Dc senza Papa

Dc senza Papa Da Montini a Wojtyla un dialogo diverso Dc senza Papa Nei giorni in cui la polemica su aborto e divorzio era più infuocata, II Popolo — organo ufficiale della democrazia cristiana — riferiva i discorsi dei presuli intransigenti inclini alla crociata con titoli cauti e generalmente li separava, anche nell'impaginazione, dalle parole del pontefice Giovanni Paolo II, collocate sotto una ispirazione prevalentemente ecclesiale. Era una forma, discreta e allusiva, per sottolineare l'autonomia dei cattolici politici rispetto al magistero romano, in un'area come quella della legislazione matrimoniale e abortista che toccava direttamente le competenze dello Stato (oltre i principi della dottrina cattolica); era un'anticipazione della linea che il presidente della de, Flaminio Piccoli, avrebbe poi assunto, linea di adesione ferma al richiamo della gerarchia sul piano dottrinario ma anche di obbedienza coerente alle leggi dello Stato sul piano operativo [«Aborto e divorzio sono leggi della Repubblica, si applicano nei termini indicati: nulla di meno, nulla di più»). Ecco un fatto che ha differenziato nettamente il nuovo «incidente» nei rapporti fra Chiesa e Stato rispetto a quelli del passato; ecco un motivo di meditazione per tutti. L'avvento di un Papa non italiano al trono di Pietro non è passato senza riflessi profondi nell'interno della de. Il partito cattolico, per un trentennio e comunque fino a tutta l'esperienza di Papa Montini, si è sentito intimamente, vorrei dire visceralmente legato alla cattedra pontificia: con un vincolo che la svolta conciliare aveva certo mutato nelle apparenze ma non radicalmente cambiato nella sostanza. Ogni democristiano importante sapeva di essere giudicato, anche come tale, dal Papa (cui non sfuggiva nessun nome, cui non era estranea nessuna «querelle»); non c'era esponente di un qualche rilievo della de che non avesse conosciuto Papa Montini (e prima Papa Roncalli, e prima Papa Pacelli), che non avesse i suoi protettori, o dettatori, in Vaticano. Gli intrecci fra potere religioso e potere civile erano stati tali, soprattutto a Roma e nel Lazio, da rendere tutt'altro che largo il Tevere, nonostante le invocazioni dell'epoca giovannea (quel monsignor Angelini, per esempio, che accompagnava Papa Wojtyla nel discusso incontro coi medici obiettori di coscienza sull'aborto rappresentava un mondo pre-giovanneo, una linea del tutto pacelliana di mescolanza fra sacro e profano). Fino al pontificato di Pio XII, le interferenze del Vaticano nella vita italiana, e «in primis» nella vita della democrazia cristiana, furono clamorose e sconcertanti. Il Concordato apparve talvolta, pur nell'arcaismo delle sue norme o nell'eccesso dei suoi privilegi, uno strumento di difesa dei diritti o delle potestà dello Stato. Con Giovanni XXIII si avvia una prova, si avvia un processo di internazionalizzazione della Santa Sede che recide molte catene dell'innesto «romano» e talvolta dialettale-vernacolare nel rapporto Vaticano-dc. Ma le conseguenze nelle cose italiane non sono immediate, e l'opposizione rab biosa al centro-sinistra lo dimostra. Un diverso equilibrio fra Chiesa e de si attua con la svolta di Papa Montini, certamente il Pontefice più le gato alla dialettica, e al travaglio, dello scudo crociato, L'esperienza morotea corre parallela a quella montana na: fino al commovente rito di San Giovanni in Latera no. fino a quel 13 maggio 1978 (allorché il Papa prossimo alla morte si inchina alla memoria dello statista trucidato, presente tutta l'Italia costituzionale). Papa Luciani è un intermezzo, quasi una meteora, rimasta indecifrata e forse indeci frabile; con l'avvento del cardinale Wojtyla tutto cambia. Il nuovo Papa proviene da una Chiesa che non ha nulla in comune con quella dove si sono formati gli esponenti della de, la Chiesa polacca; una Chiesa perseguitata, sofferente, mai corrotta e contaminata dal potere politico almeno nell'ultimo mezzo secolo. Una Chiesa quasi catacombale, pur nel suo carattere di Chiesa di massa. Giovanni Paolo II si richiama alla «distinzione» conciliare fra potestà civile e potestà religiosa, deferisce all'autorità degli Stati; ma il suo accento non è e non può essere quello di Giovanni XXIII. In tre mesi mai il nuovo Pontefice pronuncia la parola «Concordato» per l'Italia (la prima eccezione parziale è il discorso di venerdì agli ambasciatori); ma tutti sentono che, oltre il Concordato italiano, egli guarda piuttosto a quello che potrebbe essere uno strumento concordatario utile al suo Paese, la Polonia. Il direttore del Popolo, Corrado Beici, rispondendo con grande cortesia a un mio articolo precedente su queste colonne, mi invita a non confondere «le contingenze storiche del nostro Paese« col fermo richiamo ai principi, anzi al destino dell'uomo, contenuto nelle parole di Papa Wojtyla, anche su aborto e divorzio. Le confondo cosi poco, che ritengo chiusa un'epoca, appunto di confusione fra le due sfere. Tutto sarà in qualche modo diverso, e i democristiani lo sanno. Mancherà la protezione del Vaticano, talvolta soffocante; ma la Santa Sede guarderà con crescente distacco all'«.unità politica» dei cattolici, senza quel sentimento di angosciosa partecipazione, quasi di fisica sofferenza, che caratterizzava Papa Montini. La predicazione papale assumerà un accento sempre più ecumenico, e magari di un ecumenismo aggressivo, non senza la vena di rigore dottrinario e disciplinare che distingue Papa Wojtyla. E la de dovrà sbagliare da sola; assumersi direttamente responsabilità cui non sempre era abituata, confrontarsi — il che non le sarà sempre di vantaggio — con la Conferenza episcopale italiana piuttosto che coi sottili, estenuanti giuochi della Curia (e tutti i relativi «do ut des»), E' stato il vescovo ausiliare di Roma, mons. Clemente Riva, a delineare il nuovo corso (proprio sulle colonne dell' Osserva tore Romano), allorché ha sottolineato «il graduale distacco della ge¬ rarchia nei confronti della democrazia cristiana», aggiungendo: «La questione dell'unità dei cattolici è andata sempre più configurandosi come un fatto storico contingente, dovuto alla situazione peculiare della società italiana del dopoguerra: l'attuale evoluzione della sinistra sta a indicare l'utilità storica di quella scelta, sia pure contingente...». Molti lettori scrivono ai giornali, anche al nostro: ma non è una fortuna per la causa laica? Certo che lo è: a patto che le forze di ispirazione e tradizione laica abbiano la coscienza di un rapporto diverso, e in ogni caso più complesso, con una forza cattolico-popolare, sempre meno riducibile agli schemi di comodo del dilemma clericalismo-anticlericalismo. Una forza che potrebbe anche rinunciare col tempo alla parola «cristiano»; chiamarsi solo partito popolare democratico, come in Belgio o in Austria. O qualcosa del genere. I laici ci hanno pensato? Giovanni Spadolini

Luoghi citati: Austria, Belgio, Italia, Latera, Lazio, Polonia, Roma