NELL'ITALIA DELLA DISOCCUPAZIONE E DELLA CRISI ECONOMICA di Stefano Reggiani

NELL'ITALIA DELLA DISOCCUPAZIONE E DELLA CRISI ECONOMICA NELL'ITALIA DELLA DISOCCUPAZIONE E DELLA CRISI ECONOMICA Diventa sfida il lavoro ben fatto Il nuovo libro di Primo Levi induce a riscoprire la «civiltà della competenza» - Syios Labini: «Si dice professionalità per non dire meritocrazia» - Benvenuto (Uil): «Il sindacato deve abbandonare i pregiudizi fintamente egualitari: rappresentiamo anche i più capaci» - Camiti (Cisl): «Chiediamo ai giovani di essere professionali, ma per chi e per che cosa?» Dice Camiti: «Bisogna stabilire dì che si tratta. Per adesso, mi sembra soprattutto una parola magica, buona per tutti gli usi». Corregge Sylos Labini: «No, si tratta piuttosto di un'ipocrisia per nascondere un vecchio concetto che va riadattato». Benvenuto è sinceramente deciso: «Ecco un obiettivo per il quale il sindacato deve battersi». Primo Levi è unpo' sconcertato: «Forse accade semplicemente questo, che la gente ha bisogno di concretezza, che vuol provare orgoglio per qualcosa». Si parla della professiona¬ lità. Timido o aggressivo, a seconda delle circostame, ritorna il mito del lavoro ben fatto, di una «civiltà della competenza», come dice il libro di Primo Levi II successo di «La chiave a stella, storia di un operaio superspecializzato e della sua appassionata competenza professionale» coincide con una riscoperta o nostalgia dei valori professionali: bravi tecnici, buoni medici, eccellenti ingegneri, infermieri capaci, idraulici valenti, impiegati modello, operai inventivi, dirigenti sempre all'altezza, pubblici funzionari solerti, burocrati ineccepibili, il sogno di un mondo in cui tutti lavorino al meglio e in cui ogni qualifica sia puntualmente rispettata nell'esecuzione. Sia pure, divisione nel lavoro, ma — si dice — assoluta uguaglianza nel mestiere, nella padronanza dei mezzi e delle conoscenze specifiche. Il mito del lavoro ben fatto risorge in un momento di disoccupazione e di crisi economica; viene anche dopo la scuola di massa, oggetto di incerte difese e di acuti sarcasmi («E' arrivata la generazione che non sa far nulla. Non gliel'hanno insegnato»/ Riflette Primo Levi: «Certo, lo Stato non offre oggi ai giovani una preparazione, le scuole professionali insegnano poco, chi vuole deve imparare da sé, tirarsi su i calzoni, come dice il personaggio del mio libro». E poi: «Si capisce, ho raccontato una storia individuale, non ho illustrato un progetto politico, non si può generalizzare. L'orgoglio del proprio lavoro ha radici anche lontane, magari campanilistiche o regionali. Il mio operaio è un piemontese' di montagna, cocciuto, disposto al rischio e alla pazienza. Ci sono vanti regionali anche per i lavori più duri. Insomma, voglio dire : la competenza e il gusto del lavoro ben fatto non sono qualità che si possono imporre. Nascono anche da circostanze favorevoli, personali e di ambiente. Il mio personaggio è un montatore di gru, di strutture metalliche, lo chiamano in tutto il mondo, ogni volta per lui, arrampicato sui tralicci con la sua chiave a stella, è una sfida». Osserva Pierre Camiti, segretario dei metalmeccanici Cisl: «Vediamo a chi si rivolge il discorso della professionalità. Ai medici? Verissimo, ce ne sono di poco preparati, di poco aggiornati, che non rendono un buon servizio alla collettività; è giusto pretendere che siano competenti. Questo vale per tutte le libere professioni, per i lavori autonomi; ma in fabbrica? C'è il sospetto che in fabbrica il richiamo alla professionalità nasconda solo la vecchia nostalgia gerarchica o che si rivolga a persone che non possono comprenderlo. Come si fa a chiedere l'amore del lavoro a chi compie gesti ripetitivi, senza contatto col prodotto, a chi sta alla catena di. montaggio? In certe condizioni è anormale lavorare volentieri». Ribatte Levi: «Non c'è solo la catena di montaggio. Credo che alla Fiat, per esempio, solo il 45 per cento sia impegnato nel lavoro in serie. E gli altri? Io ho voluto parlare per una volta anche degli altri, anche degli autonomi che si aprono la loro via con la fatica e la competenza». Camiti chiarisce: «Il problema della professionalità ne sottintende uno più grande, la qualità del lavoro in una società industriale, uguale in America e in Russia. So che in Urss c'è molto assenteismo, ma so anche che in alcuni Stati occidentali sono gli stessi padroni a cercare nuovi modi nell'organizzazione del lavoro. Se dobbiamo convivere ancora a lungo col capitalismo, di Stato o privato, bisogna dare ai lavoratori una vera alternativa, un lavoro "riappropriato" che non nasca solo dal senso del dovere o dell'obbligo, ma anche dalla responsabilità e dall'invenzione personale. Lo so, è difficile. E la cultura non ci aiuta». Per Camiti la professionalità, se non tiene conto del contesto, galleggia come un equivoco tra le «invenzioni di retroguardia». Anche per l'economista e sociologo Paolo Sylos Labini la professionalità copre un equivoco, legato in parte agli terrori' del '68 che lui denunciò fin da allora con molto clamore nella sinistra: «Si dice professionalità per non dire meritocrazia considerazione e valutazione dei meriti. C'era una zona falsa nel criterio dei meriti che andava distrutta; ma trovando un nuovo equilibrio. Allora parliamo di competenza e diciamo che il frutto dell'ingegno va usato in favore della collettività e che le conquiste individuali vanno riconosciute; lottando, si capisce, contro i privilegi accordati dalle condizioni di partenza». Cioè, aiutando di più chi è meno aiutato dai propri vantaggi (famiglia, soldi, ambiente culturale). giunge: «Rifiutare lo studio in nome delle colpe di un cattivo sviluppo rende più fragili, rinchiude in un ghetto di passività». Comunque «sono le mete che contano, non gli slogans o le parole magiche». Tra le obiezioni del sindacalista, l'esperienza individuale dello scrittore, la prudente utopia dell'economista (•«Bisogna recuperare per tutti il lavoro manuale»), sembra che questa nuova «professionalità» o competenza non abbia un destinatario preciso, ciascuno e nessuno, come accade appunto per le prediche. lità (e dunque del merito), senza errori «come il sei garantito», trasformando «le proteste in proposte». Emergono nel colloquio con Benvenuto i nomi di categorie «competenti», come quella dei piloti («abbiamo appoggiato l'accordo»), come quella dei dirigenti statali Sono i gruppi intermedi di forte specializzazione e di accertata importanza sociale, che finora s'erano arroccati in piccole corporazioni con danno collettivo (per esempio, in caso di scioperi limitati). Per questi gmppì la professionalità ha un significato ben chiaro, che il sindacato vuole premiare e valutare. Dice il segretario della Uil: «I dirigenti dello Stato debbono essere retribuiti secondo i loro meriti». Se non lavorassero con competenza andrebbero licenziati Sulla riscoperta della professionalità, «il sindacato deve mobilitarsi, prima che il recupero avvenga ■ inevitabilmente in senso conservatore». Riassumiamo. La professionalità chiama a raccolta con promesse di riconoscimenti i lavoratori intermedi e i burocrati le minoranze specializzate; suona rimprovero per molti liberi professionisti ("«interessati solo ai guadagni»;; sembra almeno contraddittoria, metà utopia metà minaccia, per gli operai non specializzati e gli studenti La professionalità è in crescendo: una predica, una nostalgia, un frutto della crisi una grande dote, un ricatto padronale, uno strumento sindacale. Ne risentiremo spesso parlare, perché ormai la riscoperta è fatta. Stefano Reggiani

Persone citate: Paolo Sylos Labini, Primo Levi, Sylos Labini

Luoghi citati: America, Russia, Urss