L'AUTOBIOGRAFIA DI REZA PAHLAVI; UN REGNO DRAMMATICO di Fabio Galvano

L'AUTOBIOGRAFIA DI REZA PAHLAVI; UN REGNO DRAMMATICO L'AUTOBIOGRAFIA DI REZA PAHLAVI; UN REGNO DRAMMATICO Io Re dei Re vi racconto la mia storia «Le persone più coraggiose tremavano davanti a mio padre» - «Prima che me ne rendessi conto, mi trovai fidanzato» - Sul trono a 22 anni «in un mare di guai» - L'attentato - «Una ragazza chiamata Soraya» - Mossadeq e l'esilio romano nel 1953 - Il rinnovamento dell'Iran - L'incontro con Farah Diba - Un impero vissuto mezzo secolo, ma con sfarzo millenario «Ho imparato a guardare con distacco alla mia posizione e al compito della nostra antica monarchia, e se mai mi capitasse di pensare che la monarchia persiana ha fatto il suo tempo, sarei pronto ad andarmene e aiuterei persino a rovesciarla-. Sono passati quasi 18 anni da quando Reza Pahlavi scrisse queste parole nella sua autobiografia, Missione per il mio Paese, pubblicata in Italia da Rizzoli. Sfogliare quel vecchio libro con le pagine ormai ingiallite è come ripercorrere gli alti e i bassi di un impero vissuto mezzo secolo, ma con sfarzo millenario; attraverso lo Scià si intravede l'Iran delle contraddizioni traumatiche che hanno portato all'attuale crisi, alla fine di una breve dinastia fondata da Reza Khan, padre di Reza Palliavi. •Mio padre era nato nel 1878, si legge, nella provincia persiana di Mazanderan, nei pressi del Caspio. Suo padre e suo nonno erano stati entrambi ufficiali del vecchio esercito persiano. Il nonno si era particolarmente distinto per coraggio e bravura al tempo delle guerre afgane, e suo padre aveva comandato il reggimento di stanza nella provincia di Mazanderan. Era morto quando Resa Khan aveva appena quaranta giorni La madre aveva deciso allora di andare a vivere con il bambino a Teheran, ma per poco non era morta a causa del freddo intenso che faceva sulle strade delle nostre montagne. Quand'ebbe raggiunto i quattordici anni, mio padre si arruolò nella brigata dei cosacchi persiani Era completamente analfabeta poiché a quei tempi in Persia l'educazione era un privilegio riservato ai ricchi, ai potenti e al clero». L'uomo che sarebbe diventato Re dei Re, Ombra dell'Onnipotente, Vice-reggente di Dio e Centro dell'universo aveva fama di uomo coraggioso. In una spedizione contro i briganti «aveva provato un così profondo disgusto per le condizioni in cui versava il Paese che s'era esposto deliberatamente al fuoco nemico. Perché i briganti non mancassero il bersaglio era salito su un cavallo bianco, rimanendo immobile, ma nessuna pallottola l'aveva colpito». Il 21 febbraio 1921, con un colpo di Stato virtualmente incruento, Reza Khan rovesciò il governo, e diventò ministro della guerra. Primo ministro nel '23, fu incoronato Scià il 25 aprile 1926, sei mesi dopo la deposizione dello Scià Ahmad. Fu l'inizio delle grandi riforme. «La sua prima decisione fu di ricomporre in un tutto unitario la struttura frammentaria del Paese. Sapeva che per arrivare a ciò occorreva disporre di un esercito forte... Un giorno, poco tempo dopo la marcia su Teheran, un amico sorprese mio padre che esclamava da solo: "Se soltanto avessi un migliaio di fucili tutti dello stesso calibro!"». L'infanzia di Reza Pahlavi è condizionata da quest'uomo, che 'Sapeva essere l'uomo più piacevole del mondo e al tempo stesso incutere terrore... Le persone più coraggiose tremavano davanti a lui.. Eppure, contrariamente a quanto molti credevano, mio padre era una persona gentile, dai sentimenti tenerissimi soprattutto nei riguardi dei propri familiari». •Io nacqui, scrive Reza Pahlavi, il 26 ottobre 1919 in una piccola e modesta casa del vecchio distretto residenziale a o o , ai Teheran. A quel tempo la capitale era ancora circondata da mura attorno alle quali correva un fossato asciutto. Si poteva entrare soltanto at-1 traverso le porte, che a notte venivano chiuse per tenerne fuori i ladri e i tagliagole. Quelle mura non dovevano rimanere in piedi per molto tempo: divenuto capo dello Stato, mio padre le fece abbattere, con un gesto che era un sintomo della sua decisione di modernizzare l'Iran». I primi anni scolastici di Reza Pahlavi si svolsero in un istituto militare; più tardi andò a studiare in Svizzera. Tornò che aveva 19 anni, e cominciò a affiancare il padre nel disbrigo degli affari di Stato. Fu allora che conobbe Mossadeq. •Benché in seguito abbia scelto un modo assai strano per mostrarmi la sua gratitudine, Mossadeq ammise ripetutamente in pubblico che io gli avevo salvato la vita. Mio padre ne aveva ordinato l'arresto per aver egli cospirato contro il governo e per aver favorito gli interessi di una potenza 'straniera... •Per suo ordine Mossadeq era stato rinchiuso in uno squallido carcere situato in una regione remota del Paese. Già vecchio e di salute cagionevole, con molta probabilità non vi avrebbe resistito a lungo se io non avessi interceduto per lui Venne liberato dopo qualche mese... Il dottor Mossadeq avrebbe potuto essere un grande capo politico e invece, verso il termine della sua esistenza, diventò prigioniero di se stesso, dei suoi immediati seguaci e, indirettamente, di una potenza straniera. Sfido chiunque a provare che il rovesciamento di Mossadeq non fu soprattutto opera della gente semplice del mio Paese». Quando ebbe a scontrarsi con Mossadeq, in una crisi che culminò con un brevissimo esilio romano nell'estate del 1953, Reza Pahlavi aveva già vissuto gli anni drammatici della guerra, la sfortunata neutralità dell'Iran, l'occupazione militare. Ed era già salito nel 1941 sul trono del pavone dopo l'abdicazione del padre, morto poco dopo — nel 1944 — a Johannesburg. •Quando all'età di 22 anni salii al trono mi trovai immerso in un mare di guai. Il primo pensiero fu quello di formulare una nuova politica estera, visto il clamoroso fallimento della neutralità proclamata da mio padre». Nel novembre '43 aveva ospitato la conferenza di Teheran fra Roosevelt, Churchill e Stalin. «Per non so quale strano motivo, si legge, Roosevelt risiedette durante l'intera conferenza all'ambasciata sovietica». Prima della lotta con Mossadeq era stato anche vittima di un attentato, nel febbraio 1949, all'università di Teheran. »A un tratto, ricorda, si udirono alcuni spari e sentii arrivarmi addosso delle pallottole. Per quanto possa sembrare incredibile, tre proiettili passarono da parte a parte il mìo berretto senza nemmeno sfiorarmi la testa; il quarto proiettile, invece, entrò nello zigomo destro e uscì dal naso. Il mancato assassino, travestito da fotografo, si trovava a meno di due metri da me e mi stava puntando la rivoltella al cuore... Cominciai allora a ingannarlo con una serie di finte. Lui sparò e mi ferì alla spalla. L'ultimo colpo non partì perché la pistola dell'attentatore s'inceppò: provai cosi la strana e nient'affatto sgradevole sensazione di sapermi ancora in vita». •Che cosa mancava a Mossadeq per essere un vero statista?», si domanda lo Scià nell'autobiografia. «Per prima cosa era di una ignoranza sbalorditiva. Benché avesse studiato all'estero, ignorava praticamente tutto sugli altri Paesi del mondo. Di economia capiva meno che niente». traverso gli anni tempestosi della guerra e delle lotte interne, era stata quasi capitolo morto. La ricchezza del petrolio, con la nuova situazione creatasi dopo la caduta di Mossadeq, avrebbe dato l'impulso economico necessario, nei desideri di Reza Pahlavi, per trasformare un Paese di pastori nomadi e agricoltori in una società moderna e industri alizzata: la società che denuncia oggi i gravi scompensi di crescita, le insoddisfazioni, le rivendicazioni da cui lo Scià è stato travolto, l La conclusione di quella grave crisi politica consenti a Reza Pahlavi di dedicarsi anche alle sue vicende private, fin troppo pubblicizzate dai rotocalchi di tutto il mondo. Il divorzio dalla principessa egiziana Fawzia, il matrimonio ancora recente con Soraya, la disperata ricerca dell'erede maschio al quale lasciare il trono che oggi, forse, non esiste più, avevano attratto l'attenzione del pubblico forse più delle vicende politiche. pessa Shahnaz, avvenuta nel 1950». Ma l'erede maschio non venne. Il divorzio fu inevita-v bile. -Nel 1950 sentii parlare di una ragazza chiamata Soraya Esfandiari e restai favorevolmente colpito da quanto udii sul suo conto. A tempo debito, inviai a far visita alla signorina Esfandiari, che allora si trovava in Inghilterra, mia sorella, la principessa Shams. La relazione che ricevetti fu molto lusinghiera, e verso la fine dello stesso anno la futura regina Soraya e io ci fidanzammo». U matrimonio durò sette anni, tumultuoso ma anche felice. •Potete quindi immaginare, scrive lo Scià, il dolore che entrambi provammo quando, per ragioni di Stato, fummo costretti a divorziare. Gli anni erano passati, nessun bambino era nato e io andavo convincendomi sempre più che gli interessi della nazione esigessero un erede... Nel marzo 1958 l'azione di divorzio venne iniziata». E venne Farah Diba. «t/n giorno mia figlia, la principessa Shahnaz, mi annunciò che lei e suo marito avevano incontrato una ragazza che secondo loro possedeva tutte le doti per assumere le responsabilità della regina. Mio genero si era occupato per qualche tempo dei problemi dei nostri studenti all'estero e sembrava che avesse conosciuto la signorina in questione durante una visita da lei fatta al suo ufficio per discutere la continuazione dei propri studi in Francia. Si chiamava Farah Diba e aveva venturi anni... Farah venne invitata da mia figlia, la quale fece in modo che fossi presente anch'io... Appena una settimana dopo le chiesi se voleva sposarmi... Qualche mese dopo il matrimonio i medici addetti alla sua persona ci informarono che avrebbe avuto un bambino. Non è possibile immaginare la gioia che provai quando Dio benedisse la nostra unione con un figlio, un vigoroso maschietto di circa quattro chili, che nacque la mattina del 31 ottobre 1960. Ringraziai il cielo». A cura di Fabio Galvano All'aeroporto di Teheran un soldato s'inginocchia a baciare i piedi dello Scià (Ansa-Upi)