornetta al solito «come va?», con un sincero «benissimo, mai stato così bene», dall'altra parte del filo la voce replicò allibita: «Benissimo dici? Ma ti venga un canchero», e giù una fila di insulti prima di riattaccare). Un gran circo, non c'è che dire. Tutti i clowns entrano di corsa, chi tira un secchio d'acqua e chi ti infila una scala attraverso il collo, le pedate non si contano, i capitomboli sollevano polveroni di segatura. Così appare la nostra immagine a qualche curioso straniero, innamorato di un'Italia dai globuli rossi ubriachi. Ogni tanto, anzi spesso, qualcuno muore ammazzato per strada, ma forse questo è solo eccesso, un incidente che non deve disturbare la giostra di Arlecchino e Pulcinella, impegnati a bastonarsi per motivi di principio e di teatro.
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