I Lituani: avventura e tradimenti di Massimo Mila

I Lituani: avventura e tradimenti GAVAZZENI DIRIGE A TORINO L'OPERA DIMENTICATA DI PONCHIELLI I Lituani: avventura e tradimenti Splendida esecuzione, all'Auditorium Rai, di un melodramma che ha pagine magistrali e commoventi - Cacciato nell'oblio dopo «Gioconda», fu eseguito da Toscanini, l'ultima volta, all'inizio del secolo - La partitura perduta TORINO — Circa una dozzina d'anni fa aveva lasciato una profonda impressione in chi aveva avuto occasione d'assistere a una registrazione diretta da Jan Meyerowitz con l'Orchestra sinfonica della Rai, \&Sinfonia dei Lituani, prima importante affermazione di Ponchielli, precedente alla Gioconda e da questa cacciata nell'oblio. (Pare che le ultime esecuzioni le abbia dirette Toscanini al principio del secolo). Di lì il progetto di questa ripresa, che sotto la splendida direzione di Gavazzerà ha inaugurato la stagione sinfonica d'inverno della Rai, progetto che la tenacia del direttore artistico Roman Vlad è riuscita a condurre in porto attraverso mille difficoltà, dovendosi letteralmente scoprire la partitura e il materiale dell'opera, perduta negli insondabili archivi della casa editrice. Valeva la pena di spiegare tanti sforzi e tanti mezzi per risuscitare quest'opera? Francamente si. Dei tre atti e un prologo onde consiste, soltanto uno, il secondo, è proprio bruttino, con spiegamento di insulse danze esotiche (vigorosamente sfrondate da Gavazzeni) e di frivoli coretti conviviali. Ma il blocco costituito da Prologo e primo atto è magistrale, nel senso buono e nel senso cattivo della parola, e la musica del terzo atto che suggella la catastrofe del protagonista, è assai commovente. Il libretto, che Ghislanzoni trasse dal poema polacco Corrado di Wallenrod, di Adam Mickiewicz, è piuttosto debole, come avvertirono subito i contemporanei, ma non perché sia troppo «tetro», convessi trovarono, né perché manca di spessore psicologico, come oggi si potrebbe esser tentati di pensare. Nell'opera d'intrigo, di tipo meyerbeeriano, quello che conta è l'azione, e non c'è bisogno di scolpire caratteri memorabili perché gli effetti funzionino. Qui il guaio è che su cinque personaggi, tre sono inutili allo sviluppo dell'azione e stanno 11 unicamente per fornire una voce di soprano, una di baritono e una di basso, dotate, tra l'altro, di parti musicalmente assai belle. Invece uno dei due motori dell'azione, il traditore Witoldo, ha una particina insignificante. Resta solo il protagonista, 11 lituano Walter, tenore, che dopo la sconfìtta dei Lituani a opera dei feroci Cavalieri dell'ordine teutonico accetta l'avventuroso piano architettato dal vecchio bardo Albano: sparire dal mondo, abbandonare la cara moglie in un chiostro e infiltrarsi nelle file degli odiati Cavalieri Teutoni per farsene capo, grazie al proprio valore militare, e poi trarli a rovina liberando cosi la patria lituana. C'è un che di avventuroso nel blocco di Prologo e primo atto (che si svolgono a dieci anni di distanza): se Salgari avesse scritto romanzi storici si potrebbe descrivere come salgariano. Ma la scrittura musicale non è quella d'un romanzacelo d'appendice. Al contrario è d'una solidità professionale a prova di bomba. La ricca polifonia orchestrale è sostanziata d'ottime ragioni contrappuntistiche, cioè di parti reali per ogni famiglia di strumenti. Il rapporto voci-orchestra è quasi sempre di pari importanza e di mutuo vantaggio. La malinconia delle migliori cantilene non è, certo, d'un improbabile colorito slavo, come era parso dodici anni fa agli ascoltatori che avevano sentito nella Sinfonia l'aria del tenore «Si bella e giovane: ma di marca lombarda assolutamente genuina. E soprattutto, il taglio dei pezzi, cioè delle arie (che sono saggiamente poche), dei duetti e terzetti, dei concertati e dei cori, scene di guerra, di lutto, di cerimonie militari o religiose, è impeccabile: veri modelli scolastici di composizione. Nel 1934, quando nell'entusiastica euforia della rinascita verdiana si ricordò il centenario di Ponchielli, aveva corso una battuta: non essere lecito assolvere Ponchielli in nome di Verdi. S'intendeva con ciò che Ponchielli fosse da considerare più dozzinale, più mestierante, diciamo pure, più cialtrone di Verdi. Neanche per sogno! La principale differenza tra Ponchielli e Verdi è che Ponchielli fu professore di composizione e direttore di Conservatorio, e Verdi in Conservatorio ci mise i piedi una volta sola, per esserne respinto. L'arte di Verdi prorompe nella libertà del genio. Quella di Ponchielli fiorisce nell'applicazione studiosa. Ciò non gli impedisce d'azzeccare scene che anche Verdi avrebbe firmato volentieri. Quella, per esempio, del primo atto dove i prigionieri lituani vengono insultati e percossi dalla bestiale crudeltà dei Cavalieri Teutonici: dalla porta del tempio di Marienburg escono i pii concenti dell'organo e il coro dei nazifascistici torturatori intona una fantasiosa versione del Veni creator spiritus.. Pari pari l'intuizione che avrà Prokof iev nella colonna sonora di Alexander Nevskij, quando nella battaglia sul lago ghiacciato attribuirà una tematica gregoriana alle orde dei Cavalieri Teutoni. Una splendida esecuzione ha conciliato all'opera un successo che potrebbe essere foriero d'una ripresa teatrale. Bravi e generosi gli interpreti vocali: soprano Jasuko Hajashi, tenore Ottavio Garaventa, baritono Alessandro Cassis (nella parte risorgimentale di Arnoldo, che ha un rilievo musicale enormemente superiore alla sua importanza drammatica), basso De Bortoli (idem come sopra), altro basso Ambrogio Riva nella particina di Vitoldo, e Susanna Ghione come voce d'uno dei fastidiosi Menestrelli. Ottimo il coro (istruito da Fulvio Angius), che ha parte molto estesa e di rilievo. Ma il demiurgo è Gavazzeni. Tutti sappiamo che è un patito e un difensore strenuo dell'Ottocento italiano, anche minore. Ma quest'opera non è che l'avesse scoperta né voluta lui. Se l'è dovuta studiare apposta, ed è stato uno spettacolo nello spettacolo, quasi commovente, vedere con quanta naturalezza le formule e i vocaboli melodrammatici di cui l'opera è un compendio confluissero nella sua nobile casistica gestuale come nell'alveo d'una tradizione nazionale. Massimo Mila

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