Nomi e Cognomi di Andrea Barbato di Andrea Barbato

Nomi e Cognomi di Andrea Barbato Nomi e Cognomi di Andrea Barbato Vietnam le ragioni di ieri Ora ci dicono che avremmo dovuto capire per tempo che il Vietnam unito sarebbe diventato una Prussia asiatica, e che avrebbe tentato di espandersi nella sua area, forte di un militarismo aggressivo e conquistatore. Dunque, aveva ragione Kissinger, o addirittura il generale Westmoreland? Oggi ci dicono che riponemmo male le nostre speranze e i nostri entusiasmi, e che l'opinione pubblica che appoggiò i vietnamiti nella guerra d'indipendenza nazionale in realtà si rese complice d'un socialismo armato e autoritario, di radici staliniste, incapace di gestire un'economia di pace, una vera unificazione, una vera pacificazione anche interna. Ce lo dice anche Jean Lacouture, e altri — all'interno della sinistra anche più estrema — insistono che «non abbiamo più ritratti da appendere ai muri». Non Che Guevara, non Mao, non Fidel, non Ho Ci Minh. Chi ci metteremo, allora? Forse Nixon? Non c'è dubbio che il Vietnam fu una speranza, e forse un'illusione, della sinistra italiana e mondiale. E non c'è dubbio che quella speranza sia andata delusa, anche amaramente. Sarebbe molto facile ribattere che il Risorgimento italiano non fu reso meno giusto dalle colpe dello Stato unitario che ne seguì; o che la Resistenza antifascista non perse il proprio valore solo perché ne vennero i grigi regimi del dopoguerra. Ma qui siamo dinanzi ad una grandiosa inversione di rotta: la nazione povera, invasa, che si difende con i fucili dai bombardieri e dai defoliantì, diventa la nazione conquistatrice, che viola la sovranità altrui. La sinistra italiana (e mondiale), fu dunque vittima di un colossale abbaglio collettivo? Dovremmo fare autocritica, sentirci addirittura complici d'avere, a suo tempo, «tradito» l'Occidente? Dico subito che tutti gli enori di valutazione, tutte le profezie sbagliate, tutte le speranze mal riposte non giustificano oggi la iattanza di coloro che dicono: «Ve lo avevamo detto, noi». Le sanguinose imprese militari del Vietnam di oggi non aggiungono un grammo di ragione a chi omise nel decen-, nio scorso di condannare il genocidio, le stragi nei villaggi (My Lai brucia ancora), le risorse distrutte, le città incendiate, la corruzione diffusa, la cultura locale oltraggiata e deformata. La forza morale degli argomenti di coloro che oggi — giustamente — condannano il Vietnam è direttamente proprozionale a ciò che essi dissero e scrissero quando Johnson bombardava Hanoi, o quando Nixon faceva stragi in Cambogia. I marines non difendevano l'Occidente, non difendevano un modello di società e dì cultura: al contrario, corrompevano e uccidevano. Le micce della guerra in Indocina furono accese in anni assai remoti, e sempre da potenze di conquista. Non è necessario spingersi a dire che senza quelle guerre coloniali oggi il Vietnam sarebbe una nazione agricola e pacifica: ciò non è storicamente vero, ma non basta per farci rimpiangere Van Thieu o i suoi generali rapaci e assassini, gli ambasciatori travestiti da «americani tranquilli», i mostri neri dei B 29 che si alzavano dalle basì thailandesi. Dov'erano, cosa scrivevano coloro che oggi danno lezioni alla sinistra progressista che si schierò contro le stragi americane in Asia? Il Vietnam fu tradito due volte: prima con le armi, poi con gli strumenti della pace, con la povertà imposta, con i trattati mai applicati, con l'uso strumentale che le grandi potenze, capitalistiche o no, fecero della vittoria vietnamita, per piegarla ai disegni strategici mondiali che perseguivano. Tutto ciò non basta a giustificare neppure in parte il regime totalitario, oppressivo, poliziesco, che perseguita i profughi, che ha annesso il Sud del Paese come una zona coloniale, che punisce interi strati della popolazione. Ma deve indurci a riflettere che nessuno — se negli anni scorsi non condannò apertamente l'invasione americana —può avere oggi la coscienza leggera e sgombra, e utilizzare lo scandalo che il' Vietnam ha provocato nella sinistra italiana. Sono d'accordo con Raniero La Valle quando scrive: «E', inutile che ci dicano: dove sono oggi quelli che si Impegnavano per il Vietnam? Siamo qui, senza frustrazioni e senza illusioni, ma anche senza quell'odore di morte di chi si compiace delle attuali disgrazie vietnamite per giustificarsi della propria durezza di cuore di ieri». L'internazionalismo muore, il mito del Vietnam impallidisce, i ritratti di Ho Ci Minh si staccano dai muri, le bandiere rosse sono dalle due parti di una trincea Chi vuol dividere il mondo in innocenti e reprobi ha un ampio materiale di autocompiacimento. Le rivoluzioni falliscono, Mao dopo Stalin esce del mausoleo, l'imperialismo esiste, in qualche forma, anche a sinistra, la politica di potenza non è un'esclusività dell'Occidente. Sono lezioni gravi e importanti da meditare. Che tuttavia non restituiscono dignità né ragione a chi non seppe o non volle condannare la guerra americana.